T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 135 Ricorso giurisdizionale Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. I ricorrenti impugnano i provvedimenti in epigrafe, emessi dal Questore di Cremona il 27.3.2010 e notificati l’1.4.2010, con i quali viene loro imposto – per la rispettiva durata di anni uno (R.) e tre (G.) – il divieto di accedere a tutti i luoghi in cui si svolgono incontri di calcio ufficiali o amichevoli, compresi gli incontri disputati dalla Nazionale italiana e dalla nazionale "Under 21", nonché l’accesso ai luoghi interessati alla sosta, al transito e al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle suddette competizioni (stazioni ferroviarie e delle autocorriere, autogrill, aeroporti, stadi e dintorni), a partire dalle ore 12 e fino a due ore dopo la conclusione degli incontri di calcio.

A sostegno del gravame vengono dedotte le seguenti censure:

1) violazione dell’art. 6, comma 1, legge n. 401/1989, dell’art. 594 c.p. e dell’art 2 bis legge n. 41/2007, sotto il profilo della non riconducibilità all’elencazione tassativa ivi contenuta della condotta loro attribuita (esposizione, durante la partita PergocremaComo, di uno striscione non autorizzato, recante una scritta offensiva).

In sintesi, i ricorrenti sostengono che in effetti l’art. 2bis della legge n. 41/2007, vieta, negli impianti sportivi, l’introduzione o l’esposizione di striscioni e cartelli che, comunque, incitino alla violenza o che contengano ingiurie o minacce; ma che tale condotta, mentre è punita – secondo quanto dispone detta norma – con l’arresto da tre mesi ad un anno, non potrebbe costituire il presupposto per l’emissione di un provvedimento c.d. DASPO, stante la tassatività dell’elenco contenuto all’articolo 6, comma 1, della legge n. 401/1989.

A sostegno di tale tesi, i ricorrenti citano le Ordinanze cautelari del Consiglio di Stato nn. 195019511952 dell’8 aprile 2008 e n. 2847 del 5 giugno 2009, nonché la sentenza 2.10.2009, n. 4756 del TAR Lombardia, sede di Milano;

2) violazione di legge e carenza di istruttoria ex artt. 3 e 10 l. n. 241/1990, difetto di motivazione, non contenendo i provvedimenti controversi alcun accenno alle tesi difensive esposte dai ricorrenti in sede procedimentale (memoria del 20 marzo 2010);

3) violazione dell’art. 6 legge n. 401/1989 ed eccesso di potere per indeterminatezza in ordine ai luoghi, ulteriori rispetto agli impianti sportivi, fatti oggetto di divieto di accesso.

II. In data 28 giugno 2010 si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, depositando documentazione.

III. Alla Camera di Consiglio del 15 luglio 2010, l’istanza cautelare è stata accolta con richiamo alla sentenza della Sezione 27 maggio 2010, n. 2163, pronunciatasi in senso favorevole alla tassatività dell’elenco di cui all’art. 6 legge 401/1989 e s.m..

IV. In vista dell’odierna Udienza pubblica, la difesa dell’Amministrazione ha dimesso:

a) in data 29 novembre 2010, copia del DASPO per un periodo di anni 4, emesso il 5.8.2010 dal Questore di Lodi a carico di G.D., per la condotta dallo stesso tenuta in occasione dell’incontro amichevole FanfullaPergocrema dell’1.8.2010;

b) in data 13 dicembre 2010, memoria conclusiva in cui:

– si eccepisce l’inammissibilità del ricorso cumulativo de quo, non ricorrendone nella specie i presupposti; nonché la sua improcedibilità, quanto al ricorrente G., in conseguenza del predetto DASPO 5.8.2010, successivamente adottato nei suoi confronti;

– si contesta la fondatezza della tesi di fondo avversaria, sostenendo che la condotta posta in essere dai ricorrenti rientri, comunque, nell’ampia previsione di cui all’art. 6 legge n. 401/1989, cioè "tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni sportive".

Indi, alla medesima Udienza pubblica, la causa è passata in decisione.

V. 1. Ciò premesso, il Collegio deve preliminarmente esaminare i profili in rito della presente controversia, anche alla stregua delle eccezioni sollevate dall’Amministrazione resistente.

V.2. Orbene, proprio di recente la Sezione si è già posta il problema della specifica ammissibilità di impugnative collettive uno actu di singoli DASPO, cioè di provvedimenti per loro natura normalmente originati da episodi tipicamente collettivi, quali quelli legati a manifestazioni di tifo calcistico violento.

Si tratta della sentenza 27 maggio 2010, n. 2157, richiamata anche dall’Avvocatura dello Stato nella propria memoria conclusiva, cui vanno aggiunte le immediatamente successive nn. 2158 e 2159, depositate in pari data e di identico contenuto.

In questo "trittico" di pronunce, che richiamano a loro volta pacifici principi giurisprudenziali (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 10 settembre 2009, n. 5425 e sez. VI, 25 agosto 2009, n. 5061; T.A.R. Lazio, sez. III, 27 febbraio 2010, n. 3119 e sez. I, 5 maggio 2009, n. 4584; T.A.R. Marche, 8 febbraio 2010, n. 57), la Sezione ha aderito al principio che ai fini dell’ammissibilità del ricorso collettivo e in deroga al principio secondo cui ogni domanda di accertamento deve essere proposta dal singolo titolare del diritto, occorre, oltre al requisito negativo dell’assenza di conflitti di interessi, che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali, cioè che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per i medesimi motivi, sì da poter ragionevolmente considerare la pluralità di ricorrenti come un’unica parte processuale, seppure soggettivamente complessa.

V.3. Nell’applicare tale principio a quelle fattispecie, la Sezione ha, dunque, rilevato che gli atti impugnati si differenziavano tra loro quanto alla durata del DASPO (variabile da tre a cinque anni) e che, pertanto, non sussisteva la necessaria omogeneità delle posizioni dei ricorrenti, che erano invece riconducibili a tre distinti sottoinsiemi, corrispondenti ciascuno ai soggetti interessati da detta diversa durata (rispettivamente: tre, quattro, cinque anni); tuttavia, la Sezione ne ha tratto le conseguenti implicazioni processuali con esclusivo riferimento al solo profilo di censura più direttamente toccato dalle svolte considerazioni, vale a dire quello di violazione del principio di gradualità nella determinazione della durata dei DASPO: e ciò "anche per l’ulteriore considerazione che tale censura si atteggia diversamente e acquista differente valenza giuridica a seconda della diversa durata temporale nei cui confronti si appunta".

La Sezione ha, dunque, proseguito l’esame nel merito delle residue censure, rilevandone l’infondatezza e pervenendo, in conclusione, a tre distinte pronunce di reiezione dei ricorsi, siccome in parte inammissibili e in parte infondati.

Tale percorso era evidentemente attento all’esigenza di fornire una risposta giudiziale il più possibile completa, che affrontasse anche il thema decidendum di fondo "collettivamente" agito in causa e che pervenisse ad una reiezione, sostanziale oltre che processuale, della pretesa avanzata dai numerosi ricorrenti.

V.4. Anche in questa occasione il Collegio intende assumere a riferimento la ratio ispiratrice di quelle pronunce (cioè di complessiva conservazione e salvezza dei mezzi giuridici, in funzione di effettività della tutela giurisdizionale), ovviamente adattando e modulando la soluzione processuale alla fattispecie concreta: rispetto alla quale si rivela particolarmente conferente il precedente costituito da T.A.R. Lazio, sez. I, 10 maggio 2006, n. 3457.

Invero, in quella circostanza era stato depositato dinanzi al G.A. romano un solo ricorso recante due distinti giudizi, l’uno di ottemperanza e l’altro ordinario di legittimità: ebbene – dopo aver ricordato come ciò non sia consentito, ad avviso della giurisprudenza amministrativa, "trattandosi di giudizi che partono da presupposti diversi e soggiacciono a regole diverse" – il TAR Lazio ha tuttavia affermato che "in ragione, però, del principio di conservazione dei mezzi giuridici, è ammesso il mantenimento di uno dei giudizi in questione, individuato sulla base della disamina dell’interesse del ricorrente alla decisione."

Analogo criterio scriminante può – dunque ed eccezionalmente – essere utilizzato nel caso di specie in cui non solo la situazione processuale è, tutto sommato, paragonabile (anziché due differenti giudizi originati dalla medesima vicenda e introdotti da uno stesso soggetto mediante un unico ricorso, si è in presenza di due paralleli giudizi ordinari, sempre originati da una vicenda comune e introdotti da due soggetti distinti, mediante un unico ricorso), ma, soprattutto, risulta dirimente la circostanza della sussistenza, agli atti di causa, di un elemento obiettivo (la sopravenuta emissione, dopo la proposizione del ricorso, di un ulteriore DASPO a carico del solo G.) che vale a differenziare ex se l’interesse dei ricorrenti alla decisione delle rispettive impugnative congiuntamente proposte.

V.5. Una volta delineate le coordinate ermeneutiche che il Collegio ritiene più confacenti al caso da decidere, se ne possono riepilogare quelle fattuali.

Innanzitutto, nella specie non è ravvisabile il solo profilo di disomogeneità legato alla diversa durata temporale dei DASPO, inflitti ai due ricorrenti: qui sono le rispettive posizioni soggettive sottostanti a differire radicalmente tra loro e la suddetta diversa durata non ne rappresenta che il conseguente riflesso provvedimentale.

In particolare, dai provvedimenti che rispettivamente si riferiscono ai due ricorrenti, emerge che:

– mentre il G. è soggetto "recidivo" in materia di DASPO (tanto che nei suoi confronti sono stati adottati in precedenza due provvedimenti analoghi, uno sempre del Questore di Cremona, l’altro del Questore di Venezia), nonché condannato in sede penale per il reato di cui all’art. 4 legge 110/1975 (porto d’armi od oggetti atti a offendere), cioè per un reato espressamente contemplato all’art. 6 comma 1 legge n. 401/1989, quale uno dei presupposti di legge per l’emissione del DASPO;

– a carico del R. non sono evidenziati precedenti di sorta.

Siffatta "alterità" di posizioni risulta ancor di più rimarcata dalla condotta tenuta – invero extra causa, ma in corso di causa – dal G. che, ottenuta la sospensione del DASPO di cui qui si controverte per effetto della ricordata Ordinanza 15 luglio 2010, n. 464, depositata il 16 luglio 2010, appena 15 giorni dopo (il 1° agosto 2010) si è nuovamente segnalato per atteggiamenti violenti in occasione di una partita amichevole di calcio, tanto da risultare destinatario di un nuovo DASPO del Questore di Lodi, della durata di anni 4.

Quest’ultima circostanza vale a confermare fattualmente, seppure ex post, quella radicale e inconciliabile differenza di posizioni dedotte in giudizio più sopra messa in luce e che rende giuridicamente inammissibile la coesistenza, in uno stesso ricorso, delle due distinte azioni impugnatorie proposte dal G. e dal R. avverso i rispettivi DASPO che li riguardano.

Ma, al tempo stesso, siccome è atta a depotenziare (sino all’ improcedibilità, come correttamente prospettato dall’Avvocatura dello Stato) l’attualità dell’interesse del G. alla decisione giudiziale della propria impugnativa avverso il precedente DASPO della durata di anni tre (per così dire "sostituito" e superato, anche temporalmente, da quello successivo, nei cui confronti si concentra all’evidenza l’interesse del G. a coltivare un’azione giudiziale di annullamento), ne determina la sostanziale uscita di scena processuale, sì da consentire al Giudicante di optare, anziché per la radicale inammissibilità dell’intero ricorso, per la conservazione della sola impugnativa proposta dal R., il cui interesse alla decisione risulta intatto: in altri termini, la sopravvenuta improcedibilità dell’azione impugnatoria di uno dei due ricorrenti determina la sopravvenuta salvezza, in virtù del principio di conservazione dei mezzi giuridici, dell’originaria impugnativa dell’altro ricorrente.

V.6. Siffatta conclusione è resa possibile, in via del tutto eccezionale, dalla concorrenza di elementi che il Collegio intende nuovamente sottolineare, anche in vista di eventuali, future decisioni in tema di ricorsi collettivi avverso singoli DASPO: e cioè che i ricorrenti sono soltanto due e che l’interesse di uno dei due alla decisione risulta ictu oculi scemato, sì da consentire al Collegio, senza discrezionalità alcuna, di limitarsi a decidere l’impugnativa proposta dall’altro in un ricorso che, da inammissibilmente collettivo che era, si è mutato di fatto in ammissibile ricorso singolo.

Soltanto se e ove identiche condizioni siano ravvisabili, la Sezione potrà, dunque, reiterare analoga soluzione processuale.

VI.1. Dichiarata, dunque, improcedibile l’impugnativa del G. e così ritenuta eccezionalmente procedibile l’impugnativa del R., questa risulta fondata alla stregua delle argomentazioni addotte nella sentenza n. 2163/2010 di questa Sezione, già richiamata nell’Ordinanza cautelare n. 464/2010 resa in questo giudizio e che, qui di seguito, si ricordano nella loro articolazione fondamentale, a loro volta ripresa dalla sentenza TAR Milano n. 4756/2009, laddove afferma:

" – che dall’anzidetta tassatività (pacifica anche nella giurisprudenza cautelare del Consiglio di Stato) delle condotte passibili di DASPO, deriva che la misura del divieto di accesso può essere disposta solo nei confronti di chi risulti direttamente responsabile di reati caratterizzati dalla violenza, ovvero inciti, induca o inneggi alla violenza;

– che nel caso colà deciso (come nel presente) al ricorrente non è imputata alcuna delle condotte tassativamente indicate per l’adozione del provvedimento inibitorio; in particolare lo stesso non è stato denunciato per aver preso parte attiva ad episodi violenza o per aver incitato, inneggiato o indotto alla violenza con le modalità previste dall’art. 2 bis del d.l. 336 del 2001;

– che il comportamento contestato all’interessato è riconducibile alla fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 2 bis l. n. 41/07 nella parte in cui vieta l’introduzione o l’esposizione negli stadi di cartelli offensivi. Tale condotta non rientra fra quelle contemplate nell’elenco tassativo di cui all’art. 6 della legge 401 del 1989 e non è contemplata dall’ordinamento come presupposto per l’applicazione della misura di polizia consistente nel divieto di accesso ai luoghi di svolgimento delle manifestazioni sportive."

VI.2. Il Collegio intende qui ribadire le suddette considerazioni, tenuto conto che, allo stato, la sentenza de qua non risulta appellata e che non constano successivi arresti giurisprudenziali di segno contrario.

VI.3. Del resto, anche la difesa dell’Amministrazione non sembra contestare la linea argomentativa che muove dal presupposto della tassatività dell’elencazione di cui all’art. 6 legge 401/1989, per obiettare, piuttosto, che l’esposizione di uno striscione offensivo rientri nell’ipotesi, espressamente contemplata al comma 1 di detto articolo, di condotta tale "da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni sportive".

Al riguardo, il Collegio deve, intanto, rilevare che la giurisprudenza ha sinora escluso che l’esposizione di uno striscione possa rientrare di per sé in un’altra delle fattispecie legali individuate dall’art. 6 legge 401/1989, cioè quella riconducibile all’"incitamento, inneggiamento o induzione alla violenza" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 30.3.2010, n. 4220 e T.A.R. FriuliVenezia Giulia, 1.9.2008, n. 517).

Nello specifico, poi, nella relazione di servizio 2 marzo 2010 del Commissariato di Crema (versata in atti dall’Amministrazione) è detto che:

– il drappo di stoffa bianca con impressa a vernice spray di colore azzurro "M. porco art. 21 libertà di espressione" rimaneva esposto per poco più di un minuto all’interno dello stadio, "dopodiché veniva ritirato e occultato, senza più essere esposto durante lo svolgimento dell’incontro";

– tale scritta, sebbene il cognome impresso fosse "M.", si riferiva al Presidente (presente all’incontro) della Lega Pro M.M., ritenuto dalle frange più estreme del tifo locale e non uno dei responsabili delle restrizioni imposte negli stadi dalla Lega Pro, con l’introduzione della cosiddetta Tessera del Tifoso.

Orbene, la limitatissima esposizione temporale dello striscione e il suo (pur irriguardoso verso un dirigente sportivo nazionale, presente all’incontro) tenore letterale, se possono integrare la specifica ipotesi di reato prevista e punita dall’art. 2 bis l. n. 41/07 o le altre previste in via generale dall’ordinamento a tutela dell’onorabilità delle persone, non paiono, tuttavia, in grado di poter assurgere a fonte di effettivo e concreto pericolo per la sicurezza pubblica nella situazione data, così come sostiene, invece, l’Amministrazione.

VI.4 In definitiva, il primo motivo di ricorso si rivela fondato e tale fondatezza determina l’accoglimento dell’impugnativa proposta dal R., con consequenziale annullamento del DASPO adottato nei suoi confronti.

VI.5. Ciò comporta l’assorbimento delle residue censure svolte in ricorso, stante che il loro eventuale accoglimento non arrecherebbe alcuna utilità ulteriore al ricorrente, in virtù della loro rispettiva natura formale/procedimentale (secondo motivo) e parziale (terzo motivo, riferito alla sola individuazione dei luoghi).

VII.1. Conclusivamente, l’impugnativa proposta da G.D. va dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione.

VII.2. La procedibile impugnativa proposta da R. A. va, invece, accolta e, per l’effetto, va annullato l’impugnato DASPO 27.3.2010, adottato nei suoi confronti dal Questore di Cremona.

VII.3. Quanto alle spese di lite, fermo restando che il contributo unificato debba restare a carico dei ricorrenti che l’hanno anticipato, il Collegio reputa equo compensarle integralmente tra tutte le parti tenuto conto:

– del suddetto esito complessivo del ricorso proposto, per loro scelta, congiuntamente dai ricorrenti; – della circostanza che la salvezza processuale dell’azione impugnatoria del R., poi accolta, sia stata eccezionalmente resa possibile dall’applicazione, da parte del Collegio, del principio di conservazione dei mezzi giuridici.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così decide:

1) dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’impugnativa proposta da G.D.;

2) accoglie, per le ragioni di cui in motivazione, l’impugnativa proposta da R. A. e, per l’effetto, annulla il provvedimento 27 marzo 2010, adottato nei suoi confronti dal Questore di Cremona;

3) compensa integralmente, tra i predetti ricorrenti e l’Amministrazione intimata, le spese di lite, restando il contributo unificato a carico dei ricorrenti stessi che l’hanno anticipato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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