Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-11-2010) 26-01-2011, n. 2574 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con sentenza in data 9-12- 2004, dichiarava R.V. colpevole per il reato di omicidio colposo a seguito di incidente stradale a danno del pedone O. A., nonchè per il reato ex art. 189 C.d.S., commi 1 e 6. Lo condannava alla pena di anni tre di reclusione.

In fatto (13-10-1998), secondo l’accusa, l’imputato V.R., a bordo dell’autovettura Fiat Punto tgt (OMISSIS) percorrendo ad andatura sostenuta verso le ore 23 la via (OMISSIS) in località (OMISSIS), aveva investito il pedone che stava attraversando la strada determinandogli lesioni gravissime e poi il decesso. L’investitore, dopo essersi fermato brevemente sul luogo del sinistro, anche perchè la sua vettura era gravemente lesionata e non più marciante, si era allontanato.

2. Proposta impugnazione da parte dell’imputato, la Corte di Appello di Napoli, con decisione in data 17-12-2008, confermava la sentenza di primo grado. Osservava, in ordine alla ricostruzione dell’occorso, che il conducente l’auto Fiat Punto al momento dell’impatto procedeva a notevole velocità, considerato che il mezzo aveva lasciato sull’asfalto una traccia di frenatura lunga circa 30 metri e, dopo l’urto, si era cappottato ponendosi in direzione opposta rispetto a quella di marcia. Altresì, il teste presente aveva confermato che l’imputato si era rapidamente allontanato dal luogo dell’occorso senza prestare soccorso. Riteneva infondata l’eccezione concernente l’irritualità, per violazione dell’art. 197 c.p.p., delle dichiarazioni rese appunto dal teste R.A., il quale si trovava nelle vicinanze del luogo del sinistro intento a commettere il furto di ortaggi in un terreno viciniore, da portare a compimento assieme alla persona offesa dell’incidente O.A..

Invero, al riguardo non lì poteva ritenersi la sussistenza di alcuna connessione di reati ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b).

3. Il prevenuto proponeva ricorso per cassazione.

Ribadiva che la testimonianza di R.A. non era stata acquisita secondo le modalità previste dagli artt. 197, 197 bis e 210 c.p.p.; mentre, la condotta delittuosa ascritta all’imputato del presente processo R.V. ( art. 589 c.p., e art. 189 C.d.S.) e quella perpetrata dal teste R.A. (reato di furto) erano state poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e luogo in situazione di connessione ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b).

Rilevava che non era stato individuato con certezza il guidatore dell’auto investitrice: al riguardo, il ripetuto teste R.A. si era mostrato incerto e poco sicuro.

Contestava la ricostruzione del sinistro ed in specie l’addebito di avere percorso la carreggiata a velocità eccessiva; per contro, al fine di un adeguato accertamento sul punto, sarebbe stato opportuno l’espletamento di una perizia, che non era stata ammessa in sede di giudizio di appello. Censurava pure l’addebito ex art. 189 C.d.S., senza che il Giudice di Appello avesse preso in considerazione la tesi difensiva esposta circa il fatto che esso istante non aveva percepito la gravità delle condizioni della vittima e, comunque, altra persona era presente sul posto.

Sul trattamento sanzionatorio, si doleva per l’eccessività della pena irrogata e per l’ingiustificata mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

1. Il ricorso deve dichiararsi inammissibile perchè manifestamente infondato. Si osserva, in primo luogo, che nel caso di specie non erano applicabili le modalità di assunzione di testi contemporaneamente imputati in un procedimento connesso ovvero per un reato collegato. In particolare, l’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), presuppone un collegamento probatorio di reati sicuramente non sussistente tra il delitto di omicidio colposo ascritto all’imputato ed il reato di furto attribuito al teste R.A.. Nel merito dei reati di omicidio colposo e per non avere ottemperato all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alla vittima, va detto, per quel che concerne la ricostruzione dell’occorso e la conseguente affermazione di colpevolezza dell’imputato, che il Giudice di Appello ha fornito corretta motivazione, facendo esplicito riferimento alle risultanze probatorie acquisite in atti (in particolare, le dichiarazioni provenienti dal teste R.A., i rilievi tecnico-planimetrici, le foto assunte in loco dagli agenti intervenuti, la consulenza necroscopica). Sicchè i rilievi mossi al riguardo dal ricorrente alla sentenza impugnata si risolvono in censure concernenti sostanzialmente apprezzamenti di merito che tendono per lo più ad una diversa valutazione delle risultanze processuali. In proposito, va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte anche a Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 24-11-1999 Spina;

31-5-2000 Jakanì; 24-9-2003 – Petrella), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura dei dati di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al Giudice del merito, nonchè l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. In particolare, con riferimento alla specifica materia della circolazione stradale, nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte enunciato il principio secondo cui la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione della condotta dell’utente della strada coinvolto, accertamento della responsabilità, determinazione dell’efficienza causale della colpa – è rimessa al Giudice di merito ed integra una serie di accertamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione. D’altro canto, nel caso di specie, i giudici di merito hanno appunto apprezzato in modo congruo gli elementi di prova fornendo una valutazione di essi ragionevole e logica sotto il profilo del "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività e sotto quello più strettamente giuridico.

2. Parimenti, correttamente giustificata, da parte dei giudici di merito, è la determinazione della pena, in considerazione della gravità dell’occorso e di una ritenuta valutazione non positiva della personalità del prevenuto.

3. L’inammissibilità dell’impugnazione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non emergendo ragioni di esonero, anche al versamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *