T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 137 Curatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A seguito del fallimento della società "Risparmio di M.A. & C. S.n.c.", nonché dei soci illimitatamente responsabili, M.A. e M.M., veniva nominato curatore del fallimento il rag. S.V..

1.1. Nell’attivo del fallimento il curatore rinveniva un immobile, già di proprietà della società fallita, ubicato nel Comune di Montescudaio e consistente in un capannone industriale, che in data 16 luglio 2005 era stato interessato da un incendio, con conseguente danneggiamento della struttura e deposito, al suo interno, di materiale combusto.

1.2. Di tale capannone il giudice delegato disponeva, con provvedimento del 21 febbraio 2008, la vendita senza incanto, ponendo a carico dell’aggiudicatario eventuali oneri per la bonifica dell’area. Tuttavia, il 26 febbraio 2008 veniva notificata al predetto sig. V. l’ordinanza del Comune di Montescudaio n. 9/2008 (prot. gen. n. 1137) del 19 febbraio 2008, recante ingiunzione a carico del medesimo (nella sua veste di curatore del fallimento), nonché dei sigg.ri M.A. e M., quali soci della società fallita, di presentare entro trenta giorni un piano di bonifica per la rimozione di ogni residuo dei materiali combusti depositatisi a seguito dell’incendio del capannone.

2. Avverso l’ora vista ordinanza del Comune di Montescudaio è insorto il sig. V., nella sua veste di curatore del fallimento, impugnandola con il ricorso in epigrafe (dopo averne chiesto senza esito il ritiro alla P.A.) e chiedendone l’annullamento, previa sospensione.

2.1. A supporto del gravame, ha dedotto le doglianze di:

– violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 241/1990 e 192 del d.lgs. n. 152/2006, e dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, violazione dei principi di buon andamento e correttezza e per lesione del contraddittorio, in quanto la P.A. avrebbe adottato l’ordinanza gravata omettendo la previa comunicazione di avvio del procedimento, né nella vicenda in esame potrebbe invocarsi l’art. 21octies, comma 2, della l. n. 241/1990;

– violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997 (ora artt. 192 e segg. del d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 18 del d.m. n. 471/1999, eccesso di potere per carenza assoluta di presupposti e difetto di istruttoria, giacché la disciplina di settore individua quali soggetti tenuti alla bonifica il responsabile dell’inquinamento ed il proprietario o titolare di diritto reale/personale di godimento sull’area, cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, cosicché la curatela non potrebbe essere destinataria dell’obbligo di ripristino ambientale (per fatti, peraltro, verificatisi all’epoca in cui l’immobile in discorso era ancora nella disponibilità della società), non subentrando negli obblighi strettamente correlati alla responsabilità del fallito e potendo al più la P.A. recuperare le somme anticipate per l’intervento mediante insinuazione al passivo del fallimento;

– violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997 sotto differente profilo ed eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti e difetto di istruttoria, perché anche laddove si ritenesse che la curatela fallimentare possa essere destinataria passiva dell’ordine di rimozione dei rifiuti, nel caso di specie non sarebbe ascrivibile al curatore rag. V. nessun comportamento colpevole, essendosi egli attivato (con un’istanza al Comune) per scongiurare i rischi connessi alla situazione di inquinamento e tenuto conto dell’inottemperanza dei soci falliti a precedenti ordinanze emesse dal Comune di Montescudaio nei loro confronti.

2.2. Il Comune di Montescudaio, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.

2.3. Nella Camera di consiglio del 15 maggio 2008 il Collegio, considerata la precedente adozione, da parte del Comune, di ordinanze per la messa in sicurezza e la rimozione dei materiali combusti a carico dei titolari della società fallita, ritenuta l’impossibilità di accollare al curatore del fallimento oneri di bonifica direttamente riconducibili a situazioni perfezionatesi in capo all’impresa fallita in epoca antecedente al fallimento e considerata, da ultimo, la possibilità per il Comune di eseguire ex officio la bonifica, insinuando il relativo credito al passivo fallimentare, con ordinanza n. 490/2008 ha accolto l’istanza incidentale di sospensione.

2.4. In vista dell’udienza di merito, il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle conclusioni già rassegnate.

2.5. All’udienza pubblica del 10 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Si può prescindere dall’esame della censura (violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990) di natura formaleprocedimentale dedotta dal ricorrente con il primo motivo, attesa la fondatezza, nel caso di specie, di quelle di natura sostanziale contenute nel secondo e nel terzo motivo.

3.1. In particolare, deve essere condivisa, alla luce della prevalente giurisprudenza espressasi sulla questione, la doglianza del ricorrente, per cui la curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento commissivo od omissivo dell’impresa fallita (C.d.S., Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328). Al riguardo si è, infatti, sottolineata l’erroneità delle argomentazioni per cui: a) la disponibilità dei beni, anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entrerebbe giuridicamente nella titolarità del curatore, sul quale graverebbe, per conseguenza, il dovere di rimuoverli secondo le leggi vigenti; b) il fallimento subentra negli obblighi facenti capo all’impresa fallita e perciò sarebbe tenuto all’adempimento dei doveri derivanti dall’accertata responsabilità della stessa impresa, come dimostrerebbe tra l’altro la disciplina della legge fallimentare sulla prosecuzione dei contratti facenti capo all’impresa fallita. In realtà, se l’ordinanza impugnata è rivolta al fallimento per effetto dell’inottemperanza dell’impresa a precedenti provvedimenti (com’è avvenuto sia nella fattispecie analizzata dalla giurisprudenza ora riportata, sia nel caso oggetto del ricorso in epigrafe), la curatela fallimentare deve esser considerata estranea alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell’area interessata. Non basta, a far scattare un obbligo in capo alla curatela, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti qualificati come rifiuti inquinanti: il potere di disporre dei beni fallimentari, secondo le regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato, non comporta necessariamente – per la giurisprudenza del Consiglio di Stato in commento, le cui affermazioni il Collegio condivide – il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, volti alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica dei fattori inquinanti. D’altro lato, è proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti a dimostrare che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, non potendosi invocare l’art. 1576 c.c., poiché l’obbligo di mantenimento della cosa locata in buono stato riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da altre disposizioni, dirette ad altro scopo (C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003, cit.).

3.2. Sulla questione si è espresso anche questo Tribunale Amministrativo (T.A.R. Toscana, Sez. II, 1° agosto 2001, n. 1318), che, mutando il proprio precedente orientamento (T.A.R. Toscana, Sez. I, 3 marzo 1993, n. 196; id., Sez. II, 28 aprile 2000, n. 780), ha evidenziato come, in linea di principio, i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non siano beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formino oggetto di apprensione da parte del curatore. L’esclusione della possibilità di sussumere legittimamente i rifiuti nel compendio fallimentare fa, perciò, scartare l’ipotizzabilità di profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore. La sentenza in rassegna precisa, inoltre, che per una diversa conclusione sarebbe necessario individuare un’univoca, chiara ed autonoma responsabilità in capo al curatore fallimentare nell’abbandono dei rifiuti di cui trattasi, che, però, va esclusa quando il fatto si è verificato in epoca antecedente all’apertura della procedura fallimentare, richiedendo la normativa di riferimento (a partire dal d.lgs. n. 22/1997) l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario dell’ordine. In mancanza dell’ascrivibilità alla curatela fallimentare di una condotta illecita o di un comportamento corresponsabile, alla P.A. non resta che procedere all’esecuzione d’ufficio ed al recupero delle somme anticipate con insinuazione del relativo credito al passivo fallimentare, in conformità, del resto, all’art. 18, comma 5, del d.m. n. 471/1999 (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1318/2001, cit.).

3.3. Facendo applicazione del suesposto orientamento al caso qui in esame, non può che concludersi per la fondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso. Infatti, da un lato, l’ordinanza gravata fa riferimento a due ordinanze emesse nei confronti dei soci della società fallita, rimaste inottemperate (la n. 30/05 e la n. 34/05), dando espressamente atto nel dispositivo che i predetti soci (sigg.ri M. ed A.M.) erano proprietari all’epoca dei fatti dell’immobile e dell’area su cui insistono i residui di materiali combusti a seguito dell’incendio del capannone. Dall’altro, nessun addebito sul piano soggettivo, di nessun genere, viene mosso nei confronti della curatela fallimentare, evocata in aggiunta ai succitati sigg.ri Mondini quale soggetto destinatario dell’ordine. In particolare, nessuna menzione viene fatta circa un’eventuale autorizzazione del fallimento a proseguire l’attività svolta in precedenza dall’impresa fallita (ciò che avrebbe potuto legittimare un collegamento dell’obbligo di bonifica all’effettuazione di operazioni potenzialmente inquinanti: C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003, cit.). Donde la fondatezza del gravame.

3.4. Ad una diversa conclusione non si potrebbe pervenire neanche aderendo alla tesi che configura l’illecito ambientale come illecito permanente. In base a detta tesi si è affermata l’applicabilità della normativa di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 a qualsivoglia situazione di inquinamento in atto al tempo dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 cit., indipendentemente dal momento del verificarsi del fatto generatore dell’attuale situazione patologica: ciò, però, a condizione che il soggetto che aveva posto in essere la condotta all’epoca in cui non vigeva ancora il d.lgs. n. 22/1997 fosse lo stesso che operava al tempo del verificarsi dell’inquinamento, dopo tale data (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913). Per quanto sopra detto, si deve escludere che una simile identità sia ipotizzabile tra il fallito e la curatela fallimentare. Sul punto, il Collegio ritiene di aderire in toto alle osservazioni avanzate dal curatore fallimentare nell’istanza di riesame dell’ordinanza gravata e, poi, riprodotte nel ricorso, in base alle quali, al di fuori dell’esercizio provvisorio (caso non verificatosi), il curatore non è il produttore dei rifiuti, né lo diventa con la dichiarazione di fallimento, poiché non sostituisce il fallito e la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell’impresa fallita. Peraltro, quando (come nella fattispecie per cui è causa) è il fallito ad aver prodotto i rifiuti e cagionato un danno all’ambiente, sullo stesso grava l’onere per il relativo smaltimento, da soddisfare, come già esposto, con l’insinuazione al passivo fallimentare del credito sorto in capo alla P.A. che ha anticipato le relative spese.

4. In definitiva, il ricorso è fondato, in virtù della fondatezza del secondo e del terzo motivo e con assorbimento del primo. Conseguentemente, va disposto l’annullamento dell’impugnata ordinanza del Comune di Montescudaio, nella parte in cui ingiunge la presentazione del piano di bonifica per l’area interessata in capo al curatore fallimentare.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei confronti del Comune di Montescudaio, con compensazione nei confronti delle altre parti evocate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per conseguenza, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Montescudaio al pagamento di spese ed onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi Euro 3.000 (tremila/00), più gli accessori di legge, compensando le spese nei confronti delle altre parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *