T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 125 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone la società ricorrente di essere titolare della concessione di cava denominata Borelle, sita nel Comune di Vagli di Sotto e di avere presentato, in data 6 aprile 2007, al Parco regionale delle Alpi Apuane, istanza per l’avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale, ex l. reg. n. 79 / 1998, presentando il relativo progetto di coltivazione.

In data 21 maggio 2007 la Commissione tecnica incaricata della valutazione di impatto ambientale, in ordine il progetto presentato, rilevava che: "l’intervento interferisce in modo consistente con il sito denominato Evocava, già oggetto di pubblici finanziamenti per interventi di recupero e rifunzionalizzazione, attualmente utilizzata come spazio per manifestazioni culturali di spettacolo compromettendone le attuali funzioni; l’intervento ricade in un’area ormai completamente rinaturalizzata dove sono presenti strutture per lo spettacolo e strutture ricettive; l’intervento ricade in un’area che il Piano per il Parco, in corso di adozione, destina ad area parco e non più ad area estrattiva; devono essere chiarite le effettive disponibilità dei beni".

Nel corso del procedimento interveniva anche il Presidente della Associazione culturale Evocava dichiarando la sua contrarietà alla realizzazione del progetto in quanto la gestione della cava, il cui recupero ambientale era stato finanziato con fondi pubblici, risultava soltanto sospesa e non abbandonata.

Con comunicazione del 7 luglio 2007 il Comune di Vagli di sotto dichiarava l’apertura di nuovi fronti di cava vicino alla ex cava Borrelle, conforme al Piano regolatore del comune stesso, ricadendo detta area in zona estrattiva, e regolare la concessione rilasciata per il piano di coltivazione. Rilevava, altresì, l’infondatezza delle considerazioni svolte dal Parco delle Apuane osservando che la zona de qua risultava ormai da molti anni abbandonata e impraticabile per qualsiasi attività al di fuori di quella estrattiva.

Nella seduta del 12 novembre 2007 la Commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale esprimeva parere contrario per le seguenti motivazioni: la resa del materiale lapideo in blocchi, dichiarata dal progettista, risulta inferiore al 25%, limite minimo stabilito dalla delibera di Consiglio direttivo del Parco n. 33 dell’11 novembre 2007, per l’ammissibilità dei piani di coltivazione; lo stato attuale descritto nelle tavole di progetto non risulta corrispondente alla reale conformazione del territorio, in particolare non risultando rappresentati i tre alti morfologici interessati dal progetto; la viabilità di accesso proposta comporta sbancamenti eccessivi su un’area boscata con forte pendenza, nonché l’abbattimento parziale dell’alto morfologico a nord della cava; il progetto proposto compromette fortemente la valenza paesaggistica della zona utilizzata come spazio per manifestazioni culturali e di spettacolo; la fascia di calcare selcifero interessata dall’attività estrattiva non è così trascurabile come indicato nel progetto; il progetto presenta, inoltre, una serie di carenze relativamente all’impatto acustico, alla valutazione delle emissioni diffuse, alla descrizione delle tecnologie utilizzate, alla mancata identificazione di aree di stoccaggio del materiale di risulta.

Conclusivamente, in data 16 novembre 2007, il Settore uffici tecnici del Parco, con la propria determinazione n. 18 negava la pronuncia di compatibilità ambientale e il nullaosta per la coltivazione della cava, riprendendo e facendo proprie le considerazioni già espresse in senso negativo dalla Commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale.

In data 21 dicembre 2007, avverso la predetta determinazione, la società ricorrente presentava ricorso in opposizione al Presidente del Parco.

Con i provvedimenti indicati in epigrafe, a firma del coordinatore del Settore uffici tecnici, il ricorso in opposizione veniva respinto, peraltro senza riportare alcuna motivazione.

Contro tale atto ricorre la società in intestazione chiedendone l’annullamento, previo sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione.

2. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 14 della l. reg. n. 65/1997. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 della l. reg. n. 65/1997. Violazione e/o falsa applicazione del Piano regionale delle attività estrattive. Eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, mancanza dei presupposti.

3. Violazione e/o falsa applicazione della delibera del Consiglio direttivo del parco n. 46 del 29 novembre 2007. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 della l. reg. n. 65/1997, come modificato dall’art. 1 della l. reg. n. 63/2006. Violazione e/o falsa applicazione delle norme di PRG del Comune di Vagli di Sotto.

4. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16, commi 3, 4 e 5, e dell’art. 18, comma 1, della l. reg. n. 79/1998. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 della l. reg. n. 78/1998. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, della l. reg. n. 65/1997. Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà dei procedimenti svolti dall’Ente parco.

5. Eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, erronea valutazione degli elementi di fatto.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Con ordinanza n. 492 depositata il 15 maggio 2008 veniva accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.

A seguito della predetta pronuncia cautelare l’Ente parco procedeva alla riapertura del procedimento relativo all’esame del ricorso in opposizione presentato dalla Cogemar che si concludeva con la pronuncia di compatibilità ambientale dell’8 agosto 2008, peraltro limitando l’attività estrattiva alle aree poste al di sotto di quota m. 1184, asseritamente al fine di "salvaguardare il sito di alto valore paesaggistico della ex cava Borelle", significando, inoltre, che ogni violazione di tale prescrizione avrebbe comportato la revoca dell’autorizzazione.

Con motivi aggiunti, notificati il 14 novembre 2008 e ritualmente depositati, la società ricorrente si è gravata anche contro tale nonché contro la determinazione n. 79/08 con cui il Comune di Vagli Sotto ha rilasciato l’autorizzazione allo scavo nei termini precisati dall’Ente Parco.

Si deduce:

1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta. Violazione e/o falsa applicazione dell’ordinanza cautelare del TAR Toscana n. 492/2008. Eccesso di potere per sviamento. Difetto di motivazione in relazione alla sostanziale elusione dell’ordinanza cautelare.

2. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancanza dei presupposti di fatto, illogicità, contraddittorietà manifesta, sviamento.

3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 14 della l. reg. n. 65/1997. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20 e 21 della l. reg. n. 65/1997 e dell’art. 13 della l. n. 394/1991 sulle aree protette. Violazione e/o falsa applicazione del Piano regionale delle attività estrattive. Eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, mancanza dei presupposti.

4. Violazione e/o falsa applicazione della delibera del Consiglio direttivo del parco n. 46 del 29 novembre 2007. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 della l. reg. n. 65/1997, come modificato dall’art. 1 della l. reg. n. 63/2006. Violazione e/o falsa applicazione delle norme di PRG del Comune di Vagli di Sotto.

5. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 4, della l. reg. n. 78/1998, come richiamato dall’art. 21, comma 1, della l. reg. n. 65/1997, nonché dell’art. commi 4 e 5, della l. reg. n. 78/1998, e dell’art. 16, comma 5, della l. reg. n. 79/1998.

6. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 3, della l. reg. n. 79/1998.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato l’atto in epigrafe con cui il Parco regionale delle Alpi Apuane, Settore Uffici Tecnici, ha respinto il ricorso in opposizione proposto dalla ricorrente contro la pronuncia di compatibilità ambientale n. 18 del 16 novembre 2007, nonché il diniego di nulla osta del Parco, ex art. 20 l. reg. n. 65/97, dell’1 dicembre 2007, con cui l’Ente ha determinato di non rilasciare pronuncia di compatibilità ambientale relativamente alla richiesta di avvio del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale per il progetto di coltivazione della cava denominata Borelle, sita nel Comune di Vagli Sotto.

Viene, altresì, domandata la declaratoria del diritto alla su riferita pronuncia di compatibilità ambientale e relativo nullaosta del Parco, nonché il risarcimento del danno subito e subendo dalla ricorrente per effetto dell’illegittimo rigetto espresso dall’Amministrazione intimata, ex art. 35 d.lgs. n. 80/1998 e s.m.i. e art. 2043 cod. civ..

Come riferito in narrativa, a seguito della pronuncia con la quale, in sede cautelare, la Sezione aveva accolto l’istanza di sospensione dell’atto impugnato, rilevandone l’assoluto difetto di motivazione, l’Ente parco, riesaminata la questione, ha emesso il provvedimento n. 11 dell’8 agosto 2008 con cui rilasciava la richiesta pronuncia di compatibilità ambientale, peraltro limitando l’attività estrattiva alle aree poste al di sotto di quota m. 1184, asseritamente al fine di "salvaguardare il sito di alto valore paesaggistico della ex cava Borelle", soggiungendo che ogni violazione di tale prescrizione avrebbe comportato la revoca dell’autorizzazione

Ne consegue che l’emanazione di ulteriori provvedimenti con cui la p.a. assume nuove determinazioni attraverso un rinnovato iter istruttorio e motivazionale determina il sopravvenire del difetto di interesse alla definizione del ricorso proposto avverso l’originario provvedimento impugnato, non potendo conseguire la ricorrente alcuna utilità dall’eventuale annullamento di tale atto, ormai sostituito dalle nuove determinazioni che ridefiniscono l’assetto degli interessi coinvolti dal procedimento amministrativo e sui quali deve, appunto, ritenersi trasferito ogni interesse dell’istante.

Né, come più volte ritenuto dalla giurisprudenza, tale conclusione può essere mutata dalla circostanza che il riesame sia avvenuto su impulso di un’ordinanza cautelare, perché il riesercizio del potere amministrativo, per quanto vincolato nell’an dall’ordine impartito con il provvedimento giurisdizionale cautelare, non può essere qualificato, in questi casi, né per la natura né per gli effetti, alla stregua di una pedissequa esecuzione del dictum giudiziale, atteso che il riesercizio del potere implica l’adozione di determinazioni discrezionali o tecnicodiscrezionali, in nessun modo imputabili o riferibili né soggettivamente né oggettivamente all’organo giurisdizionale (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 25 settembre 2009, n. 1534; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII 12 marzo 2007 n. 1785; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 5 aprile 2006, n. 355).

Conseguentemente, va dichiarata l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio, fatta eccezione per la domanda risarcitoria che sarà esaminata in seguito.

Il ricorso per motivi aggiunti è, per contro, fondato.

Meritano, in particolare, favorevole considerazione le censure di cui al primo e secondo motivo con il quale la ricorrente evidenzia il difetto assoluto di motivazione, il difetto di istruttoria e l’illogicità manifesta del provvedimento con il quale, pur esprimendosi favorevolmente sulla compatibilità ambientale, il Parco delle Alpi Apuane limita fortemente i confini dell’attività di coltivazione della cava, circoscrivendola ad una quota non superiore a m. 1184 s.l.m., oltre che la sostanziale elusione dell’ordinanza cautelare del TAR Toscana n. 492/2008.

La tesi appare convincente.

Come si è riferito, la nuova determinazione assunta dall’Amministrazione resistente è fondata sulla considerazione che le limitazioni imposte alla coltivazione della cava siano necessarie al fine di "salvaguardare il sito di alto valore paesaggistico della ex cava Borelle", senza che, peraltro, alla luce delle documentate controdeduzioni dell’interessata, venga fornita alcuna valutazione in ordine al contenuto dell’istanza di riesame e dei profili da questa dedotti.

Fermi restando gli apprezzamenti riservati al merito dell’azione amministrativa, non pare che la determinazione impugnata dia conto delle conclusioni raggiunte se non in termini meramente assertivi e senza considerare le argomentate osservazioni offerte dalla Cogemar a supporto della sua istanza.

In particolare, la ricorrente, nel corso del procedimento di riesame, ha fatto rilevare, anche attraverso documentazione fotografica, che la posizione della cava, in ragione della sua configurazione morfologica, non intacca la valenza paesaggistica del sito, essendo esclusa la sua visibilità da strade, sentieri e insediamenti. Anche la vegetazione presente in loco si presenta, più che altro, come spontanea ricrescita di arbusti privi di particolare pregio ambientale, considerando il contesto di cava già oggetto di sfruttamento e per la quale il progetto di recupero risulta interrotto da oltre un decennio e i cui parziali esiti versano in uno stato di abbandono degrado.

Sul punto, del resto, è lo stesso Comune di Vagli di Sotto a precisare che le opere di recupero hanno riguardato prevalentemente la ristrutturazione di una cabina elettrica preesistente e la regimazione idraulica di una strada distante dal sito di cava.

Inoltre la ricorrente evidenzia: l’erronea indicazione della pendenza dello stradello di accesso alla cava (segnalata dall’Amministrazione nel 40%, mentre essa, confrontando lo sviluppo planimetrico del medesimo e le diverse altezze dei punti da porre in comunicazione, si palesa di circa il 18%); l’approssimazione del calcolo relativo alla resa minima del materiale lapideo estratto che non terrebbe conto, così come stabilito dalla delibera del Consiglio direttivo del Parco n. 33/07, della quantità del materiale movimentato per la preparazione del fronte di scavo.

E ciò senza considerare che l’eventuale diversa destinazione del sito di cava colliderebbe con quella impressa all’intera zona dalla pianificazione urbanistica del Comune di Vagli di Sotto che, infatti, la destina, tutt’ora ad attività estrattive.

Il provvedimento avversato non si sottrae, dunque, alle censure prospettate, soprattutto ove si tenga conto che, in un procedimento di secondo grado quale quello in esame (vertendosi, lo si rammenta, in tema di ricorso in opposizione), l’Amministrazione, una volta acquisite le osservazioni della parte interessata è tenuta, anche se non in maniera analitica, a dare conto delle stesse in sede di motivazione, raffrontando le ragioni del soggetto privato con l’interesse pubblico in funzione del quale il potere è esercitato ed esplicitando le ragioni di prevalenza di quest’ultime che giustificano il sacrificio delle prime (T.A.R. Lazio Latina, 1 febbraio 2008, n. 84).

Seguendo tale ordine di argomentazioni non può ritenersi sufficiente la mera enunciazione di formule stereotipe quali quelle utilizzate nella fattispecie con riferimento alle esigenze di salvaguardia del "sito di alto valore paesaggistico della ex cava Borelle", e tale principio si applica, a fortiori, quando l’Amministrazione esercita un potere non vincolato ma prettamente discrezionale, essendo, tra l’altro, la società ricorrente titolare di una autorizzazione alla coltivazione della cava in questione regolarmente rilasciata dal Comune di Vagli di Sotto.

Né, d’altro canto, può ritenersi che, a tal fine, possano supplire le argomentazioni prospettate in giudizio dalle difese delle Amministrazioni intimate ostandovi, pacificamente, il divieto di integrazione postuma della motivazione.

Conseguentemente il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti con esso impugnati.

Diversa sorte va riservata alla connessa domanda tendente alla declaratoria del diritto alla pronuncia di compatibilità ambientale ex art. 18 della l. reg. n. 79/98 per l’evidente ragione che quella dedotta in giudizio dalla ricorrente è, senza alcun dubbio, una posizione di interesse legittimo.

E’ del tutto pacifico, infatti, che è inammissibile la domanda giudiziale d’accertamento del diritto soggettivo di cui il ricorrente vanti la titolarità, quando al contrario, questa, in ragione dell’interesse pretensivo dedotto e della correlativa esistenza in capo all’Amministrazione di poteri discrezionali può solo atteggiarsi in termini di interesse legittimo (Cons. Stato sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5869; id. sez. IV, 17 marzo 2003, n. 1372; id., 17 febbraio 2004, n. 587).

Come riferito in precedenza la società ricorrente ha avanzato anche un’azione risarcitoria in relazione al danno asseritamente subito per effetto del provvedimento originariamente impugnato reiterando tale domanda con i motivi aggiunti successivamente proposti.

Osserva il Collegio che per principio ormai consolidato in giurisprudenza, l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento, dal quale deriva la lesione in capo al soggetto titolare dell’interesse legittimo, costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente, affinché si configuri una responsabilità dell’apparato amministrativo procedente; occorre infatti la prova dell’esistenza di un danno, che l’interessato deve fornire, l’accertamento del nesso di causalità diretta tra l’evento dannoso e l’operato dell’Amministrazione e, infine, l’imputazione dell’elemento dannoso a titolo di dolo o colpa della Pubblica amministrazione da ritenersi sussistente nell’ipotesi in cui l’adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all’interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l’attività amministrativa.

Con riferimento al caso in esame va, innanzitutto, rilevato che parte ricorrente si sottrae all’onere di fornire prova del pregiudizio patrimoniale subito.

In proposito è sufficiente rammentare che la prova dell’esistenza di un danno deve essere fornita dall’interessato, secondo il principio espresso dall’art. 2696 cod. civ., né la rilevata carenza argomentativa può essere supplita da una eventuale consulenza tecnica disposta d’ufficio dal giudice, atteso che, come è noto, questa costituisce solo un mezzo di valutazione del materiale probatorio acquisito già agli atti del giudizio (Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2010, n. 3833).

Decisiva appare, poi, un’ulteriore considerazione che nella circostanza elide in radice la pretesa vantata dalla ricorrente.

Invero, secondo il noto modus operandi elaborato in sede giurisprudenziale, compete a questo giudice, nell’esame della domanda risarcitoria connessa alla lesione dell’interesse pretensivo della parte, la prognosi da effettuarsi ex post sul conseguimento del bene della vita dell’interessato, in questo caso rappresentato dal rilascio dell’autorizzazione nei termini rappresentati (Cons. Stato sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4868; id., sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2894).

Secondo tale ordine di argomentazioni, pienamente condiviso dal Collegio, ai fini dello scrutinio della domanda risarcitoria conseguente alla declaratoria di illegittimità dell’atto amministrativo difetta il nesso di causalità fra l’illegittimità dell’atto lesivo e il danno lamentato allorché la Pubblica amministrazione conserva, dopo l’annullamento giurisdizionale, un ambito di apprezzamento discrezionale in ordine all’adozione del provvedimento ampliativo richiesto e la possibilità di una legittima diversa determinazione (cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, 28 novembre 2005 n. 700).

Sotto tale profilo è evidente, per quanto sopra esposto, che non sussiste alcun automatismo tra l’annullamento della determinazione dirigenziale oggetto di questo giudizio e il rilascio dell’autorizzazione nei termini e nei limiti divisati dalla ricorrente ((Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2006 n. 4234; id., Sez. V, 30 giugno 2003 n. 3871; T.A.R. Toscana, Sez. III 13/3/08 n. 1453).

Ne consegue la reiezione della domanda risarcitoria proposta con i motivi aggiunti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, dichiara improcedibile il ricorso originario e accoglie i motivi aggiunti successivamente proposti, per l’effetto annullando gli atti con questi ultimi impugnati.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto alla pronuncia di compatibilità ambientale da parte dell’Ente Parco.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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