Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-11-2010) 26-01-2011, n. 2570 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 19.7.2004 il Tribunale di Roma, per quanto qui rileva, dichiarava S.R., e B.A. responsabili del reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti commesso in concorso tra loro e con altri, accertato il (OMISSIS), in relazione al ritrovamento di 50 gr di cocaina all’interno di un casolare in uso a tale D.F.M. (separatamente giudicato); riteneva B. responsabile anche della detenzione di gr. 1,21, di cocaina rinvenuta nel suo scooter, in (OMISSIS)); riteneva T.T. responsabile dei reati di importazione di sostanze stupefacenti, per aver importato in Italia circa 900 gr. di cocaina spedendola a sè medesimo sotto falso nome, nonchè di falso e ricettazione, commessi in (OMISSIS); li assolveva invece dal contestato reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti;

riconosciute le attenuanti generiche, il Tribunale li condannava alla pena di anni 7 di reclusione ed Euro 30.000 di multa il S., anni 7 mesi 6 ed Euro 35.000 il B., anni 10 ed Euro 50.000 il T..

La Corte di appello, con sentenza del 16.7.2009, confermava la responsabilità di T., che aveva ammesso le proprie responsabilità, per i reati a lui ascritti (capi b), c), d);

dichiarava estinti per intervenuta prescrizione i reati di cui ai capi c) e d) e rideterminava la pena per il residuo reato di importazione di stupefacenti in 8 anni di reclusione e Euro 45000,00 di multa (pena base anni 10 e mesi 6 ed Euro 60000,00 ridotta di un terzo per le attenuanti generiche aumentata per la continuazione interna al capo b).

Quanto all’episodio di Ariccia, la Corte dava atto che per esso era intervenuto provvedimento di archiviazione da parte del Gip del Tribunale di Ariccia (territorialmente competente); ma aggiungeva che il procedimento in corso trovava la sua genesi nelle indagini coordinate dalla DDA di Roma che avevano portato alla contestazione anche del reato associativo D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, investendo il competente giudice di Roma; non era dunque richiesto decreto autorizzativo della riapertura delle indagini. In merito alla responsabilità, evidenziava che S. e B. erano stati arrestati proprio fuori del casolare di D.F. e che la loro corresponsabilità per la droga rinvenuta all’interno, occultata in una custodia per videocassetta, emergeva anche dal contenuto di intercettazioni telefoniche dal chiaro contenuto riferibile al traffico di sostanze stupefacenti. La Corte diminuiva tuttavia la pena inflitta ai due imputati, per meglio adeguarla ai fatti addebitati, ritenendo equa per B. la pena di 6 anni di reclusione e Euro 35000,00 di multa (pena base anni 7 e mesi 6 ed Euro 45000,00 ridotta di un terzo per le attenuanti generiche aumentata di 1 anno per la continuazione con il capo b); e per S. quella di 5 anni e 30000,00 Euro (pena base anni 7 e mesi 6 ed Euro 45000,00 ridotta di un terzo per le attenuanti generiche).

Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso per cassazione i difensori di T., S. e B..

T. lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione per non essere stata adeguatamente contenuta la misura della pena inflitta e per il mancato riferimento della pena a ai nuovi parametri sanzionatori di cui alla L. 22 febbraio 2006, n. 49, con la quale il minimo edittale per la fattispecie considerata è stato abbattuto di ben due anni.

S. deduce con un primo motivo la nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 414 c.p.p., contestando la possibilità di ritenere superfluo il provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini perchè il nuovo procedimento è promosso da diverso ufficio giudiziario. Con un secondo motivo sostiene che la propria ritenuta responsabilità non sarebbe sorretta da un sufficiente impianto motivazionale atteso che la stessa Corte di appello ha riconosciuto che S. era interessato alle corse di cavalli e tuttavia non ha considerato che la maggior parte delle telefonate tra S. e D.F. erano avvenute proprio nei giorni in cui vi erano corse e travisa il contenuto di quelle che altro non erano se non lecite conversazioni aventi ad oggetto le scommesse.

Nell’interesse di B. viene formulata una prima censura attinente all’episodio di (OMISSIS), sostenendosi che la responsabilità per concorso con il D.F. è stata ravvisata in assenza di elementi concreti (il B. era fuori dal casolare) e solo sulla base della reciproca frequentazione e del contenuto di intercettazioni che ben potevano essere riferite alle corse dei cavalli; non vi è prova di un apporto concreto che possa giustificare la ritenuta responsabilità concorsuale. Con un secondo motivo si lamenta la violazione del divieto di "reformatio in pejus" avendo la Corte di appello operato un aumento per la continuazione superiore a quello operato in primo grado(Cass. N. 33007 del 2005).
Motivi della decisione

I ricorsi non meritano accoglimento risultando infondati i motivi addotti, salvo quanto si dirà per la posizione di B..

Il ricorso di T. non contesta la ritenuta responsabilità, peraltro chiaramente emersa dal sequestro dei pacchi contenenti cocaina e dagli accertamenti circa l’identità del destinatario degli stessi con l’attuale ricorrente, ma si incentra esclusivamente sul trattamento sanzionatorio di cui si lamenta, sostanzialmente, la eccessiva severità, la mancata considerazione per gli elementi favorevoli all’imputato quali il notevole lasso di tempo intercorso dai fatti giudicati, la giovane età del medesimo all’epoca degli stessi, il suo atteggiamento collaborativo, elementi che pur risultando dalla motivazione della sentenza qui impugnata non hanno però portato ad un effettivo e proporzionale diminuzione della pena, anche in rapporto ai nuovi, più favorevoli, limiti minimi introdotti con la riforma del 2006, caratterizzando dunque – secondo il ricorrente – il relativo giudizio per contraddittorietà e illogicità di motivazione. Tale vizio non sussiste. La Corte di appello ha effettivamente messo in luce le circostanze di cui sopra, mettendole però a confronto con le modalità della condotta del prevenuto denotante una proclività all’illecito ed una potenzialità criminale e rilevando che, nonostante tali ultimi aspetti, poteva riconoscersi all’imputato una diminuzione di pena. La misura di tale diminuzione non merita censura sotto il profilo di un preteso vizio di illogicità, atteso che il giudice ha indicato le ragioni che lo hanno indotto a diminuire la pena nei confronti dell’imputato nei limiti di cui sopra, portando la sua attenzione a tutte le circostanze del caso concreto, con ciò adempiendo correttamente all’obbligo di fornire le ragioni delle sue decisioni. Il controllo di legalità non può spingersi fino a censurare, come in sostanza vorrebbe la difesa dell’imputato, la dosimetria della pena da parte del giudice di merito. Quanto alla mancata considerazione dei nuovi limiti introdotti dalla L. n. 49 del 2006, è sufficiente osservare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sez. 2^ 5.3.2010 n. 12344 rv 246857; sez. 2^ 9.4.2010 n. 32673 rv 247998) la diminuzione del minimo edittale della pena prevista per i reati in materia di detenzione e cessione di stupefacenti ( L. n. 49 del 2006, art. 4 – bis), intervenuta dopo la sentenza di condanna dì primo grado, non obbliga il giudice d’appello a rimodulare in senso favorevole al reo la misura della sanzione inflitta quando il primo giudice abbia determinato la pena in misura superiore al minimo edittale.

Passando ad esaminare le altre posizioni, deve innanzitutto ribadirsi, che, come peraltro già opportunamente spiegato dalla Corte di appello, non sussiste nullità del procedimento per mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini potendosi al riguardo richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo sez. 1^, 20.1.2005 n. 4536 rv 231491; sez. 5^, 22.9.2005 n. 45725 rv 233209) secondo la quale il decreto di autorizzazione alla riapertura delle indagini, dopo che per lo stesso illecito sia intervenuto un provvedimento di archiviazione, non è richiesto quando il nuovo procedimento sia promosso presso un ufficio giudiziario diverso da quello che abbia deliberato l’archiviazione, posto che l’identità del fatto, cui la legge subordina la necessità dell’autorizzazione, deve essere tale anche con riguardo all’autorità procedente.

I ricorsi proposti da Be. e B. possono essere esaminati congiuntamente per quanto riguarda le censure sull’accertamento della responsabilità, che si sostanziano nel dedurre l’assenza di prova in ordine al ritenuto concorso nella detenzione dello stupefacente ritrovato all’interno del casolare di Ariccia unitamente a materiale destinato alla preparazione delle dosi, annotazioni di cifre e nomi, ed una consistente disponibilità di denaro da parte di S. e D.F..

Oltre a ciò, risulta dalle sentenze dei giudici di merito (quella di primo grado come noto integrativa di quella di appello) che gli attuali ricorrente, all’atto dell’intervento delle forze dell’ordine, erano sorpresi appena al di fuori del detto casolare; in esso si svolgeva in modo assiduo attività di confezionamento di stupefacente; in altra occasione B. e D.F. erano stati visti allontanarsi portando con sè un involucro in tutto simile a quello in cui, all’atto della perquisizione, era nascosta la droga;

Be. e B. avevano assidui e continui contatti con D. F. e le intercettazioni ambientali effettuate nel casolare avevano confermato il coinvolgimento di entrambi nello spaccio dello stupefacente, chiari essendo i riferimenti, volta a volta, alla droga, all’attività di taglio della medesima, alle possibilità di guadagno collegate all’attività; ulteriore conferma per B. è data dal fatto che a seguito di un intercettazione egli veniva sottoposto a controllo e trovato in possesso dello stupefacente che si apprestava a consegnare; il chiaro tenore di alcune telefonate in cui s parlava di etti, chili, grammi faceva escludere inequivocabilmente che le stesse potessero essere riferibili alle scommesse sui cavalli, come sostenuto da S.. Il compendio probatorio sopra sinteticamente richiamato ha correttamente consentito ai giudici di ritenere il concorso degli attuali ricorrenti nel contestato reato, atteso che la loro presenza sul posto all’atto della perquisizione e il pacifico cointeressamento nella gestione del traffico di stupefacente dimostrano la volontà dei medesimi di agire per una finalità unitaria con consapevolezza dell’attività e del ruolo altrui. In conclusione la sentenza impugnata non merita censura sul punto del ritenuto concorso.

Deve invece essere accolto il secondo motivo proposto da B., atteso che effettivamente la sentenza impugnata contiene una "reformatio in pejus" laddove a titolo di continuazione è stato inflitto all’imputato un aumento di pena di un anno, mentre in primo grado l’aumento, per lo stesso reato, era stato stabilito in sei mesi. Trattandosi di mero calcolo materiale, questa Corte può direttamente provvedere a rideterminare la pena inflitta a B. in anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 35000,00 di multa, così rettificato, con provvedimento adottato dal Collego lo stesso 12.11.2010, l’errore contenuto nel dispositivo riportato nel ruolo di udienza, nel senso che laddove nel ruolo era scritto "anni sette mesi sei di reclusione ed Euro 45000,00 di multa deve leggersi "anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 35000,00 di multa".
P.Q.M.

La Corte:

In parziale accoglimento del ricorso di B. ridetermina la pena in anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 35000,00 di multa;

rigetta il ricorso nel resto; rigetta i ricorsi di Be. e T. e condanna questi ultimi al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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