Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-11-2010) 26-01-2011, n. 2757 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 3-11-2009 la Corte di Appello di Caltanissetta pronunziava la riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale del luogo, in data 15-3-2007, appellata dal Procuratore Generale, nei confronti di G.S. – imputato del reato di cui all’art. 479 c.p. (contestato per avere realizzato la falsificazione di una distinta di versamento in conto corrente postale, in qualità di dipendente dell’ufficio apponendo la falsa sottoscrizione di N. F..

Fatto acc. in data (OMISSIS)).

In particolare il primo Giudice, in sede di rito abbreviato, aveva ritenuto insussistente l’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 479 c.p. evidenziando che l’imputato aveva agito in accordo con le persone interessate (la titolare del conto e la nipote, per versare la somma di Euro 4.688,00), mentre non aveva realizzato alcun interesse personale.

La Corte aveva ritenuto il fondamento dell’appello proposto dal PG che aveva evidenziato come fosse da escludere l’ipotesi di un falso grossolano o inutile, e che d’altra parte ricorreva l’elemento psicologico del reato (individuato nella coscienza e volontà di realizzare la immutatio veri).

L’imputato era stato così condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di mesi sei di reclusione, dichiarata condonata, ai sensi della L. n. 241 del 2006.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo con il primo motivo la violazione di cui all’art. 606, lett. B) ed E) in relazione all’art. 479 c.p. e art. 530 c.p.p..

A riguardo evidenziava che il dolo del delitto contestato doveva essere rigorosamente provato, e che viceversa nella specie si era verificato un comportamento del G. dovuto a leggerezza (poichè il predetto, dopo aver fatto firmare a N.F. la distinta per il prelievo della somma di Euro 4.688,156, da versare sul conto della nipote, come voluto dalla anzidetta titolare del conto corrente postale, aveva compilato poi la distinta di versamento da attribuire alla intestataria del libretto, secondo la difesa con il pieno consenso della predetta.

In base a tali rilievi la difesa riteneva carente l’elemento psicologico del reato, erroneamente ritenuto dai Giudici di appello, ed evidenziava che il comportamento dell’imputato non aveva prodotto alcun pregiudizio.

Pertanto riteneva trattarsi di un falso innocuo e che comunque l’imputato avesse agito al fine di favorire la titolare del conto, che era persona anziana.

Richiamava altresì giurisprudenza relativa ai casi in cui il fatto sia avvenuto per negligenza nell’espletamento di una prassi amministrativa.

Per tali motivi si riteneva esclusa la punibilità del falso.

2- Con il secondo motivo il ricorrente deduceva la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. B).

A riguardo la difesa rilevava che l’imputato, dipendente dell’ufficio postale, non era dotato della qualifica di pubblico ufficiale, data la natura privatistica dell’ente, e pertanto sarebbe stato semplice incaricato di un pubblico servizio, al quale non poteva attribuirsi il reato previsto dall’art. 479 c.p., e concludeva chiedendo per tali motivi l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva che i motivi di ricorso devono ritenersi privi di fondamento.

Quanto alle deduzioni contenute nel primo motivo di impugnazione, si osserva che ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 479 c.p. – falso ideologico in atto pubblico – "a nulla rileva la circostanza che la "immutatio veri" sia stata commessa non solo senza l’animus nocendi vel decipiendi, ma anche con la certezza di non produrre alcun danno, essendo sufficiente che la falsificazione sia avvenuta consapevolmente e volontariamente.

Ne consegue che il falso non può essere escluso per mancanza di dolo allorchè l’autore abbia agito con la piena consapevolezza e volontà di ciò che faceva" v. in tal senso Cass. Sez. 5^, sentenza n. 335 del 15-01-1992, Galluzzo – RV 189010 e in senso conforme Sez. 6^, sentenza n. 1051 del 26-01-1999, Tritta.

In adesione a tale orientamento della giurisprudenza deve dunque ritenersi correttamente affermata la sussistenza, nel caso di specie, degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 479 c.p. nè rileva, al fine di escludere la configurabilità del reato, l’ipotizzato consenso della persona titolare del conto, come tale unica legittimata ad eseguire l’operazione finanziaria, dato che comunque resta leso il bene giuridico della fede pubblica tutelato dalla disposizione normativa in esame, e dovendosi riconoscere in ogni caso il dolo generico che caratterizza la fattispecie contestata secondo quanto affermato da questa Corte, con sentenza Sez. 5^, n. 6246 del 17-2-2004 – RV 228084 – ("In tema di falsità ideologica in atto pubblico(art. 479 c.p.), ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre non è richiesto nè l’"animus nocendi" nè l’"animus decipiendi", in quanto il delitto è perfetto non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere, ma addirittura anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno").

Appare inoltre corretta la motivazione della impugnata sentenza, ove viene esclusa l’ipotesi di un falso innocuo, atteso che l’atto sul quale era stata apposta la sottoscrizione apocrifa della titolare del conto corrente aveva avuto i suoi effetti.

D’altra parte si rivela priva di fondamento la deduzione difensiva contenuta nel secondo motivo di ricorso, ove si esclude che nella specie l’imputato, dipendente dell’Ente Poste, avesse qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essendo stata privatizzata l’attività dell’Ente.

Va a riguardo ribadito il criterio sancito dalla giurisprudenza di legittimità in materia ai fini della sussistenza della qualifica innanzi richiamata.

Infatti, secondo sentenza Sez. 1^, del 16 marzo 2010, n. 10399, Amendola ed altri – RV 246354 – "Deve considerarsi incaricato di pubblico servizio il dipendente di una società concessionaria di opere o servizi di pubblico interesse che abbia la disponibilità di denaro vincolato al conseguimento di scopi pubblicistici".

Inoltre va menzionata sentenza Sez. 6^, del 26 agosto 1997 n. 7972, Dezzutti – RV 209762 – secondo la quale "La qualifica di pubblico ufficiale, secondo l’attuale formulazione dell’art. 357 c.p., va riconosciuta a tutti i soggetti che, pubblici dipendenti o privati, possono e debbono, nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione ovvero esercitare poteri autoritativi o certificativi.

Al dipendente dell’Ente Poste Italiane – ente che senza dubbio svolge un servizio pubblico, consistente nell’assicurare la comunicazione epistolare e ogni altro tipo di comunicazione – al quale sia affidata la mansione di addetto al servizio dei conti correnti postali, va riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale nell’attività connessa alla riscossione delle somme versate in conto corrente, trattandosi dell’esercizio di poteri certificativi che si esplicano attraverso il rilascio di documenti aventi efficacia probatoria".

In adesione ai menzionati principi deve ritenersi tuttora sussistente per i dipendenti dell’Ente Poste italiane la qualifica di soggetti addetti allo svolgimento di un pubblico servizio, per la natura giuridica delle funzioni espletatele non possono essere circoscritte al settore privatistico-contrattuale.

Per tali motivi restano prive di fondamento tutte le deduzioni difensive tendenti a rivelare i vizi di legittimità della sentenza impugnata in precedenza richiamati.

La Corte deve pertanto rigettare il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SEZIONE QUINTA PENALE, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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