Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-11-2010) 26-01-2011, n. 2564

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava l’affermazione di colpevolezza pronunciata in primo grado, all’esito di giudizio celebrato con il rito ordinario, nei confronti di B.B. e Be.Ma., per concorso in furto aggravato – art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 11, e art. 624 c.p. – di alcuni beni sottratti dai banchi del supermercato "Esselunga"; in particolare, il fatto era stato addebitato alle imputate secondo la seguente contestazione: la B., agendo quale cassiera del detto supermercato (ed approfittando quindi della prestazione d’opera), non aveva fatto passare sul rilevatore automatico dei prezzi la merce che la Be. aveva ritirato dai banchi di vendita, sicchè la registrazione della somma era risultata inferiore al dovuto; così impossessandosi di merce per un valore totale di Euro 121,41 sottraendola al supermercato stesso rappresentato da C.A. S.; fatto commesso in (OMISSIS). La Corte territoriale, per la parte che in questa sede rileva, riteneva corretta la qualificazione del fatto come furto aggravato, e non truffa o furto tentato come prospettato dalla difesa, atteso che: a) l’espediente di registrare solo parzialmente sullo scontrino i beni prelevati dalla Be. dai banchi del supermercato e portati dalla Be. stessa alla cassa, non era finalizzato ad ottenere i beni mediante un atto di disposizione di altro soggetto, bensì ad occultare l’azione furtiva in corso di esecuzione; b) il furto era giunto a consumazione in quanto la Be., con la complicità della B., era riuscita ad allontanarsi dalla cassa senza pagare parte della merce prelevata, così conseguendo il possesso della stessa essendo stata fermata quando stava per uscire dal supermercato, rendendo necessario l’intervento della Polizia per l’accertamento dei prodotti non pagati onde consentirne la restituzione alla "Esselunga". Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la B., denunziando vizio motivazionale e violazione di legge in ordine al diniego della qualificazione del fatto come truffa: a sostegno della propria tesi difensiva, la ricorrente evoca taluni contributi dottrinari ed evidenzia che la stessa Corte di merito ha qualificato come "artificio" l’espediente utilizzato dalle imputate per non pagare parte della merce che la Be. aveva prelevato dai banchi del supermercato.

CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Va in primo luogo rilevato che la ricorrente non ha fatto altro che riproporre in questa sede la tesi – circa la qualificazione giuridica del fatto – già sottoposta al vaglio della Corte di merito e dalla stessa ritenuta infondata con argomentazioni logiche, nonchè in piena sintonia con i principi enunciati in materia da questa Corte. Orbene, giova ricordare che nella giurisprudenza di legittimità è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4^, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. – dep. 03/05/2000 – Rv. 216473; CONF: Sez. 5^, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).

A ciò aggiungasi che la tesi prospettata dalla ricorrente è anche manifestamente infondata, avuto riguardo alle modalità del fatto, sopra ricordate, ed al consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il criterio che distingue il reato di furto e quello di truffa va ravvisato nell’impossessamento mediante sottrazione "invito domino" che caratterizza il furto (come è avvenuto nella concreta fattispecie), giacchè il trasferimento del possesso della cosa non avviene con il consenso del soggetto passivo" (si vedano, con particolare riferimento alla differenza tra furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento – a nulla rilevando che alla B. non è stata contesta l’aggravante ex art. 625 c.p., n. 2, bensì quella di cui all’art. 61 c.p., n. 11, avendo agito in concorso con la Be., dipendente del supermercato "Esselunga" -e truffa, le seguenti decisioni: Sez. 2^, n. 47680 del 04/11/2003 Ud. – dep. 12/12/2003 -Rv. 227995; conf. Sez. 5^, n. 16315 del 14/02/2006 Ud. – dep. 12/05/2006 – Rv. 234425). Particolarmente pertinente, in relazione al caso che ci occupa, si rivela il principio affermato dalla Quinta Sezione Penale di questa Corte con la sentenza n. 3478/98 (ric. Gullà): "L’elemento differenziale tra il furto aggravato dal mezzo fraudolento e la truffa consiste nel fatto che nel furto l’oggetto del reato viene sottratto al detentore eludendone la vigilanza contro la sua volontà, mentre nella truffa il possesso viene conseguito con atto di disposizione dello stesso soggetto passivo il cui consenso è viziato da artifici e raggiri posti in essere dall’agente. Ricorre pertanto il reato di furto aggravato ex art. 625 c.p., n. 2, nel comportamento di chi si impossessa di merce ponendola sul carrello e portandola fuori da un supermercato passando per il varco delle informazioni ed esibendo al personale scontrino relativo ad acquisti effettuati il giorno precedente, trattandosi di condotta idonea a far venire meno la vigilanza del personale addetto al supermercato in ordine all’impossessamento in corso e non già ad ottenere, con l’inganno, la consegna della merce da parte del medesimo personale.". Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr.

Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7 – 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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