Cassazione Sezione I Civile del 4 maggio 2009, n. 10221 Divorzio, assegno divorzile, mantenimento, salute (2009-06-15)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva del 22 dicembre 2001, il Tribunale di Ravenna pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di Ad.An. e Ga.Pa. e con altra pronuncia, definitiva, del 12 gennaio 2005 – poneva a carico dell’ Ad. un assegno divorzile mensile di euro 180,00, oltre rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, condannandolo pure alle spese di causa.

Contro tale pronuncia proponeva appello in via principale l’ Ad. , che chiedeva di negare tale assegno, e in via incidentale la Ga. , per domandare che la decorrenza di detto assegno fosse fissata dalla data della sua domanda e per chiedere che lo stesso fosse aumentato.

Con sentenza del 9 agosto 2005, la Corte d’appello di Bologna ha accolto il gravame dell’ Ad. , che aveva rilevato la circostanza che la Ga. gia’ nel (OMESSO), durante il matrimonio, aveva visto riconosciuta la pensione d’invalidita’ per la perdita del 75% della sua capacita’ lavorativa, sostanzialmente confermata dal c.t.u. nominato in primo grado, per cui mancava la prova di un peggioramento della salute di lei.

La donna, con la sottoscrizione del verbale di separazione consensuale del (OMESSO), nulla aveva chiesto a suo favore come mantenimento ed aveva poi espressamente affermato, in un interrogatorio formale in sede di divorzio, di avere svolto lavori stagionali in agricoltura che le avevano consentito di integrare i propri redditi e di non chiedere nulla all’ Ad. ; per tale condizione economica della Ga. , rimasta immutata alla stessa doveva negarsi l’assegno erroneamente riconosciuto dal tribunale.

La Corte d’appello ha accolto il gravame principale dell’ Ad. , rilevando che i coniugi, sposati dal (OMESSO) e con due figli maggiorenni, avevano con la separazione stabilito che la casa familiare rimanesse al marito, dichiarandosi autosufficienti economicamente.

Poiche’ l’assegno di divorzio era stato concesso dal Tribunale di Ravenna alla Ga. , che la relazione del c.t.u. nominato in primo grado aveva ritenuto come del tutto incapace di lavorare, l’appellante principale aveva fatto rilevare che tale stato d’infermita’ era anteriore alla separazione e risaliva al (OMESSO), anno successivamente al quale la controparte si era dichiarata, in sede di separazione nel (OMESSO), autosufficiente, nulla richiedendo per il mantenimento.

Per ottenere l’assegno di divorzio, la Ga. avrebbe dovuto dare prova del peggioramento delle sue condizioni economiche o di salute al momento della decisione rispetto alla data dell’omologazione della separazione, che giustificasse detto contributo a carico dell’ Ad. ; in difetto di tale prova, la sentenza di primo grado doveva essere riformata, in accoglimento del gravame dell’ Ad. , e la domanda di assegno divorzile della Ga. doveva essere rigettata, ponendosi le spese della causa di secondo grado a carico di questa, restando ferma, per la soccombenza, la disciplina delle spese di primo grado, poste a carico dell’appellante in via principale.

L’accoglimento del gravame principale ha comportato il rigetto di quello incidentale, non sussistendo questione di decorrenza o di misura dell’assegno, del quale si era negato il diritto alla corresponsione in favore della Ga. , che aveva incidentalmente impugnato la sentenza del tribunale.

Per la cassazione di tale sentenza, notificata alla Ga. il 26 ottobre 2005, tale parte ha proposto ricorso di due motivi, notificato il 19 dicembre 2005, e illustrato da memoria; l’ Ad. si e’ difeso con controricorso e ricorso incidentale con un unico motivo, notificato il 26 gennaio 2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Anzitutto vanno riuniti i due procedimenti sorti dai distinti ricorsi delle parti avverso la medesima sentenza della Corte d’appello di Bologna, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..

1.2. Sempre in via preliminare, deve rigettarsi la eccezione d’inammissibilita’ del ricorso, per mancanza in esso della esposizione sommaria dei fatti (articolo 366 n. 3 c.p.c.), esposizione che invece risulta chiara dall’insieme dell’impugnazione e dai singoli motivi in cui la stessa si articola.

Nella premessa del ricorso e’ infatti riportata la ratio decidendi della sentenza del Tribunale di Ravenna, che aveva riconosciuto l’assegno divorzile di euro 180,00 al mese rivalutabili in favore della ricorrente, dando atto dell’assoluta incapacita’ ad alcun tipo di attivita’ lavorativa della donna, emersa dall’indagine del c.t.u. nominato in primo grado (e comparando i redditi dell’ Ad. , con uno stipendio mensile, all’epoca, di circa lire 1.600.000 al mese, con quelli della pensione d’invalidita’ della Ga. , di sole lire 411.000 mensili. In ognuno dei due motivi di ricorso si censura la sentenza d’appello, denunciandosene l’omessa motivazione su fatti controversi decisivi e riportati in essi, cosi’ come sono richiamate le circostanze di fatto sulle quali, in secondo grado, si e’ accolto il gravame dell’ Ad. e respinto quello della Ga. , consentendo a questa Corte, con il solo esame della impugnazione in rapporto ai dedotti vizi motivazionali della sentenza della corte di merito e ai fatti dei quali l’esame e’

mancante, o insufficiente o illogico; una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia.

La esposizione tali fatti, puntualmente riportati,

come poi sara’ precisato nei due motivi del ricorso principale e oggetto della causa di merito, consente di dedurre da essi tutti gli elementi necessari alla valutazione, chiesta al giudice di legittimita’, della motivazione della pronuncia oggetto di ricorso, sia per la parte in cui accoglie l’appello principale che per quella nella quale rigetta il gravame incidentale.

Quindi il ricorso e’ ammissibile potendosi rilevare dal tenore complessivo dell’impugnazione la esposizione sommaria dei fatti di causa, di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3 (cfr. in tal senso, Cass. 12 giugno 2008 n. 15808, 24 luglio 2007 n. 16135, 31 gennaio 2007 n. 2097, tra altre).

2.1. Con il primo motivo di ricorso principale, la Ga. deduce omessa motivazione della sentenza sul punto del peggioramento delle condizioni economiche e di salute di lei, che ha provocato la riforma in suo danno della decisione di primo grado e la negazione dell’assegno di divorzio a carico dell’ Ad. in sede di appello, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte bolognese, a pag. 6 della sentenza, afferma che in primo grado era stato riconosciuto l’assegno in base alla relazione della c.t.u., che aveva accertato la inidoneita’ al lavoro della ricorrente sin dal (OMESSO), cioe’ prima della separazione tra i coniugi (che e’ del (OMESSO), nel corso della quale ella aveva dichiarato la propria autosufficienza economica, nulla chiedendo al marito a titolo di contributo per il suo mantenimento. Nel corso del primo grado della causa di divorzio la Ga. aveva anche ammesso di aver lavorato saltuariamente e dopo la separazione, in campagna, nonostante la invalidita’ da cui era colpita, in sede di interrogatorio formale da lei reso nel (OMESSO). Erroneamente non si e’ tenuto conto, dai giudici d’appello, della sequenza cronologica dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata; la c.t.u. dr.ssa Ta. , nominata in primo grado dal tribunale, aveva riconosciuto un’invalidita’ civile della Ga. maggiore di quella con riduzione del 75% della capacita’ lavorativa rilevata nel (OMESSO), concludendo nel senso che, alla data del deposito della relazione, cioe’ al (OMESSO), la ricorrente non era

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