Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-02-2011, n. 4726 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza ex art. 669 bis c.p.c., il Tribunale di Tivoli, sezione di Castelnuovo di Porto, giudicando sulla domanda di reintegra nel possesso della rete fognaria avanzata da T.F. ed altri consociati alla lottizzazione (OMISSIS) contro i componenti della attigua lottizzazione (OMISSIS) e contro la società Ara, respingeva la richiesta per il decorso del termine annuale di decadenza ex art. 1168 c.c..

I soccombenti proponevano appello, resistevano gli appellati e la Corte di appello di Roma, con sentenza 2264/04, accoglieva il gravame richiamando l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la tempestività non deve essere dimostrata dal ricorrente ma da chi eccepisce la decadenza ed, in tema di clandestinità, il termine decadenziale decorre dalla scoperta dell’illecito.

Ricorrono C.E., + ALTRI OMESSI con due motivi, resistono T.F., + ALTRI OMESSI che hanno anche presentato memoria.
Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta violazione degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c., per non avere i giudici di primo e secondo grado disposto in ordine alla necessità del litisconsorzio nei confronti delle parti pretermesse.

Col secondo motivo si deducono violazione dell’art. 1168 c.c. e vizi di motivazione sulla decadenza e l’elemento soggettivo.

Non risponde al vero che il primo giudice ha rilevato d’ufficio l’inosservanza del termine annuale.

Fin dal primo atto difensivo si era dedotto che le opere all’origine del lamentato spoglio erano state autorizzate dal comune con concessione n. 37 del 22.7.1997, che prevedeva l’inizio dei lavori entro un anno, pena la decadenza, ma l’inizio effettivo era avvenuto nel 1999.

Non esisteva l’elemento soggettivo. Le doglianze non meritano accoglimento.

In ordine alla prima gli stessi ricorrenti riconoscono che in linea generale l’affermazione della Corte di appello è esatta ma ribadiscono la loro diversa opinione senza indicare tutte le parti pretermesse, senza chiarire l’interesse alla censura rispetto a profili che potrebbero rilevare in sede di esecuzione e senza superare le affermazioni della sentenza secondo cui l’appaltatrice dei lavori di allaccio non assume la veste di litisconsorte necessario in presenza di un rapporto di natura non reale che non nasce da un vincolo plurisoggettivo unico ed indivisibile; quanto agli altri partecipanti alla lottizzazione, proprietari di lotti non edificati, la loro evocazione in giudizio non aveva comportato alcuna irregolarità mentre l’assenza di quelli asseritamene pretermessi non determinava alcun vizio sull’integrità del contraddittorio essendo noto che nel procedimento possessorio non sussiste alcun litisconsorzio necessario tra i coautori dello spoglio o della turbativa.

In ordine alla seconda censura, a prescindere dalla possibilità di eccepire l’intempestività ad istruttoria ormai conclusa, non si impugna compiutamente e non si supera l’affermazione della sentenza (pagine quattro e cinque) secondo cui, in tema di clandestinità dello spoglio, il termine decadenziale decorre dalla scoperta dell’illecito, secondo un criterio di ragionevolezza rispetto alla natura, caratteristiche e visibilità dell’opera abusiva.

Lo stesso Ctu aveva rilevato la presenza di uno strato di copertura del pozzetto nonchè una traccia sull’asfalto verosimilmente realizzata, a suo parere, in epoca antecedente e prossima alla indagine peritale che, come risultava dagli atti di causa, era iniziata nel giugno 2001 (il ricorso è del 10.1.2001).

Quanto all’animus spoliandi, escluso dal Tribunale per la incompatibilità logica con la concessione, proprio la difformità dal progetto licenziato, la scelta di un percorso diverso e l’occultamento del manufatto confermavano l’intenzionalità del risultato conseguito e la piena consapevolezza dell’illecito che si andava perpetrando, dovendosi escludere l’errore scusabile, da ultimo adombrato.

Trattasi di motivazione sufficiente, logica e coerente, cui non si può contrapporre una diversa tesi, con contestuale deduzione di vizi di violazione di legge e di motivazione, in contrasto con la necessaria specificità del motivo e con l’impossibilità di richiedere un riesame del merito. In definitiva il ricorso va rigettato con la condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2200,00 di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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