T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 89 Associazioni mafiose Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 27.4.2009 e depositato in data 29.4.2009, la ricorrente società, costituita sin dall’anno 1996, operante nel settore della produzione di elementi di costruzione in metallo, costruzione di opere di ingegneria civile ed altro, premetteva che, dopo aver stipulato, presso il locale segretario comunale, la convenzione rep. n. 4/2008 del 10 luglio 2008, regolante la concessione per la realizzazione di un parco eolico nel Comune di Belvedere Spinello, nel corso del rapporto predetto, riceveva l’epigrafata nota del Sindaco del predetto Comune, con cui si comunicava che, in conseguenza della comunicazione prefettizia interdittiva, Prot. n. 2303/09/A1/AM del 18/2/2009, il contratto di concessione veniva risolto di diritto, ai sensi della clausola di cui all’art. 21.

Avverso la nota suddetta, deduceva i seguenti profili di gravame:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 c. 1, lett. del D.M. 31.3.1995 e dell’art. 10, comma 7, del D.P.R. 3.6.1998 n. 252, nonché degli art. 10 e segg. L. 31.5.1965 n. 575 e s.m.i. e dell’art. del D.lgs 8.8.1994 n. 490 e disposizioni connesse e della L.7.8.1990 n. 241 e s.m.i.- Eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione, presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta – Illegittimità consequenziale e derivata.

Trattandosi, nella specie, di una società di capitali, dovrebbe rilevare soltanto la posizione specifica dell’amministratore e non quella di altri soggetti, come parenti ed affini del medesimo. Nel caso di specie, illegittimamente si sarebbe fatto riferimento alla figura del fratello minore – l’ultimo della famiglia – con qualche problema di rilevanza penale.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con atto depositato in data 6.5.2009, si costituiva l’Amministrazione dell’Interno e, con memoria depositata in data 12/06/09, replicava alle tesi di parte ricorrente.

Con motivi aggiunti depositati in data 17.7.2009, la ricorrente società deduceva:

violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, del D.M. 31.3.1995 e dell’art. 10, comma 7, del DPR 3.6.1998 n. 252, nonché degli art. 10 e segg. della legge 31.5.1965 n. 575 e s.m.i. e del D. Lgvo 8.8.1994 n. 490 e disposizioni connesse e della legge 7.8.1990 n. 241 e s.m.i.;

I reati commessi dall’amministratore sarebbero di natura finanziaria e commerciale e non certo di stampo mafioso, per cui non sarebbero sufficienti a sorreggere la grave decisione amministrativa assunta.

Con memoria depositata in data 3.9.2009, la difesa erariale insisteva per la legittimità dell’operato della P.A.

Con memoria depositata in data 10.4.2010, parte ricorrente replicava alle tesi svolte ex adverso.

A seguito della produzione di ulteriore documentazione, parte ricorrente, con memoria depositata in data 28/06/2010, indicava nuovi elementi a supporto delle proprie tesi e della asserita ingiustizia della misura inflitta.

La difesa erariale, con nota depositata in data 6/07/2010, insisteva nelle già prese conclusioni.

Con memoria depositata in data 8.11.2010, la ricorrente società evidenziava l’irrilevanza del mero rapporto familiare ai fini della comminatoria della nota in questione.

Alla pubblica udienza del 19 novembre 2010, il ricorso passava in decisione.
Motivi della decisione

1. Viene impugnata l’informativa interdittiva prot. n. 2303/09/A1/AM del 18/2/2009, emessa dalla Prefettura di Crotone ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, in conseguenza della quale il Comune di Belvedere Spinello, con nota prot. 506 del 24.2.2009, ha disposto, ai sensi della clausola di cui all’art. 21, la risoluzione della convenzione, stipulata con atto Rep. n. 4 del 10.7.2008, con riferimento alla concessione per la realizzazione di un parco eolico.

Va premesso che l’informativa antimafia inerisce ad un ambito diverso rispetto all’accertamento penale, in quanto non mira alla enucleazione di responsabilità, ma si concretizza come la forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari: dunque, il provvedimento giurisdizionale e quello amministrativo si collocano su differenti ed autonomi piani.

Nell’ottica del legislatore, le informative prefettizie rappresentano una sensibile anticipazione della soglia dell’autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella propria attività: da tale impostazione, si è fatta discendere la conseguenza che l’informativa prefettizia antimafia di cui all’art. 4 del D. Lgs. 8 agosto 1994 n. 490 e all’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto con la criminalità organizzata, e prescinde, quindi, da rilevanze probatorie tipiche del diritto penale, per cercare di cogliere l’affidabilità dell’impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa. (conf.: Cons. Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867).

Conseguentemente, sotto il profilo del grado di approfondimento probatorio, si ritiene che l’art. 4 del D. L.gvo 8 agosto 1994 n. 490, costituendo una misura di tipo preventivo, intesa a contrastare l’azione del crimine organizzato, può ben dare rilievo anche ad elementi che costituiscono solo indizi (che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali) del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese partecipanti al procedimento di evidenza pubblica (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 2 ottobre 2007 n. 5069).

Ciò in quanto gli elementi che denotano il pericolo di collegamento fra l’impresa e la criminalità organizzata, oggetto dell’informativa antimafia, hanno un mero valore sintomatico ed indiziario, non dovendo necessariamente assurgere a livello di prova, anche indiretta (Cons. Stato, Sez. IV, 29/4/2004, n. 2615).

Nell’ottica della tutela preventiva avanzata, quindi, il mancato intervento di una condanna penale non può valere ad escludere un quadro indiziario significativo, rimesso al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia, per conclusioni da rapportare sia alle difficoltà connesse all’accertamento di reati, spesso coperti dall’omertà o dal timore dei soggetti passivi coinvolti, sia alla dichiarata prevalenza – sul piano legislativo – dell’interesse pubblico ad approntare rimedi preventivi, nei confronti di ampi e notori fenomeni di criminalità organizzata, colpendo gli interessi economici della associazioni mafiose, a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di uno o più reati (conf.: Cons. Stato, Sez. VI, 16.4.2003, n. 19797).

2.1. Con il primo motivo, parte ricorrente deduce che, trattandosi, nel caso di specie, di una società di capitali, dovrebbe rilevare soltanto la posizione specifica dell’amministratore e non quella dei suoi parenti ed affini. Nel caso di specie, quindi, illegittimamente si sarebbe fatto riferimento alla figura del fratello minore dell’amministratore – l’ultimo della famiglia – con qualche problema di rilevanza penale.

In base alla normativa vigente ( D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490, recante "Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia"; D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, recante "Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia"), vengono individuate tre categorie di informative prefettizie: a) la prima, ricognitiva di cause di divieto, di per sé interdittiva, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del D. Lgs. n. 490 del 1994; b) la seconda, relativa ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate, la cui efficacia interdittiva è correlata alla valutazione del prefetto; c) la terza, costituita dalle informative supplementari (o atipiche), previste dall’art. 1septies del decreto legislativo 6 settembre 1982 n. 629, convertito con modificazioni dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ed aggiunto dall’art. 2 della legge 15 novembre 1988 n. 486, inerente ai poteri già dell’Alto Commissario Antimafia, il cui effetto interdittivo è dipendente da una valutazione discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa stessa, in via autonoma e discrezionale (conf.: Cons. Stato, Sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7362), alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la p.a.: pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su indizi ottenuti con l’ausilio di particolari indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo perché riguardano la valutazione sull’idoneità morale del concorrente e non producono l’esclusione automatica dalla gara (conf: Cons. Stato, Sez. V 31 dicembre 2007 n. 6902).

La Prefettura, nell’istituto in esame, è titolare di un potere discrezionale, che comporta una valutazione lata di interessi contrapposti, ossia quello relativo alla libertà di impresa e quello relativo alla tutela dell’uso delle risorse pubbliche (conf.: TAR CalabriaReggio Calabria, 28 febbraio 2007 n. 197), per cui siffatto potere, proprio per i delicati interessi che la materia coinvolge, va esercitato con le necessarie cautele (conf: Cons. Stato, Sez. IV 4 maggio 2004 n. 2783 e Sez. V 27 giugno 2006 n. 4135).

Le informative del Prefetto, in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, costituiscono condizione per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione ovvero per concessioni ed erogazioni e non devono provare l’intervenuta infiltrazione – essendo questa un "quid pluris"- ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza, in coerenza con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concretizza in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite.

Ed invero, i tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunti anche da parametri non predeterminati normativamente, anche se, per evitare il travalicamento in uno "stato di polizia" e per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo altresì l’individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni (cfr.: T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. III, 13 gennaio 2006 n. 38; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 19 gennaio 2004 n. 115).

In definitiva, l’informativa antimafia deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente, a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l’"id quod plerumque accidit", l’esistenza di elementi che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto con la p.a.

2.2. Ciò premesso, nella specie, la nota impugnata "riservata amministrativa" richiama, fondamentalmente, le informazioni rese con la nota prot. n. 087867/21 del 23.8.2008 del Comando Provinciale dei Carabinieri di Crotone, nella quale si precisa che l’Amministratore Unico della ricorrente società, sig. Iona Francesco, proprietario di quote nominali pari a Euro. 600.000 " è figlio di Iona Rinaldo…ex capo clan del luogo", (assassinato a Strongoli nel 1988 in un agguato mafioso), nonché fratello non convivente di Iona Massimiliano " arrestato nell’anno 2003 a seguito dell’operazione di polizia denominata "Ciclone" condotta dal R.O.S. Carabinieri di Catanzaro, per associazione a delinquere di stampo mafioso, tentata estorsione, detenzione di armi da guerra e omicidio, già agli arresti domiciliari e successivamente alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di P.S….", il quale risulta anche essere l’uomo di fiducia del lontano cugino Iona Guirino, padre di Iona Antonio e capo della cosca omonima.

Emerge, nella specie, con riferimento alla figura dell’amministratore, da un lato, che il padre risulta riconosciuto come "ex capo clan del luogo" (circostanza non validamente contestata) e che il fratello sia orbitante in ambienti di criminalità organizzata ed abbia stretti rapporti con esponenti di spicco della criminalità organizzata, tale Iona Guirino, senza che rilevi, al riguardo la contestazione in ordine al grado di parentela fra le due famiglie Iona.

Inoltre, la nota Cat. Q2 /2/2008/A.M. del 18.11.2008 precisa che il sig. Iona Francesco " da risultanze SDI figura segnalato per associazione a delinquere, violazione norme irpef, violazione norme iva dovuta, truffa".

Dal casellario giudiziale, risulta che il sig. Iona Francesco sia stato condannato per vendita di merci a prezzo maggiorati, violazioni alle leggi finanziarie in concorso reiterata, violazione delle norme per la repressione delle evasioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto in concorso reiterata nonché associazione a delinquere finalizzata ai reati summenzionati.

Invero, pur non risultando che l’amministratore, sig. Iona Francesco sia stato condannato od abbia procedimenti penali pendenti per reati di stampo mafioso, tuttavia il quadro fattuale rappresentato non consente di escludere con la massima certezza un eventuale intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo di infiltrazione nella società, avuto riguardo ad elementi che, nel loro coacervo, possono essere tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata.

Del resto, la P.A., nell’esercizio delle sue funzioni intese a garantire una sensibile anticipazione della soglia dell’autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nelle attività economiche, è tenuta anche a prevenire che possano verificarsi situazioni nelle quali l’assetto delle imprese possa aver luogo mediante il ricorso a forme mimetiche, idonee ad eludere i divieti di legge.

Pertanto, ritiene il Collegio, che nel complesso, l’impugnato provvedimento, per le finalità e le funzioni che gli sono proprie, allo stato delle risultanze istruttorie, resiste alle censure dedotte.

3. Con il motivo aggiunto, parte ricorrente deduce che i reati commessi dall’amministratore sarebbero di natura finanziaria e commerciale e non certo inerenti il fenomeno mafioso.

Possono essere richiamate le argomentazioni già svolte in sede di disamina del primo profilo di gravame.

Né può giovare alla parte ricorrente, sotto l’evidenziato profilo, il richiamo alla sentenza di accoglimento di questa Sezione n. 248 del 1.3.2010, giacchè, in quella diversa ipotesi, nelle more del lungo processo (il giudizio era stato riassunto da un ricorso del 1998, a seguito della sentenza Cass. Sez. Un. cron. 21928 del 4 marzo29 agosto 2008, con cui era stato definito il l conflitto di giurisdizione sollevato ex art. 362 c.p.c.), erano sopravvenuti un provvedimento del GIP presso il Tribunale di Roma, che aveva disposto l’archiviazione e la restituzione degli atti al PM ed una sentenza della Corte di Appello di Palermo, confermata dalla Corte di Cassazione, che aveva assolto uno dei soggetti indicati dal reato di concorso in associazione di stampo mafioso, dai quali era evincibile, ex post, con sufficiente chiarezza, l’assenza di elementi, anche meramente indiziari, atti a corroborare l’ipotesi di contiguità con organizzazioni criminali.

Diversamente, nel caso che occupa, in assenza di rilevanze probatorie escludenti, tipiche del diritto penale e nell’ottica della funzione di prevenzione dell’informativa antimafia, non sussistono – allo stato- elementi sufficienti per ritenere che l’operato della Prefettura di Catanzaro sia inficiato dai vizi di macroscopica illegittimità denunziati.

In conclusione, il ricorso si appalesa infondato e va rigettato.

La complessità delle questioni affrontate consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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