T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 85 Forze armate; Procedimento e punizioni disciplinari; Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 1.4.2008 e contestualmente depositato, il ricorrente, già agente scelto del Corpo di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Cosenza, premetteva che, a seguito della nota del 16.2.2007, con cui comunicava che, con sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, Sez. II Penale del 17.10.2006, divenuta esecutiva il 24.12.2006, si dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti in ordine ai reati contestati perché estinti, la P.A., con nota del 22.2.2007 provvedeva ad inoltrargli l’avvio del procedimento disciplinare e, contestualmente, a nominare il funzionario istruttore, il quale, con decreto del 24.2.2007, gli notificava atto di formale contestazione degli addebiti, per l’applicazione della misura della destituzione, ai sensi dell’art. 6, comma 2°, lett. a), b), d), del D. L.gvo 30/10/1992 n. 449, che veniva poi integrato con ulteriore atto del 1.3.2007.

Dopo aver indicato la scansione cronologica del procedimento disciplinare, precisava che, con decreto del 21.2.2008 del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione competente, gli veniva irrogata la sanzione della destituzione dal servizio, a decorrere dalla data ivi indicata.

Avverso l’operato dell’Amministrazione, con unico articolato motivo, deduceva:

violazione dell’art. 120 del T.U. n. 3 del 1957. Violazione dell’art. 8 della legge n. 241/1990 – Violazione dell’art. 9 della legge n. 19/90- Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 del D. L.gvo n. 449/92- Eccesso di potere per sviamento dell’azione amministrativa, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione. Violazione ed erronea applicazione delle norme e dei principi generali in ordine agli effetti del giudicato penale sul procedimento disciplinare.

Il procedimento disciplinare a carico del ricorrente si sarebbe protratto per 370 giorni, decorrenti dalla data del 16.2.2007, in cui la P.A. avrebbe avuto notizia della sentenza penale, poiché il provvedimento di destituzione sarebbe stato adottato in data 21.2.2008.

La sanzione della destituzione sarebbe oggettivamente sproporzionata rispetto ai fatti in contestazione nonché ai complessivi precedenti di carriera del ricorrente. Mancherebbe ogni supporto motivazionale, con particolare riferimento alla condotta complessiva del ricorrente.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con nota depositata in data 17/04/2008, si costituiva la difesa erariale e, in data 19/05/2008, depositava la documentazione del caso, in adempimento dell’O.C.I. di questa Sezione n. 2368 del 9.5.2008.

Questa Sezione, con Ordinanza n. 406 del 22.5.2008, confermata con ordinanza Cons. Stato, Sez. IV 17.10.2008 n. 5488, accoglieva la domanda di interinale sospensione dell’impugnato provvedimento.

Con memoria depositata in data 5.3.2010, il ricorrente precisava che, nelle more del giudizio, era stato reintegrato in servizio con provvedimento ministeriale del 9.7.2008 ed insisteva nelle già prese conclusioni.

Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2010, il ricorso passava in decisione.
Motivi della decisione

1. Viene impugnato il decreto n. 0000001/2008/25899/ds 03 del 21 febbraio 2008, con il quale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio nonché ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente.

Va premesso che, nonostante la sopravvenienza del Decreto n. 0191684/2008/25899 del 9.7.2008, sussiste l’interesse del ricorrente ex art. 100 cpc alla coltivazione del presente gravame, poiché nella specie, il riesercizio del potere amministrativo si configura, per la natura e per gli effetti, vincolato al "dictum" giudiziale discendente dall’Ordinanza cautelare di questa Sezione n. 406 del 22.5.2008 (confermata con Ord. Cons. Stato, Sez. IV 17.10.2008 n. 5488), ponendosi come vincolato non soltanto in relazione all’an, ma anche in relazione al contenuto, senza consentire, sostanzialmente, alla P.A. margini di discrezionalità e di autonome valutazioni (il suddetto Decreto n. 0191684/2008/25899 del 9.7.2008, in preambolo, precisa: "Considerato che avverso tale ordinanza è stata richiesta la proposizione dell’appello e che, pertanto, nelle more, il Frassanito deve essere reintegrato in servizio").

2. Con l’unico articolato motivo, il ricorrente deduce che il procedimento disciplinare a suo carico si sarebbe protratto per 370 giorni dalla data del 16.2.2007, in cui la P.A. avrebbe avuto notizia della sentenza penale, poiché il provvedimento di destituzione sarebbe stato adottato in data 21.2.2008. Inoltre, la sanzione della destituzione inflitta al ricorrente sarebbe oggettivamente sproporzionata rispetto ai fatti in contestazione nonché ai complessivi precedenti di carriera del ricorrente e mancherebbe di ogni supporto motivazionale, con particolare riferimento alla condotta complessivamente tenuta.

Il Corpo della Polizia Penitenziaria appartiene al più ampio genere delle forze di Polizia dello Stato, per le quali l’art. 2, comma 4, del D. L.gvo 3 febbraio 1993 n. 29 prevede che i rapporti di lavoro, malgrado la contraddizione, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti. Trova quindi applicazione, nel caso in esame, il D. Lg.vo 30 ottobre 1992 n. 449, che, all’art. 24, comma 5, espressamente rinvia al D.P.R. n. 3 del 1957, per tutto quanto non specificamente previsto.

Ai sensi del D. Lgs. 30 ottobre 1992 n. 449, l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria che viola i doveri specifici e generici del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti o conseguenti alla emanazione di un ordine, commette infrazione disciplinare ed è soggetto alle seguenti sanzioni: a) censura; b) pena pecuniaria; c) deplorazione; d) sospensione dal servizio; e) destituzione. Le predette sanzioni, assunte con atto motivato, devono essere graduate, nella misura, in relazione alla gravità delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per l’Amministrazione o per il servizio.

Per quanto interessa in questa sede, la destituzione consiste nella cancellazione dai ruoli dell’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio (art. 6). La destituzione è inflitta: a) per atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale; b) per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento; c) per grave abuso di autorità o di fiducia; d) per dolosa violazione dei doveri, che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all’Amministrazione penitenziaria, ad enti pubblici o a privati; e) per gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o per istigazione all’insubordinazione; f) per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari; g) per omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria. L’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria può altresì essere destituito in caso di condanna passata in giudicato per i delitti di particolare gravità specificatamente enunciati.

L’art. 6, comma 4°, I° periodo, del D. Lgvo n. 449 del 1992 prevede testualmente: "La destituzione per le cause di cui al comma 3 è inflitta all’esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna ovvero del provvedimento con cui è stata applicata in via definitiva la misura di sicurezza o di prevenzione e concluso nei successivi novanta giorni".

Nella specie, risulta che la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 17.10.2006, divenuta esecutiva il 24.12.2006, che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del ricorrente per i reati contestati perché estinti, sia stata comunicata il 16.2.2007 alla P.A. e che il procedimento disciplinare avviato sia stato concluso con l’epigrafato decreto n. 0000001/2008/25899/ds 03 del 21 febbraio 2008, protraendosi per una durata complessiva di 365 giorni.

La richiamata decisione Cons. Stato, Ad. Plen. 27.6.2006 n. 10 precisa che, nel caso in cui l’appartenente alle forze di Polizia sia prosciolto in sede penale dall’imputazione ascrittagli per essersi il reato estinto per prescrizione, ai fini del promovimento dell’azione disciplinare, avente ad oggetto i medesimi fatti oggetto di vaglio in sede penale, non si applica il termine finale di cui all’art. 9 comma 2 della legge n.19 del 1990, secondo cui il procedimento disciplinare va concluso entro 90 giorni dal suo inizio, trattandosi di fattispecie assimilabile all’ipotesi della sentenza penale di patteggiamento (art. 444 cpp), in relazione alla quale non si può escludere, per le particolari modalità del procedimento penale, la necessità di autonomi accertamenti in sede disciplinare (conf. Corte Cost. 28.5.1999 n. 197)..

Nel caso di specie, però, la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 17.10.2006, dichiarativa dell’estinzione del giudizio per prescrizione, non costituisce l’unico pronunciamento del giudice penale, poiché i fatti materiali oggetto del procedimento disciplinare risultano essere stati accertati in primo grado, con la sentenza di primo grado del Tribunale Ordinario di Cosenza Sez. II° Pen. n. 667 del 18.11.2004, che ha riconosciuto il ricorrente colpevole per i reati ascritti, contemplati dagli art. 624 c.p. e art. 625, n. 4 cp, inerenti la fattispecie criminosa del "furto con destrezza".

Invero, in sede disciplinare, l’Amministrazione non ha l’obbligo di svolgere una particolare attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova quando dispone di elementi emersi e compiutamente accertati nella sede penale, che possono essere assunti nel procedimento disciplinare, senza che sugli stessi l’Amministrazione possa procedere a nuovi e separati accertamenti, trattandosi di dati irremovibili, dovendo la P.A. procedere solo all’autonoma e discrezionale valutazione della loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, 2.6.2000 n. 3156).

Ad avviso del Collegio, tale vincolo non può non essere riferito anche alle ipotesi in cui, a fronte di una sentenza penale di condanna di primo grado, sia poi intervenuta e passata in giudicato una decisione di appello, recante dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione del reato, atteso che una tale statuizione processuale non vale a porre nel nulla gli specifici accertamenti di fatto compiuti nel primo grado del giudizio penale (conf. Cons. Stato Sez. IV 22.6.2004 n. 4464).

Ritiene, pertanto, il Collegio di poter applicare al caso di specie l’art. 6, comma 4, del D. L.gvo n. 449 del 1992, il quale contempla espressamente il reato ( art. 624 c.p. e art. 625, n. 4 cp, inerenti il furto con destrezza) per il quale il ricorrente è stato ritenuto colpevole con la sentenza di primo grado del Tribunale Ordinario di Cosenza Sez. II° Pen. n. 667 del 18.11.2004, ancorchè faccia riferimento ad una sentenza penale di condanna passata in giudicato, in coerenza logica del sistema della previsione della cosiddetta " pregiudiziale penale", che racchiude il principio secondo cui solo l’esaurimento di tutte le vie giudiziarie permette l’esperimento del procedimento sanzionatorio a carattere amministrativo.

D’altra parte, pare dubbio ammettere che una sentenza in rito di secondo un grado – che nulla aggiunge all’accertamento dei fatti materiali già eseguito nel processo di primo grado- possa avere l’effetto di procrastinare i termini di durata del procedimento disciplinare, rispetto alla diversa ipotesi in cui la sentenza di primo grado abbia acquistato l’autorità di giudicato e, quindi, sia rimasta l’unico pronunciamento del giudice.

Orbene, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D. L.gvo n. 449 del 1992, nel caso di specie si deve ritenere che il termine complessivo di durata del procedimento disciplinare (180 giorni + 90 giorni) di 270 giorni sia stato ampiamente superato, dalla data del 16.2.2007, in cui la P.A. ha avuto notizia della sentenza penale, alla data del 21.2.2008, in cui è stato assunto il provvedimento di destituzione oggetto della presente impugnativa.

L’accoglimento di questa censura comporta la rimozione ab origine del procedimento disciplinare, per cui possono dichiararsi assorbite le ulteriori doglianze svolte dal ricorrente.

In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e merita accoglimento.

La complessità delle questioni affrontate consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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