Cass. civ. Sez. I, Sent., 25-02-2011, n. 4707 Dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di appello di Ancona, con la sentenza impugnata (depositata il 19.9.2009), pronunciando sull’appello proposto da G.N., B.A. e D.M.C. A., in riforma della decisione di primo grado (del 12.12.2007), ha revocato il fallimento della società consortile per azioni Ce.M.I.M. in liquidazione, dichiarato dal tribunale di Ancona il 21.1.1994 su istanza dell’A.T.I. tra Adriatica Edilstrade s.p.a. e Torelli Dottori s.p.a. nonchè del P.M. e chiuso con decreto del 14.6.2007.

Ha osservato la Corte territoriale che la Ce.M.I.M. non poteva essere considerata imprenditore commerciale, come tale fallibile, trattandosi di soggetto consortile, per statuto senza fine di lucro e, quindi, non assoggettabile al fallimento, pur avendo assunto la forma di società di capitali. Ai fini della fallibilità, secondo la Corte di merito, ciò che rileva "è la qualità imprenditoriale, coincidente con la proiezione ad una finalità economica, la quale non può non coincidere con obiettivo utilitario, e non potrebbe invece farsi coincidere con la semplice idea di equilibrio di gestione, perchè allora ciò varrebbe per tutte le pubbliche amministrazioni".

Inoltre, secondo la Corte di appello, difettava il presupposto oggettivo dello stato di insolvenza perchè, con sentenza del 2004, la Cassazione aveva escluso il credito vantato, per restituzione di contributi, dalla Regione Marche per L. 16 miliardi, talchè l’attivo della società consortile superava grandemente ("tendenzialmente il doppio") il passivo.

Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento della Ce.M.I.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati con memoria depositata ex art. 378 c.p.c..

Resistono con controricorso G.N. e D.M.C. A..

Non hanno svolto attività difensive gli altri intimati indicati in epigrafe ma B.A. (in relazione al quale era stata eccepita la nullità della notificazione del ricorso) si è costituito all’odierna udienza di discussione, così sanando ogni nullità. 2.1.- Con il primo motivo di ricorso la curatela ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento perchè l’appello è stato notificato nei confronti dell’A.T.I. Adriatica Edilstrade s.p.a. e Torelli Dottori s.p.a. presso il difensore domiciliatario pur essendo rimasta contumace in primo grado, talchè l’appello andava notificato alla parte personalmente non conservando l’elezione di domicilio in sede di ricorso per fallimento efficacia ultrattiva per la notifica dell’atto introduttivo del secondo grado del giudizio.

Deduce, inoltre, che una delle due società costruenti l’A.T.I., la s.p.a. Adriatica Edilstrade, alla data della notificazione dell’atto di appello, era stata cancellata dal registro delle imprese, dopo essersi trasformata nel 1994 in s.r.l. Sices Impresa, cancellata nel 1997 perchè incorporata nella s.r.l. B.M. Edilizia Industrializzata la quale, variata la denominazione in Sices Impresa s.r.l., era stata posta in liquidazione e cancellata il 4.1.2008.

Deduce che l’appello non è stato notificato alla Ce.M.I.M. in liquidazione, intervenuta nel giudizio di opposizione.

2.2.- Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( artt. 2082, 2195 e 2221 c.c. e L. Fall., art. 1) in relazione alla ritenuta non fallibilità della società consortile Ce.M.I.M. benchè avesse assunto la forma di società di capitali, in quanto non avente anche uno scopo di lucro.

Deduce che anche le società consortili ex art. 2615 ter c.c., perseguono uno scopo economico, sebbene diverso da quello lucrativo, e se hanno ad oggetto attività commerciali sono soggette a fallimento.

2.3.- Con il terzo motivo la curatela ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla esclusione della qualità di imprenditore commerciale della Ce.M.I.M. non avendo correttamente valutato il fatto decisivo costituito dall’esercizio di attività obbiettivamente diretta alla produzione e allo scambio in forma organizzata e professionale come comprovato dagli elementi probatori acquisiti in atti, tra cui la relazione del c.t.u..

Deduce che, pur escludendo lo statuto sociale il perseguimento di uno scopo di lucro, contemplava, nondimeno, il potere di acquistare e gestire anche attrezzature, costruire, vendere e locare fabbricati e impianti avvalendosi di professionisti o di società specializzata, stipulare contratti di qualsiasi natura, assumendo in proprio il rischio di impresa giacchè contrattava e assumeva obbligazioni in nome proprio, così generando debiti verso fornitori per oltre L. 3 miliardi e debiti verso banche per oltre tre miliardi e mezzo di lire.

2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( L. Fall., art. 5) in relazione alla ritenuta insussistenza dell’insolvenza sulla base del solo rapporto tra attivo e passivo e tenendo conto del fatto sopravvenuto dieci anni dopo la dichiarazione di fallimento, costituito dalla sentenza che aveva escluso il credito della Regione Marche, mentre l’insolvenza andava apprezzata con riferimento al momento della dichiarazione di fallimento (C. 2470/1994).

2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dello stato di insolvenza per omessa valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che evidenziava una situazione tale che, anche depurata dal credito della Regione Marche, l’impresa non poteva fare fronte al passivo di immediata scadenza con attivo costituito prevalentemente da immobilizzazioni.

3.- E’ preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti sotto i vari profili della legittimazione curatore, dell’interesse ad agire, dell’autorizzazione concessa dal tribunale e non dal giudice delegato e della dedotta acquiescenza.

E’ assorbente, in proposito, la fondatezza dell’eccepita carenza di interesse.

Se il curatore è certamente legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, "non essendo configurabile una carenza di legittimazione del curatore, nonostante l’intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del ricorrente dalla carica, atteso che il fallimento viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca" (Sez. 1^, Sentenza n. 4632 del 26/02/2009), come per ogni altra azione occorre verificare in concreto l’esistenza dell’interesse ad agire e a contraddire ex art. 100 c.p.c..

Interesse che, nella concreta fattispecie, non è stato neppure dedotto dal curatore ricorrente e che deve ritenersi inesistente per l’avvenuta chiusura del fallimento per integrale pagamento dei crediti con restituzione alla società tornata in bonis del residuo attivo.

E’ vero, peraltro, che, anche di recente, questa Corte ha affermato che "la chiusura del fallimento (nella specie di una s.r.l.) non rende improcedibile l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento ed il relativo giudizio continua in contraddittorio anche del curatore, la cui legittimazione non viene meno, in quanto in detto giudizio si discute se il debitore doveva essere dichiarato fallito o meno e perciò se lo stesso curatore doveva essere nominato al suo ufficio" (Sez. 1^, Sentenza n. 20000 del 14/10/2005).

Sennonchè, tale principio è stato enunciato in una fattispecie nella quale il fallimento era stato chiuso per inesistenza totale di "attivo".

In precedenza, per converso, e con riferimento a fattispecie analoga a quella oggetto della presente causa, questa Corte ha puntualizzato che "la sopravvenuta chiusura, per soddisfacimento integrale dei creditori, del fallimento di una società di fatto e dei fallimenti dei soci, determina il venir meno dell’interesse del singolo socio ad impugnare la sentenza che abbia revocato, in esito al giudizio di opposizione, la dichiarazione di fallimento, tenuto conto dell’incompatibilità di una conferma del fallimento stesso con quella ipotesi di chiusura della procedura concorsuale, nonchè del fatto che detta sentenza di revoca, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 21, comma 1, fa salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento" (Sez. 1^, Sentenza n. 6317 del 04/12/1980).

In altri termini, non avrebbe senso una conferma della procedura fallimentare in assenza di creditori insoddisfatti.

La peculiarità della vicenda processuale giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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