Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-12-2010) 27-01-2011, n. 3012 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro avverso la sentenza 3 giugno 2009 della Corte di appello di Roma, che ha confermato la sentenza 29 settembre 2008 del G.U.P. del Tribunale di Latina, di condanna alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 20 mila di multa per il delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.
Motivi della decisione

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’affermazione di responsabilità ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, che sarebbe stata desunta dal mero dato ponderale dello stupefacente sequestrato, in assenza di elementi da cui trarsi la prova della destinazione ad uso personale.

In particolare si lamenta che la Corte di appello anzichè integrare la motivazione del G.U.P. ha inserito nella giustificazione del primo giudice un argomentazione del tutto nuova che si deduce in violazione del dettato dell’art. 546 (requisiti della sentenza) e art. 547 (correzione della sentenza).

Il motivo è infondato posto che il difensore sembra dimenticare che le norme del citato art. 547 riguardano lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza e non il giudice dell’appello Come recentemente stabilito dalle SS.UU. (3287/2009 Rv. 244118), neppure la mancanza assoluta di motivazione della sentenza rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello debba dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante.

Nella specie risulta che la Corte di appello ha integralmente ricostruito, argomentando in modo ineccepibile, tutte le scansioni essenziali per una pronuncia di penale responsabilità dell’imputato con conseguente infondatezza della richiesta di pronuncia di nullità della sentenza appellata.

Con un secondo motivo si lamenta ancora vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla semplice detenzione dello stupefacente, di proprietà del M., da ritenersi atto di mera connivenza non punibile, tenuto conto che fu lo stesso imputato a consegnare la droga alla Polizia giudiziaria procedente. In ogni caso ed infine la condotta stessa doveva essere inquadrata nell’uso di gruppo.

La doglianza è inaccoglibile.

La decisione impugnata ha concluso, rigettando il sesto motivo di appello, che la condotta del R. ha integrato il concorso nella detenzione della droga e non il diverso reato di favoreggiamento.

A sostegno si è richiamata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. pen. sez. 6, 4927/2004) secondo cui, in costanza di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, il reato di favoreggiamento non è configurabile atteso che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata si risolve inevitabilmente in un concorso quanto meno a carattere morale.

Va peraltro precisato che in tema d’illecita detenzione di stupefacenti, l’aiuto prestato nel corso dell’azione criminosa rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato – e non nel favoreggiamento personale -, quando vi sia – come nella specie – la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una condotta più articolata (Cass. pen. sez. 6, 22394/2008 Rv. 241119).

La sentenza impugnata ha sostanzialmente proposto una soluzione del caso esaminato che si attiene alle considerazioni di principio sopra esposte.

Infatti, sulla base dell’analisi delle contingenze e delle circostanze del fatto, la Corte di appello ha ritenuto, in modo immune da vizi logici, che la detenzione e custodia dello stupefacente ad opera del R., nell’interesse e per conto del proprietario ( M.M.), nonchè per la durata (riferita) di un giorno, in attesa di un ipotizzarle e nella specie non provato uso di gruppo, abbia concorso – per un lasso di tempo sicuramente non insignificante – nella detenzione illecita.

Si è trattato in concreto di una cooperazione consapevole, protratta nel tempo, e sostenuta dal dolo tipico del concorso, da ciò il rigetto del motivo di ricorso.

Identica conclusione va assunta per l’ipotizzato non punibile uso di gruppo.

In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, la non punibilità della codetenzione implica la prova rigorosa che la droga sia stata acquistata o detenuta da uno dei partecipanti al gruppo su preventivo mandato degli altri, in vista della futura ripartizione e destinazione al consumo esclusivo dei medesimi ed attraverso una partecipazione di tutti alla predisposizione dei mezzi finanziari occorrenti (Cass. pen. sez. 4, 7939/2009 Rv. 243870): nulla di tutto ciò risulta agli atti con conseguente rigetto della corrispondente doglianza.

Con un terzo motivo si prospetta l’applicabilità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 avuto anche riguardo alla concreta condotta di collaborazione del ricorrente.

Con un quarto motivo si prospetta il mancato erroneo riconoscimento della attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7.

Il terzo e quarto motivo possono essere congiuntamente esaminati.

Qui subito evidenziando come non sussista alcuna incompatibilità logica tra l’avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la negazione delle due anzidette attenuanti, tenuto conto che, avuto riguardo alla corretta motivazione dei giudici di merito, i profili di positività della condotta dell’accusato, di per sè non idonei ad integrare le due invocate attenuanti, sono stati appunto vagliati e considerati esplicitamente agli effetti dell’art. 62 bis c.p..

Con un quinto motivo si lamenta ancora la mancata derubricazione del fatto nel reato di favoreggiamento personale di cui ricorrevano i profili soggettivi ed oggettivi.

Trattasi di doglianza che ripete nella sostanza il tenore del secondo motivo dianzi esaminato e respinto, qui ribadendosi che, nella specie, la ragionevole soggettività che ha animato la condotta del R., nella custodia, celamento e detenzione dello stupefacente, affidatogli dal M., non fu quella di aiutare il M. stesso ad eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa, ma fu quella – ben più radicale ed assorbente – di porre in essere una condotta funzionale e causalmente efficace all’utile permanere della detenzione – disponibilità della droga stessa in capo al proprietario.

Nessuno spazio quindi per inquadrare tale comportamento nel paradigma del favoreggiamento personale trattandosi di contributo eziologico da correlarsi alla realizzazione della più articolata condotta ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, avuto proprio riguardo alla finalità dominante dell’azione attribuita al ricorrente.

Con un sesto motivo si sostiene violazione di legge e vizio di motivazione sulla determinazione della sanzione anche quella pecunia ria, tenuto conto della doglianza specifica che era stata formulata nell’appello.

Il motivo non ha fondamento.

Innanzitutto va affermata la regola che non vi è, da parte del giudice di merito, all’atto della determinazione della pena, l’obbligo teorico di mantenere gli stessi rapporti di proporzione tra pena detentiva e pena pecuniaria irrogate, attesa la diversità delle variabili di riferimento che informano le scelte di quantità di ciò che attinge la sfera della libertà del soggetto e quella che tocca invece il suo patrimonio.

In tale quadro, salve situazioni di limite, nelle quali la pena detentiva sia stata determinata nel minimo edittale e quella pecuniaria nei massimi (o viceversa), situazioni che esigono una adeguata motivazione, il giudice può correttamente e sinteticamente fare riferimento giustificativo anche ad un solo parametro di valutazione – come avvenuto nel caso di specie (numero delle dosi detenute) – considerata la modesta forbice di oscillazione edittale delle sanzioni in concreto determinate rispetto ai minimi ed ai massimi edittali.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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