Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-12-2010) 27-01-2011, n. 3038

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Trento, giudice d’appello, assolto il prevenuto da alcune imputazioni, ha confermato la sentenza in data 18 novembre 2008 del locale Giudice di pace, appellata da T.O., con riferimento alle imputazioni di minacce ed ingiurie per sms (capo 3), lesioni (capo 5) ed ingiurie (capo 4), commessi in danno di D.B. fino al (OMISSIS).

Propone ricorso per Cassazione il T. sulla base di quattro motivi. Con il primo chiede accertarsi l’avvenuta revoca della costituzione di parte civile in quanto la p.o., prima del passaggio in giudicato della sentenza penale, contenente la condanna generica al risarcimento del danno, ha proposto autonoma azione civile per i medesimi fatti di cui al procedimento penale, proponendo domanda non solo in relazione al quantum, ma anche all’an debeatur.

Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione in relazione alla responsabilità, con particolare riferimento alle ingiurie telefoniche di cui al capo 4), rilevando anche duplicazione di imputazione per essere stato contestato il medesimo fatto ai capi 3) e 4).

Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione sull’individuazione dei comportamenti che avrebbero determinato le lesioni, che si sarebbero potute determinare solo dal momento in cui la p.l. aveva avuto esatta notizia delle reali condizioni del prevenuto, di persona sposata e con figli, e non nel periodo precedente. Così, illogica sarebbe la motivazione che aveva ritenuto, dei comportamenti circoscritti in poche settimane, determinanti a causare le lesioni lamentate. Illogica sarebbe anche la motivazione che ha ritenuto la volontarietà dei comportamenti, con riferimento specifico alle lesioni.

Con il quarto motivo deduce difetto di motivazione sul trattamento sanzionatorio. Osserva il Collegio che non sono fondate le doglianze del ricorrente con riferimento alla dichiarazione di penale responsabilità, nei limiti fissati dalla sentenza di appello.

L’utilizzo, in comunicazioni mediante brevi messaggi di testo inviati con telefonia cellulare (i c.d. sms), di termini come troia o depravata o di donna dedita ad incesto che, in quanto volti a sminuire la figura morale del destinatario, si manifestano nella loro inequivoca valenza offensiva indipendentemente da qualsiasi contesto in cui vengano utilizzati, rende evidente come la motivazione sul punto delle sentenze di merito, seppur sintetica, sia del tutto idonea e sufficiente a giustificare la relativa affermazione di responsabilità a quel titolo, soprattutto se si considera con quanta attenzione i giudici del merito abbiano esaminato le singole manifestazioni scritte del prevenuto, isolando ed escludendo più ipotesi di reato contestate e non ritenute provate. E appena da rilevare, inoltre, come la copia, nel capo 4), del medesimo sms indicato al capo 3 appaia frutto di evidente errore materiale, peraltro irrilevante sul trattamento sanzionatorio, se sì considera che la continuazione, derivante dal delitto sub 3) – a sua volta contestato in continuazione fra ipotesi di minaccia e ingiuria – nonchè dal delitto sub 4) in cui coesistevano, in continuazione, ipotesi di ingiurie, oltre a quelle di minacce e diffamazione escluse dal giudice d’appello, ha comportato un aumento di pena ridotto nel minimo, non emendabile, di giorni due di sanzione sostitutiva, con evidente esclusione di un qualsiasi concreto interesse del ricorrente. Quanto al ricorrere del delitto di lesioni, la sentenza impugnata ha adeguatamente evidenziato sia il loro concreto ricorrere, secondo gli accertamenti medici acquisiti, sia la loro riferibilità sotto il profilo oggettivo e causale all’azione del prevenuto, protrattasi nell’intero periodo della reciproca conoscenza e frequentazione, comportamento consistito nella creazione di un castello di menzogne, sulla sua condizione personale di soggetto privo di vincoli famigliari, di persona impegnata in attività professionali di alto rischio a causa delle quali egli aveva anche cercato di condizionare la vita personale e famigliare della donna e del di lei figlio, coinvolto nella vicenda, senza che si possano evidenziare le manifeste illogicità denunciate dal ricorrente, posto che il giudice di merito ha dato atto di una preesistente condizione di fragilità psichica della D., evidenziando, in modo del tutto corretto, come l’azione del prevenuto nel suo innestarsi (peraltro in modo consapevole) su una tale condizione personale si fosse posta come causa delle successive alterazioni psichiche riscontrate dai sanitari. E tale motivazione pare al Collegio del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte sull’irrilevanza, sotto il profilo causale di possibili preesistenti stati patologici della vittima, che in unione al comportamento dell’agente abbiano contribuito alla produzione dell’evento, anche ponendo in luce, ed eventualmente scompensando una situazione di equilibrio raggiunta nonostante tale preesistente patologia. Il ricorrente insiste, come d’altra parte nell’impugnazione di merito, sulla pretesa irrilevanza dei propri comportamenti anteriori al momento della scoperta da parte della donna della sua reale situazione, sostenendo poi come i successivi comportamenti, quali accertati nel breve lasso di pochi giorni, non potessero ritenersi idonei a provocare le lesioni denunciate, senza considerare che il provvedimento impugnato, ed in genere le sentenze di merito, nel loro integrarsi, evidenziano in modo chiaro come fosse stato proprio il comportamento anteriore del prevenuto a creare consapevolmente una situazione tale che la scoperta della verità avesse finito per rappresentare non altro che la deflagrazione finale di un meccanismo messo in atto dal T., del tutto idoneo ad incidere sullo stato psichico della donna.

Quanto, infine, all’elemento soggettivo del reato, la sentenza impugnata mette in luce, con riferimento ad alcuni messaggi inviati dal prevenuto alla D., come i medesimi fossero significativi della piena consapevolezza da parte di costui della condizione di fragilità della vittima e come quindi rendessero evidente che tutta l’azione del ricorrente si fosse svolta con la consapevole accettazione del rischio del determinarsi di un rilevante scompenso psichico al momento della scoperta della verità.

Inammissibile, perchè risolventesi in censure su valutazioni di merito, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimità, è infine il quarto motivo, concernente le non concesse attenuanti generiche e la misura della pena, giacchè la motivazione della impugnata sentenza si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente evidenziato in senso negativo le modalità dell’azione, che già erano state esplicitate in maniera diffusa nella precedente narrativa, e la personalità del prevenuto, sempre chiaramente tratteggiata nel provvedimento impugnato -elementi sicuramente rilevanti ex artt. 133 e 62 bis c.p. – nonchè per le connotazioni di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell’apprezzamento della gravità dei fatti. Nè il ricorrente indica elementi non valutati in positivo decisivi ai fini di una diversa decisione, considerato che il giudice d’appello ha adeguatamente esaminato anche l’offerta di un risarcimento alla p.o. evidenziandone l’incongruità con riferimento alla pluralità delle condotte, alle modalità dell’azione, all’approfittamento delle complessive condizioni di fragilità della p.o. e del coinvolgimento a vario titolo di minori nella complessiva vicenda, con ciò implicitamente considerando irrilevanti anche le manifestazioni di generico rammarico a cui si riferisce il ricorrente. E’ invece fondata la doglianza di cui al primo motivo di ricorso.

Risulta documentato che in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata la D. ha citato il T. davanti al Tribunale di Trento in sede civile per ottenerne la condanna al risarcimento del danno derivatole dai comportamenti oggetto del presente processo penale.

Risulta come l’oggetto dell’accertamento nella causa civile proposta sia anche quella serie di fatti e comportamenti che hanno formato oggetto dell’accertamento in sede penale e quindi dell’azione civile nello stesso inserita con la costituzione di parte civile; l’attrice, oltre ad esplicitare i diversi comportamenti ascritti al T., ha chiesto di poter provare davanti al giudice civile tutte le circostanze di cui alla narrativa, e quindi non solo le circostanze di fatto da cui trarre elementi per la quantificazione del danno, che il giudice penale aveva riservato al successivo giudizio civile, ma anche quelle da cui potesse dimostrarsi l’an debeatur. In tal modo è stata promossa, prima del passaggio in giudicato della relativa sentenza, la medesima azione civile già esercitata nel processo penale, essendosi verificato nel caso quel doppio esercizio della medesima azione che ai sensi della norma dell’art. 82 c.p.p., comma 2, comporta la revoca della costituzione di parte civile, che non si sarebbe determinata se la parte civile, esercitata in sede penale l’azione civile ed ivi ottenuto l’accoglimento della domanda risarcitoria per l’an, si fosse limitata a proporre poi davanti al giudice civile domanda per il quantum, non avendosi, in tale ipotesi, doppio esercizio della stessa azione, bensì di una diversa azione fondata sulla prima. In definitiva la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio sul punto delle statuizioni civili, da eliminarsi.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio sul punto delle statuizioni civili, che elimina, e rigetta, nel resto, il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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