Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-11-2010) 27-01-2011, n. 2979

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Trieste con sentenza del 7.12.2009 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone in data 26.1.2005 di condanna del ricorrente alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di truffa aggravata.

Il B. noleggiava inizialmente una vettura Opel Zafira corrispondendo una prima rata in contanti, successivamente si ripresentava asserendo di voler espandere la propria attività nel mercato tedesco e noleggiava altre 4 vetture identiche corrispondendo come rata un assegno caduto poi in protesto.

Le 5 vetture non venivano poi recuperate.

La Corte territoriale riteneva la sussistenza del reato di truffa in quanto l’imputato aveva carpito la buonafede delle parti lese onorando il primo impegno rateale e così dando l’impressione di essere solvibile ed asserendo di voler espandere la propria attività all’estero la seconda volta, mentre ben sapeva che la propria azienda era decotta e consegnando un titolo che ben sapeva privo di copertura.

Ricorre l’imputato che allega la carenza motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla contestata aggravante ex art. 61 c.p., n. 7.

Con il secondo e terzo motivo si allega che sussistevano solo gli estremi dell’appropriazione indebita in quanto eventualmente l’imputato si sarebbe appropriato di beni contrattualmente già acquisiti e che comunque nessun artificio o raggiro era stato posto in essere per carpire la buona fede della parte offesa.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Il primo motivo non è stato previamente sollevato con il ricorso in appello e quindi è inammissibile in questa sede. Circa gli altri motivi con i quali si contesta la ritenuta "truffa contrattuale" la Corte territoriale ha già richiamato gli artifici e raggiri posti in essere per carpire la fiducia della parte offesa: il ricorrente ha onorato il primo impegno rateale pagando in contanti e così dando l’impressione di essere solvibile e la seconda volta ha dichiarato di voler espandere la propria attività all’estero corrispondendo un titolo non solvibile, mentre ben sapeva che la propria azienda era decotta ed ovviamente che il titolo era privo di copertura. Senza tali raggiri il ricorrente non avrebbe avuto in consegna le autovetture che poi non ha riconsegnato. La motivazione appare congrua e logicamente coerente, le censure ripropongono negli identici termini dell’atto di appello la tesi della mera appropriazione indebita che non può essere seguita essendo emerso un quid pluris nella condotta dell’imputato, prima ricordato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. La parte civile non ha depositato alcuna nota spese, come da verbale.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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