Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-01-2011) 28-01-2011, n. 3162 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A seguito del passaggio in giudicato, avvenuto in data 6 novembre 2009, della sentenza di condanna emessa il 7 febbraio 2006 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma nei confronti di C.G., D.S.A., C.C., C.D. e D.S.P. per il reato di cui all’art. 648-bis c.p., il Pubblico ministero, in Persona del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, avanzava a detta Corte di appello (giudice dell’esecuzione a causa della riforma della sentenza di primo grado nei confronti di altri coimputati) richiesta di applicazione dell’indulto ai sensi della L. n. 241 del 2006 sulle pene inflitte ai predetti condannati, limitatamente alla parte riferibile alle condotte di sostituzione di denaro proveniente da delitti diversi dal traffico di stupefacenti.

1.1. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte d’appello di Roma, decidendo a seguito di fissazione di udienza in camera di consiglio, dichiarava condonata la pena nella misura di un anno, cinque mesi, dieci giorni di reclusione e 800,00 Euro di multa nei confronti di C.G., D.S.A., C.C., C.D.; nella misura di dieci mesi, venti giorni di reclusione e 400,00 Euro di multa nei confronti di D.S. P..

1.2. A ragione della decisione la Corte d’appello osservava: che l’attività di riciclaggio riguardava beni e valori provento di attività delittuose inquadrabili sostanzialmente in due campi d’attività, l’uno costituito da reati contro il patrimonio, quali usura estorsione e truffa, l’altro concernente il traffico di stupefacenti realizzato con ripetute quantità di acquisto di cocaina per quantitativi di circa 50 chili ciascuna; che il valore dei proventi dei reati in materia di stupefacenti poteva essere ragionevolmente stimato nel doppio del valore dei proventi derivanti dagli altri reati; che di conseguenza l’indulto poteva essere concesso per un terzo delle pene inflitte.

2. D.S.P. e C.C. ricorrono a mezzo del difensore avvocato Maurizio Giannone con atto datato 6 agosto 2010; C.G., D.S.A. e C.D. ricorrono a mezzo del difensore avvocato Pier Giorgio Manca con altro atto parimenti datato 6 agosto 2010; C.G. e D. S.A. hanno quindi prodotto a mezzo del difensore avvocato Pier Giorgio Manca ulteriore atto di ricorso datato 6 settembre 2010, testualmente identico a quello dell’avvocato Giannone.

Nei diversi atti i ricorrenti chiedono l’annullamento della ordinanza impugnata sulla base di motivi uguali o analoghi denunziando:

2.1. violazione dell’art. 164 c.p.p. e nullità della notificazione ai condannati degli avvisi di fissazione della udienza in camera di consiglio, nonchè di tutti gli atti e del provvedimento conseguenti, sull’assunto che l’avviso era stato erroneamente notificato presso il difensore sulla base della elezione di domicilio effettuata nel giudizio di merito, nonostante detta elezione non potesse estendersi oltre il giudizio di cognizione;

2.2. erronea applicazione della legge penale (L. n. 241 del 2006, art. 648-bis c.p., comma 1) e processuale ( art. 672 c.p.p.) e manifesta illogicità della motivazione, sostenendosi: che le sentenze di condanna non avevano determinato l’importo delle somme provenienti da traffici di stupefacenti; che era impossibile determinare esattamente la porzione di pena riferibile al riciclaggio di denaro provento da detto traffico, così come riconosciuto dagli stessi magistrati del merito e avvalorato dall’impossibilità di ricondurre, ratione temporis, alle ipotesi in contestazione il riciclaggio dei proventi dell’importazione di 50 chili di cocaina addebitata ad D.S.A. e successiva ai versamenti sul conto intestato a C.C. descritti dal giudice di primo grado; che il giudice dell’esecuzione non poteva di conseguenza affidarsi a opinabili "proiezioni attuariali", ma doveva prendere atto dell’impossibilità di effettuare l’operazione di scorporo richiesta dal Pubblico ministero e fare applicazione del principio in dubio pro reo.

3. I ricorrenti hanno quindi prodotto memorie:

3.1. in data 29.12.2010 a firma dell’avvocato Giannone, con la quale, preso atto delle richieste del Procuratore generale nei confronti di D.S.P. e di C.C., si insiste per la fondatezza anche del secondo motivo osservandosi che, contrariamente a quanto affermato dal P.g., i ricorrenti erano stati condannati per concorso in più episodi di riciclaggio, avvinti dalla continuazione, sicchè doveva ritenersi pacifica la scindibilità della pena.

3.2. in data 3.1.2011 a firma dell’avvocato Manca, con la quale si insiste nella prospettazione della assoluta fumosità nella individuazione dei reati presupposti e si contestano gli argomenti delle sentenze di merito.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo dei diversi ricorsi, il cui esame sarebbe preliminare perchè attiene alla corretta costituzione del rapporto processuale nel giudizio di esecuzione celebrato ai sensi dell’art. 666 c.p.p., presuppone che nel caso in esame occorresse procedere in udienza partecipata, con le forme previste da detta norma.

2. Il Collegio non può dunque esimersi dal rilevare che il provvedimento impugnato è stato preso all’esito di udienza in camera di consiglio fissata ai sensi dell’art. 666 c.p.p., ma in relazione alla competenza assegnata al giudice dell’esecuzione dall’art. 672 c.p.p., comma 1, che prevede che si proceda a norma dell’art. 667, comma 4, e cioè de plano.

La qual cosa comporta due rilievi: la prima che non può dichiararsi alcuna nullità per l’omesso o irrituale avviso alle parti con riguardo ad una procedura partecipata che non è richiesta e in relazione ad un provvedimento che non deve essere preso all’esito di tale procedura ma va adottato, in prima istanza, de plano; la seconda che avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che ha deciso o che doveva decidere a norma dell’art. 667 c.p.p., comma 4, può essere proposta soltanto opposizione davanti allo stesso giudice e non ricorso per cassazione.

E non soltanto, secondo l’orientamento nettamente prevalente di questa Corte (Sez. 4, n. 15149 del 29/01/2008 e ivi citate Sez. 1, 20.2.2007, n. 26021; Sez. 1, 20.9.2007, n. 36231; Sez. 1, 9.3.2007, n. 18223; Sez. 1, 10.7.2007, n. 28045; Sez. 3, 5.12,2992, n. 8124;

Sez. 3, 7.4.1995, n. 1182; nonchè, più in generale: Sez. 1, n. 4120 del 16/01/2008; Sez. 1, n. 23606 del 05/06/2008), la seconda regola vale anche nei casi in cui il provvedimento sia stato reso, senza necessità, all’esito della procedura camerale anzichè de plano, perchè la scansione legale prevista dall’art. 672 c.p.p., comma 2 e art. 674 c.p.p., comma 4, assicura un doppio grado di merito e appare dunque più favorevole per il ricorrente; ma essa non può non trovare a maggior ragione applicazione in un caso quale quello in esame, nel quale si denunzia che il contraddittorio, pur erroneamente ritenuto necessario, non sarebbe stato di fatto instaurato correttamente.

3. Concludendo, il provvedimento impugnato andava assunto senza contraddittorio e avverso di esso era proponibile esclusivamente opposizione. I ricorsi non sono tuttavia da dichiarare inammissibili, dal momento che, in virtù del favor impugnationis e del principio di conservazione degli atti giuridici di cui è espressione l’art. 568 c.p.p., comma 5, possono essere qualificati opposizioni.

Di conseguenza, qualificati i ricorsi come opposizioni, gli atti vanno trasmessi al giudice dell’esecuzione per la decisione ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4, ultimo periodo, e art. 666 c.p.p..
P.Q.M.

Qualificati i ricorsi come opposizioni ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4, dispone la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Roma per quanto di competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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