Cass. Civ., sez. I, 13 maggio 2009, n. 11141 Separazione, valutazione casa coniugale, consulenza tecnica, famiglia, civile.it (2009-10-26)

Fatto

L.M., premesso che la Corte di appello di Roma aveva pronunciato la separazione personale dal coniuge S.P., proponeva domanda di scioglimento della comunione dei beni acquistati in costanza di matrimonio ed in particolare di divisione dell’appartamento sito in (OMISSIS), dell’appartamento sito in (OMISSIS), delle quote relative alla tipografia Modul Cont s.r.l. e dei titoli azionari risultanti dagli accertamenti dell’anagrafe tributaria, degli arredi della casa coniugale, del deposito bancario su c/c BCI n. (OMISSIS), di due autovetture. Chiedeva inoltre il riconoscimento del valore dei materiali utilizzati per la costruzione della villa in contrada (OMISSIS) e la condanna del convenuto a corrispondere la metà del valore locatizio dell’appartamento e del garage in (OMISSIS) dal 27.7.1990. Premetteva l’attrice che il Tribunale di Roma aveva già riconosciuto in suo favore la metà dei beni e dei titoli acquistati dal S., con sentenza poi annullata dalla Corte di appello perchè pronunciata dal GOA, al di fuori dei limiti di competenza del giudice onorario. Nel costituirsi in giudizio il S. dichiarava di non accettare il contraddittorio in ordine alla domanda di scioglimento della comunione legale tra i coniugi per i beni diversi dall’alloggio di (OMISSIS), nel merito concludendo perchè fosse disposta la vendita all’incanto dell’appartamento di (OMISSIS) ai fini dello scioglimento della comproprietà, con rigetto di tutte le altre domande.

Il Tribunale attribuiva in proprietà esclusiva alla L. l’appartamento in (OMISSIS) ed il locale box che ne costituiva pertinenza, con obbligo di corrispondere al S. la metà del valore a titolo di conguaglio, pari ad Euro 222.626 oltre interessi;

respingeva le ulteriori domande dell’attrice, compensando le spese di lite.

Su appello principale della L., che insisteva sulle domande respinte dal Tribunale (ed incidentale del S. che impugnava il capo di sentenza che aveva attribuito alla L. la proprietà esclusiva dell’alloggio di (OMISSIS), la Corte di appello di Roma con sentenza 12.2.2008 in parziale accoglimento dell’appello principale condannava il S. al pagamento in favore della L. della somma di Euro 33.569,70 (rivalutata secondo Istat dal gennaio 2001 ad oggi; in parziale accoglimento dell’appello incidentale determinava in Euro 370.053,45, oltre interessi dalla pronuncia al saldo, il conguaglio dovuto dalla L. al S. per l’attribuzione in proprietà esclusiva dell’alloggio di (OMISSIS). Compensava le spese del grado.

Affermava la Corte di merito che nell’assegnazione di un bene in proprietà esclusiva il giudice non incontra nell’art. 720 c.c. alcun limite nella scelta discrezionale del condividente cui attribuire il bene, salvo l’onere di seguire la logica e di indicare i motivi della scelta, mentre la vendita all’incanto è scelta residuale quando nessuno dei condividenti chieda l’assegnazione del bene in proprietà. In ogni caso in sede di appello il S. non aveva espressamente avanzato una richiesta di assegnazione dell’appartamento insistendo invece per un conguaglio maggiore di quanto ritenuto dal Tribunale in suo favore. Nella comparazione dei due interessi contrapposti appariva più meritevole di tutela quello della L. che aveva sempre manifestato la volontà di divenire proprietaria esclusiva dell’alloggio.

Quanto al valore di mercato dell’appartamento, la Corte di appello riteneva che la valutazione espressa dal c.t.u. in primo grado, che era il risultato della media di quattro stime fondate su criteri diversi, andasse modificata, perchè il S. aveva prodotto in primo grado una proposta di acquisto del gennaio 2003 per 568.103 Euro, cauzionata, che la L. non aveva accettato perchè affermava di essere in possesso di una stima di valore maggiore.

Delle quattro stime effettuate dal c.t.u. quella fondata su un’indagine di mercato aveva dato risultati analoghi alla proposta di acquisto e tanto bastava per ritenere che quello fosse il prezzo ricavabile dalla vendita, che andava aumentato del 30% in ragione del notorio aumento del mercato immobiliare in (OMISSIS), tenuto anche conto delle caratteristiche dell’alloggio, posizionato nel quartiere (OMISSIS), fornito di negozi e servito dalla metropolitana, interno ad un condominio con area giardino e campo da tennis, oltre che dotato di un box auto di 44 mq. Su un prezzo attuale di Euro 740.106,90, il conguaglio dovuto dalla L. al S. doveva fissarsi in Euro 370.053,45.

Quanto alla domanda di scioglimento della comunione relativamente ai beni diversi dall’alloggio, pure avanzata dalla L., la dichiarazione del S. di non accettare il contraddittorio si fondava sul fatto che la domanda di divisione era stata avanzata dopo un’istanza di sequestro ante causarti dell’alloggio e che il giudizio di merito non poteva avere oggetto più ampio di quello cautelare, ma era infondata, posto che il sequestro era stato chiesto in vista del giudizio di scioglimento della comunione ed a tale scioglimento si riferiva la citazione introduttiva. Nel merito la Corte riteneva che l’alloggio in (OMISSIS) non fosse caduto in comunione, perchè acquistato dal S. nel (OMISSIS), prima della riforma del diritto di famiglia che aveva stabilito il regime di comunione legale dei coniugi. Le quote della tipografia Modul Cont s.r.l. ed i titoli azionari erano stati ceduti rispettivamente nel 1989 e nel 1988, mentre la documentazione relativa al conto corrente bancario era ferma al 1985. Si trattava di vicende anteriori non solo allo scioglimento della comunione, ma anche all’inizio del procedimento di separazione giudiziale dei coniugi, sì che non poteva presumersi che tali somme fossero state utilizzate dal S. per fini diversi da quelli di cui all’art. 186 c.c. e neppure che non vi fosse il tacito consenso del coniuge ex art. 184 c.c.. Quanto alla domanda di riconoscimento del valore dei materiali per la costruzione della villa in contrada (OMISSIS), doveva condividersi l’assunto dell’appellante che il denaro utilizzato per l’edificazione della villa fosse oggetto di comunione, perchè l’immobile era stato costruito nel periodo in cui già vigeva il regime di comunione dei beni e dunque con presunto impegno di spesa di entrambi i coniugi. Il credito della L. poteva essere determinato con riferimento alla c.t.u. esperita nel contraddittorio delle parti nell’ambito del giudizio conclusosi con la sentenza del G.O.A. poi annullata dalla Corte di appello per incompetenza dell’organo giudicante rispetto ai criteri di ripartizione degli affari civili tra i magistrati onorari e togati. Su un costo al dicembre 2000 di vecchie L. 130 milioni, la quota di pertinenza della L. era pari a l. 65.000.000 e quindi ad Euro 33.569,70, da rivalutarsi secondo Istat. Avverso la sentenza ricorre per cassazione la L. deducendo un unico motivo articolato in due profili. Resiste con controricorso il S., che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

1. Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Con il primo profilo del motivo la ricorrente principale deduce violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c., nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione.

Nel riformare la decisione di primo grado in ordine al conguaglio da essa dovuto al S. per la metà di sua spettanza dell’alloggio di (OMISSIS) ad essa attribuito in proprietà esclusiva, la Corte di appello avrebbe disatteso la c.t.u. esperita in primo grado, per fondarsi su un documento, la proposta di acquisto di cui in narrativa, meramente indiziario, la cui inattendibilità era stata riconosciuta dal c.t.u. di primo grado, anche perchè quella proposta di acquisto era stata poi ritirata in quanto l’offerente si era avveduto che l’alloggio presentava numerosi vizi. La Corte poi nell’elevare il valore di stima così determinato del 30%, in base al notorio andamento del mercato immobiliare in (OMISSIS), avrebbe violato il principio stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il notorio non potrebbe riguardare che i fatti acquisiti alla conoscenza della collettività e dunque non l’andamento del prezzo di un immobile, che postula specifiche conoscenze di natura tecnica.

Con il secondo profilo dell’unico motivo la ricorrente deduce che le quote della tipografia Modul Cont s.r.l. ed i titoli azionari non erano stati ceduti nel 1988 e 1989, in quanto dalla relazione della Guardia di Finanza versata in atti si ricavava soltanto che il S. negli anni 1987, 1988 e 1989 aveva riscosso dividendi su titoli azionari, senza che vi fossero elementi per ritenere che tali titoli fossero stati ceduti. Ancora non sarebbe vero che la documentazione relativa al conto corrente bancario BCI fosse ferma al 1985. Il ricorso per separazione risaliva al 4.7.1989 e la cessione delle quote della tipografia era avvenuta il 5.8.1989, quindi dopo il deposito del ricorso. Quote ed azioni sociali erano state acquistate in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale. La comproprietà delle quote discendeva ex lege. Per le stesse ragioni anche il saldo attivo del conto corrente rientrava nella comunione.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale il S. deduce violazione degli artt. 158 e 159 c.p.c.., con riferimento al vizio di costituzione del giudice ed all’estensione della nullità a tutti gli atti del procedimentoex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè contraddittorietà della motivazione relativamente all’utilizzazione di un atto di un procedimento dichiarato nullo per vizio di costituzione del giudice e quindi travolto dalla nullità derivata.

La Corte di appello di Roma con la sentenza 13.6.2003 aveva dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Roma, pronunciata dal G.O.A., per vizio di costituzione del giudice trattandosi di causa che, ai sensi dell’art. 48 previgente Ord.Giud., avrebbe dovuto essere decisa dal collegio e non da un giudice onorario. Il vizio di costituzione del giudice aveva travolto tutti gli atti del procedimento e quindi anche la c.t.u. svolta in primo grado in quel giudizio. La Corte di appello nella sentenza impugnata aveva invece ritenuto di non applicare l’effetto estensivo della nullità alla c.t.u. La Corte di merito avrebbe anche reso una motivazione contraddittoria perchè da un lato aveva dato atto della nullità e dall’altro aveva utilizzato la c.t.u..

Con il secondo motivo del ricorso incidentale il S. deduce violazione dell’art. 752 c.c. e difetto di motivazione con riguardo alla condanna al 50% dell’esborso per l’acquisto dei materiali per la costruzione della villa in (OMISSIS), acquisita per accessione ex art. 934 c.c. al suolo di cui il S. era proprietario iure hereditatis soltanto nella misura di un sesto. La condanna avrebbe dovuto essere contenuta nei limiti di un sesto dell’esborso per l’acquisto dei materiali di costruzione. Il terreno sul quale venne costruita la villa, infatti, apparteneva in origine ai genitori del S.. Morto il padre, la quota del 50% del de cuius veniva ereditata dal S., dalla di lui sorella e dalla madre per un terzo ciascuno, con conseguente proprietà di un sesto dell’intero terreno in capo al ricorrente.

Poichè la villa costruita accedeva al terreno, era alla proprietà di quest’ultimo che occorreva far riferimento per stabilire il debito del ricorrente incidentale, rispondendo ogni erede nei limiti della quota ereditaria.

3. Muovendo dal ricorso principale e con riferimento al primo profilo dell’unico motivo va rilevato che la censura di difetto di motivazione in ordine alla determinazione del valore dell’alloggio in (OMISSIS) oggetto di divisione è inammissibile. La Corte di appello ha ritenuto di determinare tale valore in misura difforme dalla stima operata dal c.t.u. in primo grado, che costituiva a sua volta la media di quattro diverse stime riferite rispettivamente al valore residuo della costruzione sommata al valore dell’area nella quota di pertinenza, alle quotazioni di mercato del Listino Borsa Immobiliare di Roma nel secondo quadrimestre del 2004, al valore di mercato secondo indagini di mercato in loco per beni di analoghe caratteristiche, al presumibile reddito mensile ricavabile. La Corte ha considerato la terza delle quattro valutazioni, ritenendola più attendibile perchè coincidente con un’offerta di acquisto effettuata da un terzo e cauzionata.

Si tratta all’evidenza di una valutazione in fatto, adeguatamente motivata, come tale incensurabile in questa sede di legittimità.

Invero la stima di un bene da dividere, risolvendosi in giudizio di fatto, è rimessa al giudice del merito, il cui apprezzamento e insindacabile in sede di legittimità, se immune da errori logici e giuridici (Cass. 10.5.1966, n. 1203). Il motivo non è fondato neppure nella parte in cui censura l’adeguamento della stima al momento della pronuncia della Corte di appello effettuato ipotizzando un aumento di valore dell’immobile nella misura del 30% in ragione del fatto notorio costituito dall’incremento del prezzo degli immobili nel comune di (OMISSIS). E’ vero infatti che questa Corte ha più volte affermato che “il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile;

pertanto tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati come la determinazione del valore corrente degli immobili, trattandosi di valore variabile nel tempo e nello spazio, anche nell’ambito dello stesso territorio, in relazione alle caratteristiche del bene stesso” (Cass. 28.3.1997, n. 2808; Cass. 27.3.2003, n. 4556; Cass. 5.4.2005, n. 7044). Nella specie peraltro la Corte di appello ha tenuto conto dell’aumento di valore degli immobili nell’area di (OMISSIS), verificatosi negli ultimi anni, circostanza che effettivamente rientra nella comune esperienza avendo interessato l’intero territorio nazionale e non soltanto l’Italia, ed ha poi considerato una serie di elementi relativi alla collocazione dell’immobile nel quartiere (OMISSIS), adeguatamente servito da metropolitana ed autobus, fornito di negozi, ed alle caratteristiche specifiche dell’appartamento, sito in un condominio con giardino e tennis, e dotato di box auto della superficie di mq. 44, che lo rendeva particolarmente appetibile, sì che ha collegato gli elementi desumibili dal notorio con i dati relativi all’immobile, desunti dalla c.t.u. espletata nel corso del giudizio.

Si tratta dunque di valutazione effettuata dal giudice sulla base di specifici elementi di fatto, desunti dagli atti, nella quale la Corte di merito ha fatto ricorso al notorio soltanto in ordine alla circostanza, in sè rientrante nel patrimonio della comune conoscenza, del generale incremento di valore degli immobili intervenuto negli ultimi anni nell’intero territorio nazionale.

4. Il secondo profilo del motivo è inammissibile.

La ricorrente censura le conclusioni cui è pervenuta la Corte di appello in ordine ai beni che potevano ritenersi in comunione tra i coniugi al momento del suo scioglimento per effetto della separazione. Contesta gli accertamenti in fatto compiuti dalla Corte di merito affermando che non risponderebbe a verità, sulla scorta delle indagini della Guardia di Finanza, che la cessione delle quote della Tipografia Modul Cont s.r.l. fosse avvenuta nel 1989 e quella dei titoli azionari nel 1988, anteriormente all’inizio del giudizio di separazione, con conseguente presunzione di utilizzo da parte del S. delle somme ricavate per i fini di cui all’art. 186 c.c..

Del pari contesta che la documentazione relativa ai movimenti del conto corrente bancario fosse ferma al 1985, circostanza da cui la Corte di merito ha tratto conclusioni analoghe in ordine alla mancata dimostrazione dell’esistenza di beni in comunione all’atto della proposizione della domanda di separazione.

Il quesito formulato dalla ricorrente è nei seguenti termini: “Dica la Suprema Corte se (nella fattispecie de qua in ordine alla valutazione dei beni de residuo rientranti nella comunione legale) il mancato, errato o deficiente esame da parte del Giudice di punti decisivi della controversia, avrebbe determinato una decisione diversa da quella adottata e, quindi, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5″.

L’art. 366 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 ed applicabile al presente giudizio ratione temporis, nel caso di motivo in cui si denunci il vizio di motivazione stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la “censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass. S.U., 1.10.2007, n. 20603).

Nel caso di specie la formulazione del quesito è del tutto generica perchè non contiene alcun riferimento preciso alle doglianze sviluppate nell’esposizione del motivo, traducendosi in una mera parafrasi del disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del tutto avulsa da ogni riferimento allo specifico contenuto della censura.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa (Cass. 5.12.2008, n. 28855; Cass. 18.4.2001, n. 5682;

Cass. 30.11.1988, n. 6501). Non rileva a tale proposito che tale c.t.u. fosse stata esperita in un giudizio di cui è stata successivamente dichiarata la nullità per vizio di costituzione del giudice – nella specie perchè trattavasi di controversia di competenza del giudice collegiale decisa dal giudice monocratico non togato. Ciò che conta, infatti, è che l’accertamento peritale sia stato ritualmente acquisito nel presente giudizio e che su di esso vi sia stato il contraddittorio tra le parti, circostanza che il ricorrente incidentale non ha in alcun modo contestato.

6. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

La Corte di appello ha determinato la somma dovuta dal S. a titolo di rimborso del valore del 50% dei materiali impiegati per la costruzione della villa in contrada (OMISSIS), acquisita in proprietà per accessione da lui e dai comproprietari del terreno su cui insisteva, sul presupposto che il denaro utilizzato per la costruzione da parte dei coniugi fosse in comunione.

Sostiene il ricorrente incidentale che il debito su di lui gravante dovrebbe essere determinato nei limiti della quota di proprietà del terreno, derivante dalla successione del padre, e quindi nella misura di un sesto, atteso che egli ha ereditato il 50% del terreno insieme alla sorella ed alla madre.

Il motivo peraltro si fonda su un’eccezione, essere il ricorrente incidentale tenuto nei limiti della quota di proprietà del terreno pari ad 1/6 in virtù della successione ereditaria, che risulta formulata per la prima volta in questa sede di legittimità.

In proposito va sottolineato che nella narrativa del ricorso, a p. 6, il S. afferma di aver dedotto nel terzo motivo di appello che le opere realizzate sul terreno di (OMISSIS) accedevano ad un terreno per metà di proprietà della madre e per l’altra metà pervenuto in successione, come tale escluso da qualsiasi forma di comunione coniugale, a quest’ultima ed ai due figli del de cuius, padre del S..

E’ peraltro evidente che il motivo di appello era diretto a contestare che il terreno su cui era stata realizzata la costruzione fosse oggetto della comunione tra i coniugi. Non era stata dedotta, secondo quanto risulta dalla lettura del controricorso, la circostanza che iure hereditario il S. rispondesse del debito per il valore dei materiali usati per la costruzione su suolo altrui, oggetto di accessione ex art. 934 c.c., nei limiti della quota ereditaria e tantomeno che la quota ereditaria fosse pari ad un sesto.

Era in ogni caso onere del S. riportare compiutamente il motivo di gravame che assume non adeguatamente esaminato dal giudice di appello, sì che non è comunque soddisfatto il requisito di autosufficienza del ricorso.

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 aprile 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2009

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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