La Sezione Lavoro
Svolgimento del processo
Con sentenza del 15.11.2001 il Tribunale del lavoro di Roma rigettava il ricorso con il quale M. M. aveva chiesto il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal 17.7.1995; l’accertamento dell’illegittimità del comportamento della … S.p.A., propria datrice di lavoro, consistente nel costringere i dipendenti a sottoscrivere periodicamente dei contratti a tempo, accertandone quindi l’inefficacia, nullità, annullabilità, illiceità e comunque l’inapplicabilità al rapporto dedotto; l’accertamento della nullità, annullabilità e illegittimità del licenziamento operato verbalmente dalla società in data 17.2.1998 e la continuità del rapporto di lavoro, mai cessato a quella data, con pronunzia di reintegra nel posto di lavoro e condanna della società a corrispondere le somme per differenze retributive, con rivalutazione ed interessi, oltre a lire 1.350.000 nette per premio di produzione anno 1993, oltre rivalutazione ed interessi.
Con atto depositato il 25.7.2002 il M. proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda proposta in primo grado. Parte appellata si costituiva per resistere e chiedeva il rigetto del gravame. Con sentenza dell’1 marzo-7 luglio 2005, l’adita Corte d’appello di Roma, ritenuta la nullità dei contratti a termine in questione dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal 17 luglio 1995, con condanna della società – per quanto interessa ancora nella presente sede – al pagamento delle retribuzioni maturate dal momento di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del dipendente, da identificarsi con il momento della notifica del ricorso introduttivo.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la S.p.A. … con un unico motivo.
Resiste M. M. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
La società … ha anche presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del P.G., ai sensi dell’art. 379, 4° comma, c.p.c.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c).
Con l’unico motivo di ricorso principale, la società …, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 c.p.c., 1218 e ss. c.c., art. 18 l. n. 300/1970, illogica, violativa del principio di verità materiale, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), lamenta che, nonostante il M. abbia agito nell’ottica dell’art. 18 L. n. 300/2970, il Giudice d’appello abbia finito con l’accogliere una domanda mai formulata dal lavoratore, il quale nel corso dei due gradi di giudizi di merito non aveva mai posto a disposizione le proprie energie lavorative, né tantomeno aveva richiesto il risarcimento relativi danni.
Il motivo è infondato.
Invero, il Giudice d’appello, dopo aver ritenuto nulli i contratti a termine sottoscritti dalle parti e, pertanto, sussistente il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 17.7.1995, ha chiarito che non poteva trovare accoglimento la domanda formulata dal M. relativamente al licenziamento ed alla reintegra, considerato che la nullità dei contratti a termine con riconoscimento di rapporto a tempo indeterminato comportava il perdurare del rapporto stesso fino a valida risoluzione.
In coerenza con tale affermazione ha condannato la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal momento di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del dipendente, avvenuta, nella specie, con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio.
Nella narrativa dell’atto, tuttavia, il Giudice a quo ha tenuto a puntualizzare che le richieste del M. erano spiegate come tutte basate sull’accertamento dell’illegittimità del comportamento della società consistente nel costringere i dipendenti a sottoscrivere periodicamente dei contratti a tempo, con accertamento, tra l’altro, della nullità e con riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Da tali premesse sarebbe dovuto discendere – ad avviso del lavoratore – la reintegra nel posto di lavoro, con condanna della società alla corresponsione delle differenze retributive.
Orbene, interpretando la domanda, il Giudice d’appello ha individuato causa petendi e petitum, osservando che il M. aveva erroneamente chiesto la reintegra nel posto di lavoro, non conciliabile con le pregresse pretese ed, in particolare, con le avanzate differenze retributive conseguenti all’accertata nullità, da cui scaturivano le conseguenze economiche sopra specificate.
Va, a questo punto, rammentato, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, che nella specie deve, ulteriormente, confermarsi, che la interpretazione della domanda giudiziale è operazione riservata al giudice del merito.
Il giudizio espresso al riguardo dal detto giudice, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione testuale nonché del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (v. Cass. 9 settembre 2008 n. 22893; Cass. 26 giugno 2007 n. 14751; Cass. 14 marzo 2006, n. 5491). Contemporaneamente, non può non ribadirsi, ulteriormente, che nell’indagine diretta alla individuazione e qualificazione della domanda giudiziale, il giudice di merito come di legittimità non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile, oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell’atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta (Cass. 9 settembre 2008 n. 22893, cit.; Cass. 6 aprile 2006, n. 8107; Cass. 14 marzo 2006, n. 5442).
Pacifici, in diritto, i principi sopra esposti si osserva che nella specie il Giudice del merito ha interpretato la domanda contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado esaminando i fatti e motivando non in base alla qualificazione datane dall’interessato ma in base ai fatti stessi, escludendo, in maniera implicita ma non per questo poco chiara, che nel ricorso in appello erano stati indicati fatti nuovi.
Per le considerazioni che precedono non ritiene il Collegio che il Giudice di appello sia incorso nelle denunciate violazioni.
Quanto alla decorrenza dell’obbligo di pagare le retribuzioni, deve, in proposito, precisarsi che, intervenute a comporre il contrasto di giurisprudenza venutosi a determinare sulla questione se l’estromissione del lavoratore dall’organizzazione aziendale per scadenza di un termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro fosse da equiparare a licenziamento ingiustificato, le sezioni unite della Corte (7471/1991) lo hanno composto escludendo la configurabilità di una fattispecie di recesso. Ciò perché, in linea generale – fatta eccezione per i casi di esternazione della volontà di troncare il rapporto nella consapevolezza della sua permanenza – datore di lavoro e lavoratore adeguano i loro comportamenti a quella che appare la regola del rapporto, senza esprimere perciò alcuna volontà diretta a produrre l’effetto estintivo, cosicché natura meramente ricognitiva è da attribuire all’eventuale comunicazione alla controparte della cessazione del rapporto da una certa data.
Esclusa la presenza di un negozio di recesso, l’azione del lavoratore diretta a far valere la continuità del rapporto non può introdurre un giudizio di impugnazione di un atto, ma ha natura di azione di mero accertamento dell’effettiva situazione giuridica derivante dalla nullità del termine, con la conseguente inesistenza di un onere di attivarsi entro un termine di decadenza, dettato con esclusivo riferimento alle ipotesi di licenziamento. Il medesimo lavoratore potrà inoltre far valere i diritti conseguenziali all’accertamento della permanenza in vita del rapporto: di eseguire la prestazione lavorativa riprendendo il suo posto; di ricevere le prestazioni patrimoniali.
In ordine a quest’ultimo profilo, cioè alle pretese economiche del lavoratore, si è avuto un altro intervento delle sezioni unite della Corte (2334/1991) che hanno chiarito come, in linea con i principi generali dei contratti sinallagmatici, l’obbligazione retributiva costituisca necessariamente (salve le specifiche eccezioni al principio contemplate dalla legge) il corrispettivo della prestazione di lavoro, cosicché, quando la prestazione manchi per causa imputabile al datore di lavoro, il lavoratore può ottenere soltanto il risarcimento del danno (in linea generale, nella misura corrispondente alla retribuzione) subito a causa dell’impossibilità della prestazione cagionata dal rifiuto ingiustificato del datore di lavoro, concretante inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1223 c.c. (a seguito dei ricordati interventi delle sezioni unite, la giurisprudenza della Corte ha fatto costante applicazione dei principi sopra enunciati: v., tra le tante, Cass. 5932/1998; 5821/2000; 14882/2000; 10782/2000; 12697/2001; 9962/2002: 17524/2002).
Donde la necessità, per ottenere il risarcimento, che il lavoratore si attivi per offrire l’esecuzione delle prestazioni, costituendo in mora il datore di lavoro nelle forme di cui all’art. 1217 c.c., ossia, “mediante l’intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per renderla possibile” o anche “nelle forme d’uso”.
Nella specie, la Corte di Appello, interpretando, ancora una volta, la domanda, ha correttamente identificato la messa in mora con il momento di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del dipendente, avvenuta, nel caso in oggetto, con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio; ritiene il Collegio che la censura mossa sul punto dalla società vada rigettata perché la relativa statuizione è conforme al diritto.
Né è di ostacolo a tale determinazione la pronuncia delle SS.UU. dell’8 ottobre 2002, n. 14381, seguita da altre successive, alla cui stregua la situazione di “mora accipiendi” del datore di lavoro non sarebbe integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento con la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, trattandosi di affermazione di per sé neutra, che prescinde dalla interpretazione, spettante al giudice di merito, volta ad attribuire alla richiesta di reintegrazione la disponibilità a riprendere lo svolgimento della propria attività lavorativa.
Per quanto precede il ricorso principale va rigettato, rimanendo assorbito l’incidentale proposto subordinatamente all’accoglimento del primo.
L’esito del giudizio induce a compensare le spese.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Compensa le spese del presente giudizio