Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 28-01-2011, n. 3140 Conflitti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 3 novembre 2008 il Tribunale di Agrigento dichiarava la propria incompetenza a provvedere in ordine all’istanza, avanzata da F.S. e M.G., di revoca della confisca di beni formalmente Intestati alla M. e disposta, ai sensi della L. n. 575 del 1965, nel procedimento di prevenzione nei confronti di F.S. con decreto del suddetto Tribunale, in data 12.6.2006, parzialmente modificato dalla Corte di appello di Palermo, in data 30.5.2007, divenuto irrevocabile l’8.4.2008.

Premesso che alla revoca della confisca L. n. 575 del 1965, ex art. 2 – ter, può provvedersi a norma della L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, come affermato dalla Corte di legittimità (S.U., n. 57 del 19/12/2006), il quale dispone che alla revoca e modifica provvede "l’organo che ha emanato il provvedimento", il Tribunale rilevava che nella specie l’istanza di revoca si riferiva a beni confiscati in parte con il decreto emesso dal giudice di primo grado, in parte all’esito del giudizio di secondo grado (avendo la Corte di appello accolto l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di primo grado).

Riteneva di conseguenza, mutuando la regola di cui all’art. 665 c.p.p., comma 2, che se il giudice dell’impugnazione dispone la confisca di alcuni beni in riforma del provvedimento del primo giudice, trattandosi di riforma sostanziale, competente a decidere sull’istanza di revoca della confisca è il giudice di secondo grado.

Osservava in particolare che, in ragione della "unitarietà del giudizio di revoca implicante la valutazione organica di plurime situazioni di fatto collegate in prospettiva diacronica" delle quali il giudice di primo grado non ha piena conoscenza per l’avvenuta estensione della misura di prevenzione patrimoniale da parte del giudice di appello, la competenza a decidere sull’istanza di revoca "integrale" della confisca deve essere attribuita al giudice dell’appello anche nell’ipotesi in cui – come nella specie – alcuni beni siano stati confiscati già con il decreto di primo grado.

Inoltre, nella specie, gli argomenti posti a fondamento dell’istanza di revoca della confisca attenevano a circostanze di fatto sulle quali le valutazioni del giudice di secondo grado erano state in parte diverse da quelle operate dal Tribunale.

Conseguentemente, dichiarata la propria incompetenza, disponeva la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Palermo.

2. La Corte di appello solleva conflitto negativo di competenza, disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte.

Ripercorse le scansioni del procedimento di prevenzione (al quale avevano partecipato entrambi gli istanti), all’esito del quale era stata irrevocabilmente disposta la confisca dei beni oggetto della richiesta di revoca, formalmente intestati alla moglie del proposto, e ribadito che la confisca dei beni disposta dal tribunale di Agrigento era stata confermata dalla Corte di appello che aveva, altresì, accolto la contestuale impugnazione del P.M. e, conseguentemente, aveva disposto la confisca di altri beni intestati alla moglie del proposto, negata dal giudice di primo grado, la Corte territoriale contesta le argomentazioni del giudice di primo grado, in specie in ordine alla applicabilità delle norme richiamate in materia di esecuzione. Sottolinea la diversa natura del giudizio di revoca L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, che è giudizio di merito pieno, e rileva che di fronte ad una misura patrimoniale comunque applicata nel giudizio di primo grado, ancorchè soltanto per alcuni beni, sarebbe irrazionale, oltre che ingiustificato sulla base dei principi, primo fra tutti quello del diritto di difesa, ritenere che per i beni confiscati in primo grado deve provvedere il tribunale (con eventuale possibilità di impugnazione in appello, come ormai pacificamente affermato), mentre per quelli confiscati dalla corte di appello competente a provvedere sulla revoca è il giudice di secondo grado con possibilità, peraltro, di giudicati contrastanti.

Pertanto, ad avviso della Corte territoriale, la soluzione della questione, sia alla luce della natura del giudizio di revoca L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, sia sotto il profilo della ragionevolezza, impone di attribuire la competenza al primo giudice che ha applicato la misura di prevenzione.
Motivi della decisione

1. Il conflitto sussiste in quanto due giudici ordinari contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo a quella situazione di stallo processuale, prevista dall’art. 28 c.p.p., la cui risoluzione è demandata a questa Corte dalla norme successive.

Tale conflitto deve essere risolto nel senso indicato dall’autorità giudiziaria che l’ha sollevato.

2. Come si è detto, il giudice di primo grado, al fine di ritenere la propria incompetenza, ha richiamato la disciplina della L. n. 1423 del 1956, art. 7, ma ha poi ritenuto che la dizione in essa contenuta "l’organo dal quale fu emanato" debba essere interpretata sulla base dei principi dettati dagli artt. 665 e 666 c.p.p., (richiamando la massima della decisione di questa Corte, Sez. 1^, n. 591, del 28/01/1997, Bucello, rv. 207687).

In specie, ad avviso del Tribunale, mutuando la regola di cui all’art. 665 c.p.p., comma 2, giudice dell’Impugnazione ha disposto la confisca di alcuni beni del patrimonio del prevenuto in riforma del provvedimento del primo giudice, trattandosi di riforma sostanziale, la competenza a decidere sulla richiesta di revoca della confisca è del giudice di secondo grado anche nel caso in cui, come nella specie, altri beni del prevenuto siano stati confiscati già nel giudizio di primo grado, in ragione della "unitarietà del giudizio di revoca implicante la valutazione organica di plurime situazioni di fatto collegate in prospettiva diacronica", delle quali il giudice di primo grado non ha piena conoscenza essendo stata riformata la propria decisione da parte del giudice di appello che, pertanto, deve ritenersi l’organo che ha emanato il provvedimento del quale viene richiesta la revoca.

3. Invero, la tesi dell’applicabilità della disciplina in materia di esecuzione all’istituto della revoca e modifica della misura di prevenzione, di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 7, – dalla quale muove la prospettazione del Tribunale di Agrigento – è stata oggetto di una progressiva rivisitazione da parte della Corte di legittimità che è pervenuta alla individuazione della specifica natura dell’istituto con conseguenti ricadute sotto il profilo sostanziale e processuale.

In alcune decisioni relative al regime di impugnazione della decisione del giudice della prevenzione sulla istanza di revoca L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, questa Corte, superando un precedente orientamento, è andata ormai costantemente affermando che avverso detta decisione non va proposto il ricorso per cassazione – come previsto per il provvedimento reso nel giudizio di esecuzione – bensì l’appello.

E’ stato in particolare affermato che "dall’inquadrabilità di un istituto nella fase esecutiva non discende automaticamente l’applicazione delle norme che regolano il procedimento di esecuzione in base al codice di rito, giacchè bisogna accertare se esistano disposizioni, che siano proprie del sottosistema cui si riferisce la norma richiamata. Orbene, pacifica la configurazione del procedimento di prevenzione in un sottosistema autonomo, tanto da non consentire l’applicazione dell’istituto della revisione ex artt. 629 c.p.p. e segg., proprio per l’espressa previsione della revoca e della modificazione in virtù della citata L. art. 7, comma 2, la norma specifica è da rinvenire nella citata L. art. 4, che detta le disposizioni da seguire in tema di impugnazione, tanto più che la revoca di cui alla citata L. art. 7, si connota per la caratteristica propria dell’adozione delle misure di prevenzione rebus sic stantibus. Inoltre, non si può sottacere che, nei casi in cui la L. n. 1453 del 1956, rinvia espressamente a norme del codice di rito, detto rinvio è limitato dall’inciso "in quanto applicabili".

Peraltro, anche sotto il vigore del precedente codice di procedura penale, esistendo la differenza tra ordinanza che decideva l’incidente di esecuzione ( art. 631 c.p.p., 1930, comma 2) e la revoca disposta dalla citata L. art. 7, era ritenuto ammissibile avverso quest’ultima l’appello, che connota, pure, un’esigenza garantista in considerazione della natura eminentemente fattuale dell’accertamento della pericolosità sociale e della sua cessazione, cui è connesso l’istituto in esame" (Sez. 1^, n. 21374, del 21/05/2008 (dep. 28/05/2008), Di Meo).

Ancora con riferimento alla questione della impugnabilita del provvedimento reso L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, è stato ritenuto che "la tesi dell’Inquadramento della revoca o della modifica della misura di prevenzione nell’ambito del sistema di esecuzione è stata sottoposta ad una sostanziale revisione… in realtà la revoca e la modifica della misura di prevenzione sono configurate dalla, L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, come provvedimenti autonomi, per i quali è previsto un procedimento speciale che prende l’avvio con l’istanza del prevenuto rivolta all’organo che ha emanato il provvedimento di applicazione della misura preventiva – ossia, di regola, al tribunale indicato nella L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 6, e, solo qualora la misura sia stata applicata in appello a seguito dell’impugnazione del pubblico ministero, alla corte d’appello – per accertare se sia cessata o mutata la causa che l’ha determinato; provvedimento che contempla una, sia pur minima fase istruttoria, con l’intervento dell’autorità proponente. La distribuzione della competenza non è assimilabile a quella prevista dall’art. 665 c.p.p., per l’esecuzione, ma segue la natura del provvedimento, riguardante il merito e non l’esecuzione. La conferma viene dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7 – bis, laddove l’istanza è rivolta al tribunale anche quando il provvedimento applicativo della misura è stato adottato dalla corte d’appello, giacchè in questo caso non si tratta di questione di merito, bensì di una questione di natura tipicamente esecutiva" (Sez. 6^, n. 9858, del 23/10/2008 (dep. 04/03/2009), Nania).

Tale prospettiva, Invero, risulta confermata anche alla luce dei principi posti a fondamento della decisione delle S.U. n. 57 del 19/12/2006 (dep. 08/01/2007, Auddino), laddove, nell’affermare l’ammissibilità della revoca della confisca definitiva, pone una netta distinzione tra il rimedio utilizzabile L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, comma 2, e quello dell’incidente di esecuzione proponibile dal terzo titolare di diritto sul bene confiscato che non ha partecipato al giudizio di prevenzione.

Il riconoscimento della specificità ed autonomia dell’Istituto della revoca di prevenzione emerge ancora dalla citata decisione delle Sezioni Unite, laddove – pur in presenza di ripetuto richiamo all’istituto eccezionale della revisione ex artt. 629 e ss. c.p.p., in specie al fine di determinare i limiti entro i quali va circoscritto il possibile giudizio sulla revoca della confisca definitiva – pone una indubbia distinzione tra i due istituti. "Un maggior approfondimento interpretativo dell’art. 7 è tuttavia intervenuto in relazione al dubbio della compatibilità delle misure di prevenzione con l’istituto della revisione contemplato negli artt. 629 ss. c.p.p., ferma restando l’esigenza logico – sistematica di coprire anche simili provvedimenti con uno strumento in grado di riparare ad errori giudiziari.. Con il risultato di ritenere che il secondo comma dell’art. 7 preveda anche la possibilità di una revoca ex tunc, priva, questa, di ogni connotazione discrezionale e determinata dal riconoscimento, oggi per allora, dell’inesistenza originaria dei presupposti della misura di prevenzione. Una tale lettura, consacrata dalla decisione delle Sezioni Unite 10 dicembre 1997, Pisco, fa sì che la disposizione in esame svolga, per i partecipanti al procedimento di prevenzione, altrimenti privi di diverso rimedio (e in particolare dell’Incidente di esecuzione cfr.

Cass. sez. 6^ 5 novembre 2002, n. 37025, Diana e altro), anche una funzione vicariante quella riservata, per le sentenze e per i decreti penali di condanna, alla revisione, la quale ultima, nelle forme di cui agli artt. 629 e ss. c.p.p., è stata invece ritenuta inapplicabile ai provvedimenti di prevenzione, sempre dalla pronunzia delle Sezioni Unite appena citata" (sent… citata).

Cosicchè, si deve ritenere che la revoca della confisca definitiva è ammissibile – per coloro che hanno partecipato al procedimento di prevenzione conclusosi con la misura ablatoria – solo attraverso l’istituto disciplinato dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, e che lo stesso prevede un giudizio speciale ed autonomo, distinto dall’incidente di esecuzione e – nonostante l’analogia di funzione allorchè sia richiesta una revoca ex tunc – dalla revisione, che segue regole peculiari sia avuto riguardo alla competenza, funzionale e non derogabile, prevista dalla stessa norma, sia con riferimento alle scansioni del procedimento, che (sia pure con il richiamo alla disciplina del procedimento di esecuzione "in quanto applicabile") sono quelle dettate dall’art. 4 della stessa legge.

4. Ne deriva che la questione posta con il conflitto in esame non può che essere risolta alla luce della disciplina specifica dettata dall’art. 7 della legge fondamentale in materia di applicazione delle misure di prevenzione e dalle norme che regolano lo speciale procedimento di prevenzione che, peraltro, attraverso la stratificazione di interventi legislativi molteplici, ancorchè disomogenei e non sempre coerenti, succedutisi nel tempo ed attraverso gli interventi interpretativi della Corte di legittimità, è andato svelando ed assumendo nel tempo sempre più connotazioni autonome delineandosi, in specie per quello che riguarda l’applicazione delle misure patrimoniali, alla stregua di un sottosistema tendenzialmente deputato a coniugare l’effettività e l’efficacia dell’intervento giurisdizionale con la garanzia dei principi fondamentali, avendo riguardo alle peculiarità del settore d’intervento.

Orbene, ribadito che la lettera della norma in materia di revoca della misura di prevenzione attribuisce la competenza a decidere sull’istanza all’organo che ha disposto la misura, si deve ricordare che i presupposti che il giudice della prevenzione è chiamato a valutare ai fini della applicazione della misura patrimoniale della confisca sono la pericolosità del proposto, la disponibilità in capo allo stesso del bene di cui si chiede il sequestro o la confisca, la provenienza illecita del bene ovvero la sproporzione tra patrimonio lecito del proposto e somme investite per l’acquisizione dei diversi beni.

Nel caso in esame, quindi, non può certamente dirsi che la misura non sia stata applicata dal giudice di primo grado, bensì da quello dell’appello, ancorchè, la decisione del primo giudice sia stata poi in parte ampliata dal secondo giudice, che ha disposto la confisca anche di ulteriori beni. E la necessità che la sussistenza dei presupposti oggettivi per la confisca debba essere verificata, per le ragioni più volte esplicitate da questa Corte, in relazione ai diversi beni, ossia bene per bene, non contraddice l’affermazione precedente.

D’altro canto, la revoca della confisca definitiva (come ritenuta ammissibile dalla decisione delle S.U. di questa Corte innanzi citata) è volta a consentire a coloro che sono a tanto legittimati di dedurre elementi diretti a dimostrare l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e, pertanto, in primo luogo la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti.

Nè, invero, può sostenersi – come rileva il tribunale – che il giudice di primo grado è privo della piena conoscenza dei fatti presupposto dell’avvenuta estensione della confisca, atteso che all’evidenza quelli confiscati all’esito del giudizio di secondo grado non sono, nè potevano essere, beni diversi da quelli per i quali era stata avanzata la proposta di misura patrimoniale e sui quali pertanto il giudice di primo grado ha avuto piena cognizione, fatta salva la diversa valutazione operata rispetto a quella del giudice dell’appello.

Così che, se si deve prescindere – come si è sostenuto – dalla applicazione in analogia della disciplina in materia di procedimento di esecuzione, in specie avuto riguardo alla norma che detta le regole in materia di competenza, e, viceversa, si seguono i principi propri della materia dell’applicazione delle misure di prevenzione, avendo riguardo alla ratio che li sorregge, non può che affermarsi la competenza del giudice di primo grado che ha applicato la misura ablatoria patrimoniale.

5. Alla stregua di questi principi, nel caso, in esame, la competenza a provvedere in ordine all’Istanza di revoca della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, irrevocabile, avanzata da F.S. e M.G. appartiene al Tribunale di Agrigento.
P.Q.M.

Dichiara la competenza del Tribunale di Agrigento cui dispone trasmettersi gli atti.

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