Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 28-01-2011, n. 3138 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza In data 22 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 310 c.p.p., ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di C.D. avverso il provvedimento con il quale la locale Corte d’Appello aveva disatteso l’Istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, allo stesso applicata con ordinanza del 14.7.2008 in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73.

Il tribunale, premesso che il C. era stato condannato per i suddetti reati cui si riferisce il titolo custodiale con il giudizio abbreviato alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione (di cui tre anni condonati), ha rilevato che gli argomenti posti a fondamento dell’istanza non introducono elementi nuovi e diversi idonei a consentire la rivalutazione della posizione cautelare dell’imputato, neppure sotto il profilo della attenuazione delle esigenze e, quindi, della attuale proporzionalità della misura custodiale. Ciò, in particolare, tenuto conto delle modalità e circostanze dei fatti per i quali lo stesso è stato condannato che denotano lo stabile inserimento del C. in un circuito delinquenziale organizzato operante nel settore del traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti (il C. è stato ritenuto colpevole dell’acquisto e trasporto di kg. 45 di marijuana). Il tribunale, quindi, ha ritenuto inidonei ai fini della pretesa attenuazione delle esigenze cautelari sia l’incensuratezza dell’imputato, sia il tempo trascorso dall’applicazione della misura cautelare, ovvero dalla commissione del fatto, non accompagnato da ulteriori elementi sintomatici dell’abbandono delle scelte delinquenziali. Ancora, quanto alla proporzionalità della misura, ha sottolineato che, tenuto conto del presofferto, la pena residua concretamente da scontare è di anni uno e mesi otto di reclusione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il C., per il tramite del difensore, denunciando il vizio di motivazione del provvedimento impugnato con riferimento ai presupposti di cui all’art. 299 c.p.p., e all’art. 275 c.p.p., comma 2. In specie: lamenta che il tribunale ha utilizzato formule di stile e mere congetture; ribadisce che l’incensuratezza del C., il tempo trascorso dall’epoca dei fatti (2004) e dall’applicazione della misura cautelare (2008), a fronte della mancanza di elementi di fatto ulteriori rispetto a quelli di cui all’imputazione, l’entità della pena residua da espiare, impongono una rivalutazione della proporzione della misura.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La motivazione della ordinanza impugnata – come innanzi sintetizzata – si sottrae alle censure che le sono state mosse su tutti i punti contestati dal ricorrente perchè ha rappresentato con argomenti logici e coerenti le ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere il permanere delle esigenze cautelari già valutate in sede di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, pur a fronte della pregressa incensuratezza dell’indagato e del tempo trascorso dall’applicazione della misura.

Come è stato reiteratamente affermato da questa Corte, per quel che riguarda la revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere, l’attuale sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura previste dagli artt. 273 e 274 c.p.p., in quanto correlate sia ai fatti sopravvenuti sia a quelli coevi all’ordinanza impositiva, può essere valutata tenendo conto anche del tempo trascorso dal commesso reato e dalla esecuzione della misura cautelare, tuttavia detto tempo può acquistare rilevanza solo se accompagnato da altri elementi che siano certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo status libertatis (Sez. 4^, n. 39531, del 17/10/2006, De Los Rejes, rv. 235391; Sez. 4^, n. 35861, del 26/10/2006, rv. 235041).

Il "fatto nuovo" rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura coercitiva con altra meno grave, deve essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare con riferimento al singolo indagato (od imputato), risultando all’uopo inconferenti sia il mero decorso del tempo dall’inizio dell’applicazione della misura, che il "bilanciamento" con la valutazione ("In melius") delle esigenze cautelari operata in relazione a coindagati (o coimputati) (Sez. 2^, n. 39785, del 26/09/2007, dep. 26/10/2007, Poropat, rv. 238763).

Alla luce di detti principi deve essere, altresì, valutata la questione dedotta con specifico riferimento al criterio di proporzionalità.

L’art. 275 c.p.p., comma 2, stabilisce che la misura cautelare debba essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. Tale disposizione, che non impone un vincolo tassativamente predeterminato alla durata della misura cautelare in rapporto all’entità della pena, lascia certamente un ampio margine di discrezionalità al giudice.

L’applicabilità del principio di proporzionalità nel corso dell’esecuzione della custodia cautelare, proprio perchè rimessa al prudente apprezzamento del giudice, non può prescindere da un’attenta valutazione di tutte le circostanze del caso, con specifico riguardo all’indagine sulla persistenza o meno di quelle esigenze cautelari che hanno condotto in origine alla deliberazione della misura (Sez. 5^, n. 21195, del 12/02/2009, Occhianti, rv.

243936).

Orbene nel caso di specie – prescindendo anche dalla la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, che opera con riferimento al reato associativo contestato – il provvedimento Impugnato proprio tale valutazione ha operato, trasfondendola in una motivazione completa su tutti i punti e priva di vizi logici, come tale non censurabile in questa sede.

3. La manifesta infondatezza del ricorso impone la declaratoria di inammissibilità dello stesso ai sensi dell’art. 591 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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