Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 28-01-2011, n. 3130 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bologna, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., con ordinanza in data 8 – 27 maggio 2010, ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Rimini, con ordinanza del 26 marzo 2010 (depositata il 10 aprile successivo), nei confronti, tra gli altri, di N.N.M. (alias zio M.), cittadino del (OMISSIS), sottoposto ad indagini per il delitto p. e p. dall’art. 416 c.p., commi 1, 5 e 6, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis, lett. a), e art. 5, comma 8 bis, e succ. mod..

Il N.N. ed altre trenta persone, per finalità di lucro consistente in denaro o altra utilità, avrebbero costituito un’associazione strutturata su tre livelli: reclutatori, organizzatori (tra cui lo stesso N.N.) e imprenditori (i primi due livelli composti da cittadini del (OMISSIS), il terzo da italiani), al fine di procurare e/o favorire la permanenza sul territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del D.Lgs. n. 286 del 1998, cit., di almeno 1478 cittadini extracomunitari, adoperandosi, in particolare, per far loro conseguire fraudolentemente, attraverso la presentazione di richieste di lavoro fittizie da parte di compiacenti imprenditori e l’apparente istituzione di un corso di cucina per stranieri, rispettivamente, autorizzazioni al lavoro e permessi di ingresso (o reingresso) per motivi di studio, anche ricorrendo alla contraffazione o alterazione di passaporti, materialmente veri ma ideologicamente falsi.

Il Tribunale ha ritenuto che la gravità indiziaria, in relazione alla specifica posizione del N.N., fosse emersa dalle dichiarazioni del coindagato, Mo.Ud., il quale aveva riferito di aver ricevuto proprio dal N.N., di cui era stato ospite in Roma per circa una settimana al suo arrivo in Italia, il denaro consegnato all’imprenditore cotronese, L.G., in cambio di due nulla osta al lavoro a favore di altrettanti cittadini extracomunitari.

Le dichiarazioni del chiamante, secondo il Tribunale, erano pienamente riscontrate sia dall’assegno sequestrato al Mo., che risultava tratto sul suo c/c a favore del L.; sia dal contenuto delle comunicazioni telefoniche intercettate tra lo stesso Mo. e il N.N. (zio M.), e tra quest’ultimo e il coindagato U.H., che evidenziavano il coinvolgimento dell’attuale ricorrente nell’organizzazione diretta a procurare l’ingresso di più persone dal (OMISSIS) nel territorio dello Stato, dietro ingenti somme di denaro versate dagli immigrati, in parte destinate ai reclutatori – organizzatori del traffico e in altra parte versate ai compiacenti imprenditori italiani, tra cui il predetto L..

Quanto alle esigenze cautelari, esse discendevano dall’elevata pericolosità degli indagati, desumibile dallo stabile e complesso sistema da loro posto in essere, sintomatico di scaltrezza e spregiudicatezza anche per la capacità di eludere, per un periodo di tempo apprezzabile, i pregnanti controlli della pubblica amministrazione, e, inoltre, per il particolare cinismo insito nel meccanismo di sfruttamento di centinaia di persone in fuga da un paese povero come il Bangladesh, costrette a pagare cifre esorbitanti per nulla osta fondati su false richieste di lavoro, tali da non risparmiare loro lo status di clandestini una volta emersa l’inesistenza di alcuna occupazione lavorativa.

Siffatta elevata pericolosità rendeva concreta, ad avviso del Tribunale, l’esigenza di cautela sociale, inducendo a valutare come recessivi i dati formali dell’incensuratezza e dell’integrazione lavorativa della maggior parte dei prevenuti, tenuto conto altresì del breve tempo trascorso dall’inizio dell’esecuzione della misura e della mancata manifestazione di resipiscenza.

In particolare, la forma organizzata, capillare ed internazionale della condotta criminosa, e la perdurante qualifica di imprenditori dei concorrenti italiani, inducevano il Tribunale a ritenere la sola misura carceraria idonea ad evitare il pericolo di recidiva specifica, ben potendo avvenire la prosecuzione del reato, nel caso di arresti domiciliari, tramite procedure e comunicazioni in forma telematica o telefonica, tali da sfuggire ai controlli, inevitabilmente saltuari, che riguardano le cautele non carcerarie.

La medesima estrema misura, oltre che idonea, doveva ritenersi altresì adeguata e proporzionata rispetto all’oggettiva gravità del reato contestato e alla severità della sanzione edittale per esso prevista.

2. Avverso la predetta ordinanza il N.N., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso a questa Corte, deducendo i seguenti motivi.

2.1 Mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riguardo all’eccezione -tempestivamente sollevata dall’indagato nella richiesta di riesame- di nullità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare per assenza di sottoscrizione dell’ausiliario del giudice, in violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2 bis.

Il ricorrente denuncia che l’ordinanza del Tribunale, pur avendo affrontato, alle pagine 5 – 7, alcune questioni preliminari (nullità del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari discendente dalla mancata indicazione delle ragioni che giustificavano la misura cautelare di massimo rigore, ed eccezione di incompetenza territoriale dell’AG di Rimini in favore di quella di Crotone), avrebbe completamente omesso l’esame della predetta eccezione di nullità. 2.2 Inosservanza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), della norma processuale di cui al predetto art. 292, comma 2 – bis, codice di rito, stabilita a pena di nullità relativa, come affermato da autorevole giurisprudenza del giudice di legittimità (citata sentenza di questa sezione in data 25 giugno – 13 luglio 1990 n. 1999), con la conseguenza che, trattandosi di nullità tempestivamente dedotta nella richiesta di riesame, ove non ne fosse stato obliterato l’esame, il suo accoglimento avrebbe implicato la necessaria caducazione dell’ordinanza del GIP. 2.3 Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi del predetto art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), anche con riguardo alla dedotta inosservanza del termine previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 9, risultando solo il dispositivo dell’ordinanza del Tribunale tempestivamente pubblicato in data 8 maggio 2010, mentre la sua motivazione è stata depositata il 27 maggio successivo, e, quindi, oltre il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti da parte del medesimo Tribunale del riesame, non essendo consentito il frazionamento della pubblicazione del dispositivo, prima, e della motivazione, poi, con riguardo ai provvedimenti adottati in camera di consiglio a norma dell’art. 127 c.p.p., e art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), considerato che la motivazione differita è prevista dal legislatore solo per gli atti aventi il valore di sentenza.

2.4 Mancanza o insufficienza della motivazione con riguardo ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza a carico del N.N., indicato come organizzatore dell’associazione criminosa, sulla base di elementi (le dichiarazioni del Mo. e il contenuto delle comunicazioni telefoniche intercettate) da cui non sarebbe possibile, secondo il ricorrente, desumere la sua consapevole partecipazione al sistema di illecita immigrazione di connazionali nel territorio dello Stato con proprio tornaconto: dalle telefonate captate emergerebbe soltanto che il N.N. aveva fornito al Mo.Ud. una lista di persone interessate ad avere il nulla osta per l’avviamento al lavoro in Italia, e che il Mo. gli richiedeva soldi da consegnare ad altre persone, mentre del tutto marginali si sarebbero rivelati i pochi colloqui dell’indagato con U.H..

Il ricorrente chiede, pertanto, l’annullamento ovvero la dichiarazione di inefficacia del provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere a suo carico.
Motivi della decisione

3. Il primo motivo di ricorso è infondato e il secondo è inammissibile.

Entrambi attengono alla denunciata violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2 – bis, per mancata sottoscrizione, da parte dell’ausiliario del giudice, dell’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere, sotto il duplice profilo dell’assenza di motivazione ( art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), da parte del Tribunale, sulla fondatezza della relativa eccezione, già sollevata in sede di riesame, e della non rilevata inosservanza di norma processuale stabilita, secondo il ricorrente, a pena di nullità ( art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonostante la tempestiva deduzione di essa.

Partendo da quest’ultima censura, va ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’ordinanza che dispone la misura cautelare è provvedimento giurisdizionale, che pertanto si completa e viene a giuridica esistenza con la sottoscrizione del giudice, con la conseguenza che la mancanza della sottoscrizione dell’ausiliario o del timbro dell’ufficio, non solo non impedisce l’esistenza giuridica del provvedimento, ma non ne determina neppure la nullità, la quale non è sancita dalla disposizione di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2 – bis, (Sez. 6^, n. 28751 del 26/03/2008, dep. 10/07/2008, Tortora, Rv. 240744; Sez. 6^, n. 3305 del 17/11/2000, dep. 24/01/2001, Romano, Rv. 217974).

Manifestamente infondata, dunque, era ed appariva, "prima facie", la suddetta eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare genetica, di cui ai motivi del proposto riesame, sicchè essa è stata implicitamente disattesa dal Tribunale distrettuale nel provvedimento qui impugnato.

Va richiamato, al riguardo, l’orientamento già espresso da questa Corte di cassazione, secondo il quale, nel caso in cui sia stata eccepita, nel giudizio di merito, una pretesa violazione di norme processuali, non può invocarsi in sede di legittimità il difetto di motivazione, se, stante l’infondatezza dell’eccezione, il giudice a quo non si sia soffermato sulla stessa nel discorso argomentativo a supporto della decisione adottata, essendo rilevante l’esattezza della soluzione raggiunta più che la completezza della motivazione sulla questione di diritto sostanziale o processuale che sia stata prospettata (Sez. 2^, n. 30686 del 02/07/2009 dep. 23/07/2009, Civitelli, Rv. 244731; Sez. 3^, n. 10504 del 30/06/1999, dep. 03/09/1999, Cola, Rv. 214442; Sez. 5^, n. 10646 del 24 ottobre 1991).

Ne discende l’infondatezza del vizio di motivazione denunciato e l’inammissibilità, siccome manifestamente infondata, della riproposta eccezione di nullità per inosservanza della norma processuale di cui al ripetuto art. 292, comma 2 bis.

4. Parimenti infondato è il terzo motivo di gravame, col quale il ricorrente denuncia la sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza cautelare genetica, a norma dell’art. 309 c.p.p., comma 10, per inosservanza, da parte del Tribunale del riesame, del termine decisionale prescritto dallo stesso art. 309, comma 9, essendo stato depositato entro i dieci giorni dalla ricezione degli atti, l’8 maggio 2010, il solo dispositivo del provvedimento del Tribunale investito del riesame, e non anche la motivazione pubblicata il 27 maggio successivo.

La giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite, ha interpretato l’art. 309 c.p.p., comma 10, cit., nel senso che è sufficiente ad evitare l’effetto caducatorio, ivi previsto, il tempestivo deposito del solo dispositivo dell’ordinanza di riesame entro il decimo giorno dalla ricezione degli atti, mentre il provvedimento, completo di tutti i suoi elementi, e quindi anche della motivazione, deve essere depositato entro cinque giorni dalla deliberazione, secondo la norma generale di cui all’art. 128 c.p.p., precisando che l’inosservanza di quest’ultimo termine è sfornita di sanzione processuale (Sez. U., n. 11 del 25/03/1998 dep. 2/06/1998, Manno, Rv. 210607).

La medesima sentenza ha anche ritenuto manifestamente infondata, in relazione all’art. 3 Cost., art. 13 Cost., comma 2, e art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309 c.p.p., comma 10, come sopra interpretato, e ciò perchè: 1) quanto al principio di eguaglianza, la norma citata non è caratterizzata da incertezza alcuna circa il termine di deposito dell’ordinanza (la cui eventuale elusione rappresenta una patologia giudiziaria sanzionabile civilmente, disciplinarmente e, all’occorrenza, anche penalmente), sicchè non è ravvisabile in essa alcuna ingiustificata disparità di trattamento; 2) quanto al diritto alla libertà personale, non è ravvisabile alcuna violazione di esso, in quanto il legislatore, con una scelta discrezionale incensurabile, ha optato, nel procedimento di riesame, per una garanzia sostanziale del diritto di libertà, da ritenersi realizzata mediante il controllo giurisdizionale nel contraddittorio delle parti, da eseguire in un termine caducatorio correlato alla decisione del tribunale conclusiva del procedimento con carattere di assoluta certezza, così com’è certo anche il termine legale del deposito del provvedimento; 3) quanto al diritto di difesa, non solo non risulta dalla norma in esame incertezza alcuna sul termine di deposito, fissato in cinque giorni, ma risulta anche ragionevolmente garantito il tempestivo esercizio del diritto di impugnazione dell’ordinanza del tribunale del riesame, con il predetto "dies ad quem"; la prescritta notificazione dell’avviso di deposito ai sensi dell’art. 128 c.p.p., comma 1, ultimo periodo; e la decorrenza dei termini per l’impugnazione dalla notificazione del medesimo avviso a norma dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), e comma 2, lett. a).

5. Oltremodo generico e, come tale, inammissibile è, infine, il quarto motivo di ricorso, col quale il N.N. si limita a denunciare la lacunosità della motivazione dell’impugnata ordinanza con riguardo ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza a suo carico, e a dolersi dell’omessa valutazione degli specifici elementi offerti dalla sua difesa, solo vagamente richiamati con riguardo al "dato professionale e reddituale" suo proprio, offrendo, quindi, dopo il testuale richiamo della puntuale motivazione dell’ordinanza impugnata relativa alla sua posizione, una lettura apoditticamente neutra degli emersi contatti tra la propria persona e quella del predetto, Mo.

U., pur ammettendo che quest’ultimo gli chiedeva soldi da consegnare ad altre persone per ottenere i nulla osta all’avviamento al lavoro, in Italia, a favore di alcuni connazionali, senza neppure sottoporre a specifica critica i motivi addotti nell’ordinanza impugnata per sostenere il suo consapevole e volontario coinvolgimento nell’illecita attività organizzata.

6. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, con l’ordine di trasmissione di copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, in cui è ristretto il N.N., a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, a sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *