Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-02-2011, n. 4830 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I sopraindicati eredi di S.U., A., M., R., G., Gi. (e C.E.), ro. (e S.E.) adirono il Tribunale di Roma per ottenere la condanna del Comune di Roma, che aveva occupato d’urgenza ed irreversibilmente trasformato aree di loro proprietà, site in via di (OMISSIS), per la realizzazione del PEEP ex Lege n. 167 del 1962, al pagamento del risarcimento del danno da acquisizione e della indennità dovuta per occupazione legittima. Il Tribunale, costituitosi il Comune, con sentenza 1062/92 condannò il Comune a versare agli attori la somma di L. 1.482.000.000 per ristoro della occupazione appropriativa di mq. 18.595 occupati in parte nel 1981 ed in parte nel 1985 e per indennità di occupazione. La Corte di Appello di Roma, adita dal Comune e dagli espropriasti, liquidò ai predetti la maggior somma di L. 1.988.231.000. Adita dal Comune con ricorso articolato su tre motivi, la Corte di Cassazione con sentenza n. 3664 del 1997 annullava la pronunzia per effetto dello jus superveniens ( L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65) provvedendo sul primo motivo (e rigettando il secondo ed assorbendo il terzo) e disponeva rinvio alla stessa Corte.

La Corte di rinvio con sentenza del 25.3.2004, preso atto della irrevocabile individuazione al 14.1.1989 delle prime due occupazioni, al 10.5.1989 della terza ed al 26.3.1993 della quarta (termine dei rispettivi periodi di occupazione legittima) e della erronea individuazione della data di stima, da parte del CTU, ad anteriori epoche di completamento delle opere, ha fatto capo alle pregresse stime ed ha fatto piena applicazione ai relativi valori del disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, aggiunto dall’art. 3, comma 65 citato, pervenendo quindi alla somma dovuta agli attori pari ad Euro 565.300,15.

Esaminando quindi la doglianza assorbita dalla S.C. relativa agli interessi sulle somme liquidate dal dì degli illeciti, condividendo la decisione del Tribunale per la quale il corso degli interessi sarebbe iniziato solo con la liquidazione del capitale rivalutato, la Corte, richiamando Cass. n. 1712 del 1995, ha negato ogni ulteriore rivalutazione dal 1995 ed ha statuito la debenza degli interessi legali sul liquidato solo da tal data. Ha anche negato la Corte la possibilità di pronunziare la acquisizione al Comune dei fondi trasformati, data la assenza di domanda.

Per la cassazione di tale sentenza gli eredi S. hanno proposto ricorso il 29.4.2005 articolando tre motivi ai quali ha opposto difese il Comune con controricorso del 6.6.2005 articolando in ricorso incidentale tre motivi, resistiti dagli eredi con controricorso del 12.7.2005.1 ricorrenti principali hanno depositato memorie ed entrambi i difensori hanno discusso oralmente.
Motivi della decisione

Riuniti i ricorsi si esaminano separatamente le due impugnazioni.

Il ricorso degli eredi.

Con il primo e secondo motivo si censura per violazione di legge la fissazione alla data della sentenza del 1995 della decorrenza degli interessi legali nonchè la mancata rivalutazione del bene alla data della pronunzia di primo grado, nel mentre si doveva fissare il valore con rivalutazione alla data della liquidazione in sede di rinvio e computare gli interessi sul capitale annualmente rivalutato dall’illecito a detta liquidazione. I motivi sono fondati alla stregua del costante indirizzo di questa Corte (Cass. n. 3189 del 2008 e n. 9410 del 2006, da ultimo Cass. n. 23 del 2011) per il quale, una volta fissato l’ammontare del risarcimento dovuto, nella specie stimato (come appresso indicato nella disamina del terzo motivo) al luglio 1995, sarà compito del giudice del merito, contrariamente a quanto indebitamente fatto nella sentenza impugnata (che ha negato alcuna rivalutazione monetaria dopo la prima sentenza sulla stima e negato il dovuto credito per interessi):

1. rivalutare sulla base degli indici ISTAT l’importo del risarcimento, fissato in valuta del 1995, alla data della decisione in sede di rinvio dopo la pronunzia di questa Corte;

2. attribuire gli interessi sul capitale sub 1) secondo le tecniche ritenute opportune dal giudice del rinvio e quindi o al saggio legale sul capitale annualmente rivalutato secondo indici ISTAT, con decorrenza dal termine delle singole annualità di capitale rivalutato, a partire dal 1995 e sino alla data della decisione, ovvero adottando interessi difformi di saggio medio rispetto all’intero periodo (il tutto secondo le opzioni offerte dalla giurisprudenza più recente di questa Corte, da S.U. n. 8520 del 2007 a Cass. 3931 del 2010).

Con il terzo motivo si lamenta la falsa applicazione dell’art. 5 bis del D.L. n. 339 come modificato, trattandosi di norma sospetta di incostituzionalità.

La censura appare fondata ed il motivo deve essere accolto, avendo la censura stessa non solo di mira il risultato della decisione della Corte di Appello, che ha applicato il diritto all’epoca vigente (in tal caso lo jus superveniens avrebbe solo autorizzato a provvedere sul ricorso per dare ingresso alla nuova disciplina), ma espressamente, quanto esattamente, eccepito la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, che dopo la pubblicazione della sentenza in disamina sarebbe stata poi accolta dalla Corte Costituzionale (sent. 349/2007).

E pertanto, venuto meno, come afferma il ricorso, per effetto della richiamata pronunzia, il criterio di cui all’introdotto nella L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, torna nuovamente applicabile al caso di specie il criterio del valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39, posto che, secondo l’indirizzo di questa Corte, la sopravvenuta L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, si applica ai procedimenti espropriativi e non ai processi in corso (Cass. n. 14939 del 2010). Ditalchè, accolto il ricorso e cassata in parte qua la sentenza, è a tal parametro, con riguardo al valore del luglio 1995, che il giudice del rinvio dovrà far capo, e pertanto alla somma complessiva equivalente in Euro dei quattro valori in lire indicati alla pagina 6 della sentenza in relazione alle quattro aree sottoposte ad occupazioni (nelle tre diverse date indicate a pag. 5).

L’ammontare resta infatti fissato dalla stima individuata nella sentenza della Corte di Roma del 25.3.2004 non avendo gli espropriati nè lo stesso Comune contestato in ricorso i criteri adottati per stimare il valore venale nè il risultato in numerario.

Il ricorso del Comune di Roma.

Con il primo motivo lamenta che la Corte non abbia pronunziato sulla istanza di restituzione della differenza tra il versato per sentenza del 1995 e il dovuto: il motivo è ammissibile, dato che la richiesta del Comune di restituzione contiene la corretta istanza di decontare dal dovuto le somme medio tempore dal Comune corrisposte in esecuzione della sentenza del 1995, ma resta assorbito, in relazione all’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e con riflessi evidenti nel calcolo degli accessori indicati nei primi due motivi. Non disponendo il Collegio di dati sugli importi corrisposti dal Comune e sulla loro data, resta preclusa alcuna possibilità di adottare pronunzia ex art. 384 c.p.c.: sarà quindi compito del giudice del rinvio nel calcolo degli ac-cessori (rivalutazione e interessi ut saprà) tenere conto del pagamento medio tempore avvenuto ai fini di calcolare gli accessori prima del pagamento maturati e sempre che non siano stati corrisposti, e, per il tempo successivo, sul solo saldo del capitale e solo dalla data di sua formazione.

Con il secondo motivo il Comune lamenta la mancata dichiarazione, chiesta in appello, nella conclusionale, di acquisizione della proprietà: il rigetto della censura appare indiscutibile, avendo la stessa precisazione del Comune, di a-verla proposta solo nella conclusionale d’appello, attestato che essa era evidentemente tardiva, con la conseguenza di far ritenere affatto irrilevante il silenzio che l’impugnata sentenza ha a tal domanda riservato.

Con il terzo motivo si muove doglianza per l’indebito regolamento del regime delle spese: il motivo resta assorbito nella generale regolamentazione delle spese spettante al giudice del rinvio all’esito di questa pronunzia rescindente.
P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbe il primo e terzo motivo del ricorso incidentale de quale rigetta il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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