Cassazione civile, sez. I, sentenza 28.05.2009 n. 12670 Cognome, filiazione, diritto al nome (2009-06-11)

La Sezione I

Svolgimento del processo

Con decreto del 23.05.2006, il Tribunale per i minorenni di Firenze disponeva, ai sensi dell’art. 262, comma secondo, c.c., che la minore G., nata il omissis, figlia di A. A. e di A. P., i quali l’avevano riconosciuta in tempi diversi, ossia la madre il omissis ed il padre il omissis, assumesse il cognome paterno, sostituendolo a quello materno.

Con decreto del 28.02-13.03.2007, la Corte di appello di Firenze, sezione per i minorenni, accoglieva il reclamo dell’A. e, in riforma dell’impugnato provvedimento, disponeva l’assunzione da parte della minore anche del cognome materno da anteporre a quello paterno, così da chiamarsi G. A. P.. La Corte distrettuale osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il Tribunale, preso anche atto delle dichiarazioni dei genitori, aveva “tenuto conto della più che tenera età della bambina nonché del rapporto della stessa con il padre”

– che la reclamante aveva chiesto che la figlia assumesse pure il suo cognome anteponendolo a quello paterno, ribadendo anche che il P. non aveva condiviso il suo fermo desiderio di portare a termine la gravidanza, era scomparso per alcuni mesi (tre o quattro) e che la bambina era sempre vissuta con lei nella casa dei nonni materni, portando il cognome A., con cui era stata identificata e conosciuta nell’ambente di vita

– che il P. aveva chiesto la conferma del provvedimento reclamato, sottolineando anche che con l’A. vi era stato un breve legame sentimentale tra l’aprile ed il maggio del omissis, interrotto dopo alcune settimane; che in effetti, dopo avere appreso della gravidanza e della decisione di portarla a termine, autonomamente assunta dalla medesima A., aveva avuto un atteggiamento di sincero sbandamento e difficoltà, superato dopo circa due mesi, quando aveva deciso di assumersi le sue responsabilità; che da allora in poi era rimasto sempre e costantemente vicino alla madre ed alla bambina, al mantenimento della quale contribuiva; che, ai fini dell’attribuzione del cognome materno, la più che tenera età della figlia rendeva non pertinenti i riferimenti all’ambiente di vita; che conduceva una vita seria e dignitosa e che era cosa consueta che i figli portassero il cognome paterno

– che in occasione del riconoscimento della figlia da parte del padre, entrambe le parti avevano espresso “di comune accordo” la preferenza per l’attribuzione alla loro figlia del cognome paterno in aggiunta a quello materno

– che dagli atti del procedimento svoltosi innanzi al Tribunale per i minorenni e dalle dichiarazioni ivi rese dalle medesime partii emergeva, oltre al fatto che l’A. ed il P. intrattenevano rapporti civili e che quest’ultimo svolgeva adeguatamente il suo ruolo di padre, che non intendevano contrarre matrimonio o, comunque, instaurare tra loro una convivenza stabile e duratura

– che, dunque, fosse allo stato perfettamente legittimo e doveroso presumere che la bambina, pur con l’insostituibile supporto affettivo del padre, determinato a non sottrarsi ai propri doveri, anche di carattere economico, avrebbe trascorso le fasi della formazione e della crescita, quanto meno con più che larga prevalenza, presso la madre e la famiglia materna

– che, quindi, fosse da ritenere con evidenza corrispondente all’interesse della minore assumere il cognome materno e, in aggiunta a questo, quello del padre, ciò consentendo in concreto di meglio stabilirne e tutelarne l’identità personale in relazione all’ambiente familiare e sociale di vita

– che, pertanto, il reclamo doveva essere accolto, sull’ulteriore rilievo che la consuetudine di privilegiare l’assunzione esclusivamente del cognome paterno doveva cedere al regolamento normativo di cui all’art. 262 c.c..

Questo decreto è stato impugnato dal P. sulla base di un unico motivo, con ricorso notificato il 28.04.2008 sia agli eredi dell’A., deceduta il omissis, e sia al curatore speciale della minore Avv.to M. G. F., che è stato nominato ad iniziativa del ricorrente e che ha resistito con controricorso notificato a mezzo posta il 30.05-3.06.2008, conclusivamente chiedendo la conservazione del doppio cognome nel senso disposto dai giudici d’appello e, comunque, prestando il proprio assenso a tale soluzione.

Motivi della decisione

Con il ricorso il P. denunzia “Violazione dell’art. 262 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) nonché omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.)” e conclusivamente formula il quesito di diritto ed indica fatti e ragioni delle sue doglianze, in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c..

Il ricorrente sostiene in sintesi:

– che i giudici di merito non hanno correttamente inteso il senso precettivo della rubricata disposizione normativa ed obliterato la relativa interpretazione che evidenzia il favor per il patronimico

– che si è erroneamente valorizzato sia il fatto che in occasione del riconoscimento paterno entrambe le parti avevano espresso “di comune accordo” la preferenza per l’attribuzione del cognome del padre in aggiunta a quello materno e sia che le stesse non intendevano contrarre matrimonio o, comunque, instaurare una convivenza familiare stabile e duratura, dovendosi escludere che sia la prima che la seconda circostanza potessero assurgere ad indici rivelatori dell’interesse della minore, il quale deve costituire criterio esclusivo di giudizio

– che la decisione giudiziaria deve totalmente prescindere dalla scelta dei genitori del minore

– che occorre tendenzialmente assicurare l’equiparazione di trattamento tra figli legittimi e naturali, contemperandola con la tutela del cognome quale elemento identificativo della persona, in ossequio a regole di rilievo costituzionale

– che ai fini di un’eventuale decisione di segno contrario all’assunzione del solo cognome paterno, il giudice deve sostanzialmente riferirsi a due aspetti, ossia all’eventuale acquisizione da parte del minore di una precisa identità per il tramite del cognome materno o al pregiudizio eventualmente conseguente all’assunzione del cognome del padre, legato alla personalità di questo

– che le regole impedienti l’attribuzione del patronimico devono a maggior valore presiedere all’attribuzione del doppio cognome, che pone il figlio nei rapporti familiari e sociali in posizione differenziata e deteriore

– che sussiste un indubbio favor per l’attribuzione del cognome paterno, idonea a rendere indistinguibile la situazione del figlio naturale rispetto a quella del figlio legittimo, ragione per cui il giudice può optare per il doppio cognome solo se in concreto ciò corrisponda all’interesse del minore, avuto riguardo al diritto all’identità personale dello stesso

– che contraria ai criteri valutativi dell’interesse del minore è anche l’opinione secondo cui il cognome del figlio deve rispecchiare il prevalente suo collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, che poco ha a vedere con la sua identità personale e che, comunque, costituisce situazione suscettibile di modificazione.

Il ricorso non ha pregio.

I commi secondo e terzo dell’art. 262 cod. civ. prevedono che nell’ipotesi di riconoscimento paterno della filiazione successivo a quello materno, il figlio possa assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, e demanda al giudice, nel caso di minore età del figlio, la relativa decisione.

Nel caso, previsto dall’art. 262, comma terzo, cod. civ., di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, il giudice è investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle soluzioni in detta disposizione previste, avendo riguardo all’unico criterio di riferimento dell’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità nell’attribuzione del cognome, pure in ordine all’assunzione del patronimico (Cass. 200802751; 200716989; 200612641).

Poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione esclusiva del suo interesse, che è essenzialmente quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, e poiché l’art. 262 c.c. disciplina autonomamente e compiutamente la materia, la scelta del giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico né dall’esigenza di equiparare almeno tendenzialmente il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dal citato articolo, che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo o legittimato (art. 33 del D.P.R. n. 396 del 2000), delle quali, peraltro, sono stati già evidenziati profili di non aderenza al dettato costituzionale ed alle norme sovranazionali (cfr., da ultimo Corte Cost. 200600061; Cass., ord., 200823934), prima che d’inattualità rispetto al comune sentire.

L’art. 262, comma terzo, cod. civ. affida, dunque, al giudice una valutazione ampiamente discrezionale, da condurre non secondo schemi predeterminati e casistiche limitanti ma con riguardo a qualsiasi aspetto che possa influire sull’apprezzamento dell’interesse del minore, in rapporto alle due previste e diverse ipotesi dell’accertamento giudiziale e del riconoscimento della filiazione, valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità se sorretta da congrua e logica motivazione, motivazione che nella specie è rivisitabile in questa sede, ratione temporis (art. 360, comma quarto, c.p.c., art. 27, comma 2, D.Lgs. n. 40 del 2006. Sul punto, cfr. Cass. 200715953).

Alla luce degli esposti rilievi la conclusione dei giudici di merito, secondo cui l’interesse della minore appariva garantito dall’assunzione del cognome paterno in aggiunta a quello originario materno, appare aderente al dettato normativo ed irreprensibile anche per il profilo motivazionale.

Ai fini del mantenimento del cognome materno, assunto per primo, è stato giustamente valorizzato anche il profilo esistenziale della minore e segnatamente il suo duplice contesto di vita, onde pure assicurare l’aderenza del segno di identificazione ai tratti della sua personalità sociale in formazione, e, quindi, a giusto presidio del diritto della bambina ad assumere il cognome che più plausibilmente la faccia apparire come sé medesima. Né su tale valutazione di merito può influire in questa sede la sopravvenienza costituita dalla morte di A. A., dal momento che lo stesso ricorrente conferma che sino all’attualità tale evento non ha modificato il pregresso contesto di vita della figlia.

D’altro canto, mero valore rafforzativo appare avere assunto il rilievo sia della corrispondenza della decisione con l’iniziale condiviso desiderio dei genitori e sia della mancanza d’intenti coniugali fra l’A. ed il P..

Conclusivamente a fronte del quesito di diritto formulato dal ricorrente e del seguente tenore : “Se il giudice chiamato a decidere circa l’assunzione del cognome paterno da parte del figlio naturale minore, riconosciuto dalla madre e successivamente dal padre naturale, possa disattendere l’istanza di attribuzione del cognome paterno e l’assunzione del doppio cognome, con anteposizione di quello materno rispetto a quello paterno, malgrado ciò importi un trattamento differenzialo rispetto al figlio legittimo, quand’anche non sussistano comprovati motivi che ostino all’assunzione del solo cognome paterno, quali la maturazione di una precisa ed infungibile identità individuale e sociale da parte del minore per essere cresciuto nella cerchia sociale con il cognome materno o il grave comportamento del padre, idonei ad arrecargli pregiudizio” vanno affermati i seguenti principi di diritto:

a) «Nel caso di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, il giudice è investito dall’art. 262, comma terzo, cod. civ. del potere-dovere di prendere in esame ognuna delle soluzioni in detta disposizione previste, avendo riguardo all’unico criterio di riferimento dell’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità nell’attribuzione del cognome, pure in ordine all’assunzione del patronimico.»

b) «L’art. 262, comma terzo, cod. civ. affida al giudice una valutazione ampiamente discrezionale, da condurre non secondo schemi predeterminati e casistiche limitanti, ma con riguardo a qualsiasi aspetto che possa influire sull’apprezzamento dell’interesse del minore, in rapporto alle due previste e diverse ipotesi dell’accertamento giudiziale e del riconoscimento della filiazione, valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità se sorretta da congrua e logica motivazione»

c) « In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione esclusiva del suo interesse, che è essenzialmente quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, e poiché l’art. 262 cod. civ. disciplina autonomamente e compiutamente la materia, la scelta del giudice non può essere condizionala né dal favor per il patronimico né dall’esigenza di equiparare, almeno tendenzialmente, il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dal citato articolo, che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo».

Pertanto il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del P., soccombente, al pagamento, in favore del controricorrente curatore speciale della minore, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il P. al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 2,700,00, di cui euro 2.500,00 per onorario, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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