Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-11-2010) 28-01-2011, n. 3069 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ra Massimiliano.
Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello per i minorenni di Milano, per quanto qui interessa, confermò la sentenza 23.10.2006 del Gup del tribunale per i minorenni di Milano, che aveva dichiarato O.S. colpevole, in concorso con altri giovani, di diversi reati di violenza sessuale per avere in più occasioni costretto con minaccia la minorenne Z.Y. ad avere con essi rapporti sessuali e lo aveva condannato alla pena di anni 2 e giorni 40 di reclusione.

L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione degli artt. 609 bis, 609 octies e 609 quater c.p.;

riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 609 quater c.p. e assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 609 quater comma 3. 2) nullità per violazione degli artt. 194, 533 e 544 c.p.p.;

omessa valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa in relazione alla disamina del motivo di appello n. 1.

Osserva che deve escludersi ogni minaccia da lui posta in essere nei confronti della ragazza, la quale era consenziente ad avere i rapporti sessuali.

Ne consegue che, data l’età dei due giovani, l’imputato è non punibile.

Lamenta che la corte d’appello non ha valutato criticamente l’attendibilità delle dichiarazioni della ragazza e non ha dato il giusto valore probatorio allo sms inviato dalla ragazza all’ O. il 22.12.2002.

In realtà le minacce vanno ricondotte agli altri imputati, mentre non vi è prova che l’ O. abbia posto in essere minacce o che abbia utilizzato le minacce degli altri minori.

3) violazione degli artt. 85, 98 e 5 c.p. e D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 9; mancato accertamento della capacità di intendere e di volere, dell’imputabilità e del grado di responsabilità del minore, in subordine assenza dello elemento psicologico del reato alla luce dell’art. 5 c.p..

4) violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 1;

omessa valutazione dei motivi di appello n. 2 e 3, in ordine al difetto e mancato accertamento della capacità di intendere e di volere, della imputabilità e del grado di responsabilità del minore.

5) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato accertamento della capacità di intendere e di volere, della imputabilità e del grado di responsabilità del minore di cui al motivo di appello n. 2.

Lamenta tra l’altro, in particolare, che il giudice non ha tenuto conto del fatto che l’ O. era il più giovane del gruppo e che si trattava di un delitto di natura impulsiva, nè ha valutato la concreta personalità e maturità del minore.

6) violazione del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, artt. 28 e 29, in ordine all’esito positivo della messa alla prova.

7) violazione di legge nelle ordinanze del gip del 19.7.2005 e 23.10.2006;

violazione del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, artt. 28 e 29, in ordine all’esito positivo della messa alla prova.

8) manifesta illogicità della motivazione in ordine all’esito positivo della messa in prova nonchè delle relazioni conclusive dei servizi sociali.

Successivamente, in data 18 ottobre 2010, il difensore del ricorrente ha depositato motivi nuovi, con i quali sostanzialmente sviluppa le argomentazioni difensive in ordine alla sussistenza della capacità di intendere e di volere e della imputabilità.
Motivi della decisione

I primi due motivi si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque infondati perchè la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto provato che l’attuale ricorrente avesse posto in essere vere e proprie minacce nei confronti della ragazza e che quindi non si fosse trattato di rapporti consensuali con la ragazza minore degli anni 14, bensì di rapporti sessuali cui la ragazza era stata costretta con la minaccia e contro la sua volontà.

Ha invero osservato la corte d’appello che le minacce relative all’episodio di cui al capo d) e riguardanti le paventate fotografie da mostrare ai genitori erano state recate da tutti i partecipanti all’episodio, ivi compreso l’ O., come risultava dalle dichiarazioni della persona offesa che avevano anche trovato riscontri esterni.

Quanto all’episodio di cui al capo g), la corte ha rilevato che l’sms era stato all’episodio di cui al capo g), la corte ha rilevato che l’sms era stato utilizzato come mezzo di minaccia da tutti e tre i ragazzi concorrenti nell’episodio stesso ed in modo specifico proprio dall’ O. per ottenere prestazioni sessuali non solo con lui ma anche con gli altri amici, il che confermava che la ragazza non aveva agito per libera determinazione ma perchè costretta dalle minacce dei giovani, fra cui lo stesso O..

La corte ha inoltre ritenuto, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, che alcuni comportamenti della ragazza non facevano venir meno il fatto che i giovani avevano usato alcuni precedenti momenti per ricattare la giovane e costringerla ad ulteriori prestazioni sessuali, alle quali altrimenti non avrebbe acconsentito.

I motivi 2, 3 e 4 – relativi alla capacità di intendere e di volere, alla imputabilità ed all’elemento soggettivo – sono anch’essi infondati.

La corte d’appello, anche qui con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha rilevato che il giudizio sulla capacità di intendere e di volere e sulla imputabilità si fondava sulla stessa tipologia del reato, la cui antigiuridicità era immediatamente percepibile, nonchè sulla stessa modalità dei fatti, in quanto si era trattato di una serie di azioni poste in essere con una sapiente strategia, condivisa dai ragazzi, le cui condotte non avevano nulla a che vedere con azioni impulsive.

In particolare, la corte ha osservato che l’ O., nel mostrare sincero pentimento nel corso dell’interrogatorio di garanzia (come sostenuto dal suo difensore), aveva dato prova di profonda consapevolezza dell’accaduto, riconoscendo implicitamente la sua piena capacità di intendere e di volere in relazione ai fatti.

Del resto, lo stesso O. aveva mostrato consapevolezza dell’illiceità dei propri comportamenti riconoscendo che gli stessi, se compiuti singolarmente, erano normali, mentre erano illeciti quando compiuti in concorso con altri ragazzi.

Sono infine infondati (oltre che, in parte, generici) anche i motivi 6, 7 ed 8, relativi all’esito della messa in prova.

Ed infatti la corte d’appello, anche in questo caso con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha valutato come negativo tale esito, osservando che, se era vero che nei primi mesi l’ O. aveva mostrato una adesione formale al progetto mantenendo il lavoro e recandosi ai colloqui con lo psicologo, era anche vero che dalla primavera del 2004 non era stato in grado di mantenere nel tempo alcun impegno con continui cambiamenti di programma, nonostante la disponibilità del servizio e del giudice ad andare incontro alle sue difficoltà familiari, anche con una proroga di otto mesi della sospensione e con la rimodulazione del progetto alla luce delle richieste del minore.

La corte ha anche evidenziato che l’imputato aveva sostanzialmente lasciato l’attività lavorativa, non aveva frequentato percorsi formativi, non aveva accettato l’inserimento in comunità, non aveva svolto l’attività socialmente utile per lui individuata, aveva avuto colloqui con lo psicologo puramente formali, senza disponibilità a rielaborare il reato e a porsi empaticamente nei confronti della vittima, e ad un certo punto li aveva interrotti. Inoltre, l’imputato aveva avuto diversi sequestri amministrativi del ciclomotore per infrazioni al codice della strada ed era stato sorpreso in possesso di hashish.

La corte ha quindi motivatamente ritenuto che l’ O. non era riuscito a raggiungere nessuno dei traguardi minimi cui era finalizzata la messa in prova, fra cui studiare, lavorare, rielaborare l’accaduto, riscrivere criticamente i propri comportamenti, ossia accedere ad un percorso di responsabilizzazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese, trattandosi di imputato minorenne.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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