T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 26-01-2011, n. 745 Trasferimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti – appartenenti al Corpo della G.di F., all’Arma dei CC ed alla Polizia di Stato e assegnati, in esito al procedimento previsto dall’art.8 del d.lgs. n.271 del 1989, alle Sezioni di P.G. di varie Procure della Repubblica – hanno chiesto, col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, l’accertamento del loro diritto a percepire l’indennità di trasferimento già prevista dalla legge n.100 del 1987 (come modificata dalla legge n.86 del 2001). A loro avviso il consenso preventivo da essi prestato all’assegnazione ad un Ufficio di P.G. non fa perdere (come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa) al correlato trasferimento la sua connotazione autoritativa e, pertanto, il diritto alla corresponsione del trattamento economico invocato.

La tesi dei ricorrenti è contestata dalla Difesa erariale che, nella propria memoria, oltre a dare atto di una serie di precedenti giurisprudenziali, deponenti in senso contrario a quelli evocati da parte attrice, ha evidenziato che i dissensi esegetici preesistenti nell’ambito giurisprudenziale sono stati composti e definiti per effetto dell’art.3 c.74 della legge n.350 del 2003: norma di interpretazione autentica con cui il Legislatore ha chiarito che: " "l’articolo 8 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, si interpreta nel senso che la domanda prodotta dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza è da considerare, ai fini dell’applicazione della legge 10 marzo 1987, n. 100, come domanda di trasferimento di sede"".

Ciò nonostante i ricorrenti insistono, nella memoria difensiva depositata il 21.6.2010, sulla loro richiesta traendone argomento e supporto da una nutrita serie di pronunce del Giudice di appello e dei TT.aa.rr. che escludono la natura interpretativa di tale norma.

All’udienza del 02.12.2010 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
Motivi della decisione

I)- La questione condotta all’esame del Collegio si contraddistingue non per la sua originalità ma per il fatto che costituisce termine di riferimento di un orientamento giurisprudenziale che è, da anni, oscillante alternandosi in seno allo stesso (sia anteriormente al varo dell’art.3 c.74 della legge n.24.12.2003 nr. 350 che successivamente) due indirizzi del tutto antitetici deponenti:

– l’uno per il riconoscimento dell’indennità in questione (cfr, ex multis, ante L. n.350/2003, Cons.St.nr.6625 e 6289 del 2000; e, post L. n.350/2003, n.5347/05, n.1928/2006; n. 2928 del 2010; n.1192 del 19 marzo 2008; n. 6664 del 27 dicembre 2007; n. 6611 del 22 dicembre 2007; n.1008 del 2 marzo 2007; Tar BA n. 3353 del 30 dicembre 2009; Tar AQ, n. 1472 del 29 ottobre 2008);

– l’altro per la legittimità del diniego dello stesso emolumento (cfr., ex multis, ante L. n.350/03: Tar AQ nr.5 del 1996, Tar. R.C. nr.459 del 1999 e n.506 del 2002; Cons. St., I^, n.624 del 2000; sent. n.4083 del 2003; e, post L. n.350/03, Tar PZ, n.105 del 2004; Cons. St., n.1705 del 2006; n.3867 del 2008, nn. 6611 e 6612 del 2009).

Alla luce di tale manifesto dissenso giova, al fine della delibazione di cui il Collegio è investito, la ricostruzione del quadro normativo di interesse.

I.1) Le norme di attuazione, coordinamento e transitorie del C.p.p. di cui al d.lgs. n.271 del 1989 prevedono che:

– (art.5) le Sezioni di P.G. di cui all’art.56 del c.p.p. sono composte da ufficiali ed agenti della Polizia di Stato, dell’Arma dei CC e della G.d.F.e che (art.7), quando si deve provvedere alla copertura delle relative vacanze, l’elenco di queste è pubblicato senza ritardo, su richiesta del P.G. presso la Corte d’Appello, sul bollettino dell’amministrazione interessata;

– (art.8), che (comma 1): "gli interessati all’assegnazione alle sezioni di polizia giudiziaria presentano domanda all’amministrazione di appartenenza entro trenta giorni dalla pubblicazione delle vacanze indicando, se lo ritengono, tre sedi di preferenza"; e che, (comma 3): "Quando mancano le domande o queste sono in numero inferiore al triplo delle vacanze, ciascuna amministrazione indica al procuratore generale, individuato a norma del comma 2, coloro che possono essere presi in considerazione ai fini dell’assegnazione alle sezioni sino a raggiungere, tenendo conto anche delle eventuali domande, un numero triplo a quello delle vacanze"".

Tanto premesso, il contrasto generatosi nel panorama giurisprudenziale non ha investito il tratto differenziale dell’istituto del "trasferimento d’autorità" rispetto a quello disposto a domanda: tratto che è stato, senza accesi dissensi, rinvenuto nel rilievo che il primo viene disposto per il perseguimento di esigenze di natura pubblicistica, cioè per il soddisfacimento di necessità operative, organiche ed addestrative dei reparti e degli uffici (anche se, nella loro determinazione, possono, a volte, trovare specifica considerazione le aspirazioni del personale), mentre il trasferimento a domanda appare riservato a quelli che intendono far valere esigenze personali e, in quest’ultima ipotesi, l’interesse dell’Amministrazione si pone come limite di compatibilità all’accoglimento delle domande (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV: 30 gennaio 2001, n. 324; 15 dicembre 2000, n. 6624; 12 ottobre 2000, n. 5415; 12 dicembre 1997, n. 1435).

Le divergenze interpretative si sono, invece, appuntate sulla natura dello specifico trasferimento disposto a mente del comma 1 dell’art.8 sostenendosi, da un lato e con indirizzo prevalente, che il trasferimento di unità di personale presso le Sezioni di polizia giudiziaria ha natura d’autorità, in quanto è destinato a soddisfare prioritariamente l’interesse dell’amministrazione non rilevando in contrario la domanda avanzata dal militare dipendente, da intendersi quale mera manifestazione di disponibilità; mentre altre pronunce – rilevando la distinzione tra l’ipotesi di mobilità (sostanzialmente paraconcorsuale e che muove dalla necessaria presentazione di una domanda di assegnazione) prevista dal primo comma rispetto a quella disciplinata dal 3° comma della norma (che prescinde dalla richiesta dell’interessato e, per converso, presuppone la mancanza di questa) – hanno assegnato natura autoritaria solo al trasferimento previsto dal 3° comma (tranne la decisione del Cons. St. nr.1705 del 2006 che, in fattispecie in cui il trasferimento, pur disposto d’ufficio dall’amministrazione, era stato preceduto da una dichiarazione di gradimento dell’interessato, ha concluso nel senso di una manifestazione di acquiescenza allo stesso, con tutte le conseguenze derivanti sul versante di carattere economico).

Da quanto dianzi rassegnato – e tenuto conto che la Difesa erariale ha precisato nella propria seconda memoria difensiva che i trasferimenti degli odierni ricorrenti sono avvenuti ai sensi del comma 1 dell’art. 8 citato (dato questo non contestato) e senza necessariamente dover prendere posizione a favore dell’una o dell’altra delle due tesi sovra sintetizzate -si può trarre, e senza riserve, un primo punto fermo: la norma dell’art.8 si prestava (e si presta) alla duplicità di interpretazioni che il Giudice amministrativo ne ha, con i due indirizzi in precedenza delineati, tratto; altrimenti detto si era, (e si è), in presenza di due varianti esegetiche del testo originario entrambe compatibili col suo tenore letterale.

Tale (non considerazione, ma) obiettivo riscontro si rivela dirimente ai fini della disamina della tesi dei ricorrenti così come sviluppata nella memoria difensiva da ultimo depositata: memoria in cui essi prospettano la persistente attualità della loro pretesa economica atteso che la norma (sopra estesa) dell’art.3 comma 74 della legge n.350 del 2003 non può essere considerata retroattiva (e quindi applicarsi anche a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore). Sul punto i ricorrenti affermano che l’interpretazione seguita dal Legislatore è "non desumibile dalla previgente normativa" e, pertanto, la norma dell’art.3 comma 74, ove ad essa assegnata portata retroattiva, sarebbe contraria al principio di ragionevolezza e quindi incostituzionale. Tanto in sintonia con quanto affermato e ribadito dal Consiglio di Stato che, in uno dei due antitetici orientamenti (ulteriori e distinti da quelli precedentemente rassegnati) formatosi dopo il varo di tale novella del 2003, si è (con formula dialettica sostanzialmente coincidente in tutte le pronunce intervenute) così espresso: "Siffatta norma, tuttavia, pur autoqualificandosi come interpretativa, non può trovare applicazione per fatti precedenti alla sua entrata in vigore, pena l’incostituzionalità della stessa. Ciò in quanto, affinché una norma interpretativa, e quindi retroattiva, possa essere considerata costituzionalmente legittima, è necessario – diversamente a quanto accade nel caso di specie – che: la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente; non integri il precetto di quest’ultima; e, infine, non adotti un’opzione ermeneutica non desumibile dall’ordinaria esegesi della stessa. Fermo restando che l’efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell’affidamento dei consociati alla certezza dell’ordinamento giuridico, con la conseguente illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi".

Ora la tesi appena esposta – e lo si dice col dovuto rispetto che va prestato alle decisioni del Massimo consesso amministrativo – non convince.

Va, in primo luogo, rilevato che il Consiglio di Stato, in tutte le pronunce di cui trattasi, si è limitato all’enunciazione di tale principio (evocando al riguardo il proprio precedente dato dalla decisione n.3612/2002 sul quale appresso si tornerà), senza mai chiarire perché mai la norma dell’art.3 comma 74 confliggerebbe con lo stesso e debba applicarsi solo per la disciplina dei fatti successivi alla sua entrata in vigore. Del tutto singolare, in tale filone, è poi la decisione nr. 1192 del 2008 che arriva a dire che: "Siffatta norma, tuttavia, pur avendo natura interpretativa e quindi retroattiva, non può trovare applicazione per fatti precedenti alla sua entrata in vigore, pena l’incostituzionalità della stessa", senza però chiarire come sia possibile riconoscere ad una norma "natura interpretativa e quindi retroattiva" ed al contempo escludere la sua "applicazione per fatti precedenti alla sua entrata in vigore…" (e dunque escludere la sua natura retroattiva).

Ora secondo la giurisprudenza della Corte Cost.le, il carattere interpretativo di una norma comporta che essa si è saldata "a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di queste, dunque lasciandone intatto il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell’ambito semantico della legge interpretata" (tra le molte, sentt. nn. 397 del 1994 e 425 del 2000), in modo che il suo sopravvenire non ha fatto venire meno le norme interpretate, in quanto le disposizioni si sono congiunte, dando luogo ad un precetto unitario (sentt. nn. 397 del 1994, 94 e 311 del 1995). Peraltro, una norma, se e quando ha natura interpretativa, "si limita ad assegnare alle disposizioni interpretate un significato in esse già contenuto, riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso" e tale circostanza "influisce (…) sul positivo apprezzamento sia della sua ragionevolezza (sentt. nn. 291 del 2003, 409 del 2005, 135 del 2006, 234 del 2007), sia della non configurabilità di una lesione dell’affidamento dei destinatari (sentt. nn. 229 del 1999 e 26 del 2003). In altre parole, "sono interpretative "quelle norme obiettivamente dirette a chiarire il senso di norme preesistenti ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi fra quelli ragionevolmente ascrivibili alla norma interpretata"; i caratteri dell’interpretazione autentica, quindi, sono desumibili da un rapporto fra norme " tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario" " (cfr., ex plurimis, sentt. nn. 455 del 1992, 424 del 1993, 397 del 1994, 94 e 311 del 1995).

Ora, a ben vedere, l’art.3 c.74 citato non abroga l’art.8 comma 1 del d.lgs. n.271 del 1989 (unica disposizione che viene in considerazione nel caso di specie) regolando per il futuro ed in modo autonomo la stessa materia ma si integra con la norma interpretata nel senso che la disciplina da applicarsi ai singoli casi concreti deve essere desunta cumulativamente da quest’ultima e dalla norma interpretativa; altrimenti detto essa non introduce una disciplina innovativa del regime dettato con la predetta disposizione, limitandosi a definire l’ambito oggettivo di efficacia di quest’ultima, già controverso (come attestato dalla presente causa) e sottoposto, sulla questione ut supra precisata, ad attenta e puntuale esegesi. La stessa esistenza, sopra registrata, di un dibattito giurisprudenziale circa la natura (d’autorità ovvero a domanda) del trasferimento disposto in esito alla procedura del comma 1 dell’art.8 del d.lgs. n.271 del 1989 costituisce, invero, la migliore conferma della natura interpretativa della disposizione nonché la più efficace smentita della tesi della sua portata innovativa.

Da ultimo, poi, è solo il caso di aggiungere che la decisione del Cons.St. n.3612 del 2002 (richiamata, direttamente od indirettamente, nelle decisioni dello stesso Giudice che successivamente hanno escluso la portata retroattiva dell’art.3 c.74 citato) arriva a conclusioni identiche a quelle in precedenza sintetizzate (pervenendo ad affermare sulla base di analogo ragionamento che la norma esaminata in quella fattispecie aveva natura interpretativa ed efficacia retroattiva).

II)- Conclusivamente, e ritenuta priva di pregio, per le considerazioni già dianzi declinate, la questione di legittimità costituzionale della norma interpretativa di cui trattasi (sollevata in via subordinata), il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Ovviamente i contrasti giurisprudenziali cui si accennava giustificano la compensazione, fra le parti, delle spese di lite.
P.Q.M.

respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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