Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-11-2010) 31-01-2011, n. 3322

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Latina, sezione di Terracina, con sentenza del 15,06.2007, giudicava:

T.A. e A.T. perchè imputati:

a) – di concorso nel reato di truffa aggravata commesso in (OMISSIS);

il solo T.:

b) – del reato di estorsione commessa in (OMISSIS) e accertata con querela del 11.11.2005;

c) e d) – di altri due delitti di truffa, commessi in (OMISSIS);

al termine del giudizio il Tribunale condannava entrambi alla pena indicata in sentenza;

Gli imputati proponevano gravame e la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 14.01.2010, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riteneva che il fatto ascritto al capo B) come estorsione andava qualificato come truffa ai sensi dell’art. 640 c.p., comma 2, e, per l’effetto, rideterminava la pena irrogata al T. in quella di anni 6 di reclusione ed Euro 1.000 di multa; confermava nel resto;

Ricorrono per cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori deducendo:

A.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1) – La ricorrente censura la decisione impugnata per illogicità della motivazione, non avendo dimostrato la sua responsabilità riguardo alla sorte delle ingenti somme che le parti offese An.Fa. e L. avrebbero versato al T.;

– lamenta, anzi, l’assenza della prova che tali somme siano state effettivamente versate al T. ovvero all’ A., anche nella qualità di intermediaria del primo;

– la sentenza sarebbe illogica per non avere considerato la valenza probatoria della scrittura denominata "Dichiarazione Privata" consistente nel riconoscimento di debito da parte degli An. nei confronti del coimputato T. e che doveva esplicare i suoi effetti anche a favore della ricorrente A., atteso che dalla citata scrittura emergeva la prova che i pagamenti effettuati dai querelanti verso il T. non erano frutto del reato di truffa ma trovavano la loro giustificazione nel riconoscimento di debito predetto;

– la motivazione impugnata sarebbe dunque illogica per non avere compreso che l’intera vicenda andava inquadrata in un ambito meramente civilistico di dare ed avere tra le parti;

T.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e).

1) – il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere negato le attenuanti genetiche e per avere irrogato una sanzione sensibilmente più alta dei minimi edittali senza motivare, neppure "per relationem" sui criteri dettati dall’art. 133 c.p. in materia di determinazione del trattamento sanzionatorio;

– la sentenza non aveva considerato le problematiche familiari e di salute dell’imputato, certamente influenti ai fini della determinazione della pena e delle attenuanti generiche;

2) – la decisione sarebbe da censurare per avere negato il vizio parziale di mente in favore del T.;

– al riguardo la motivazione sarebbe illogica per non avere considerato le risultanze della consulenza di ufficio e di quelle di parte, dalle quali emergeva con chiarezza il vizio parziale di mente che affligge sin da bambino l’imputato e che lo conduce "ad una instabilità dell’immagine di sè, della propria identità, delle relazioni interpersonali, dell’umore e comportamenti antisociale;

– il ricorrente sarebbe inoltre già da mesi ricoverato in una casa di cura per soggetti gravati da profonde patologie psichiatriche;

3) – in ogni caso, la sentenza sarebbe da censurare per non avere applicato la prescrizione ai reati di truffa risalenti al (OMISSIS) prescrizione già decorsa all’atto della sentenza di 2^ grado;

– il ricorrente sottolinea che la data di commissione delle truffe in questione era indicata nel capo di imputazione al luglio 2002, senza menzione del giorno, sicchè la data andava individuata nel 01.07.2002 per effetto del principio del "favor rei";

ne derivava che la prescrizione era maturata alla data 01.01.2010 mentre la sentenza di 2^ grado era intervenuta successivamente, alla data del 14.01.2010, non essendovi agli atti interruzioni della prescrizione riconducibili all’imputato;

Chiedono pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi proposti dalla ricorrente A. sono totalmente infondati.

Invero la ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte territoriale ha indicato in maniera chiara il percorso logico motivazione con il quale è giunto ad affermare la penale responsabilità dell’imputata, osservando:

– che la prova della partecipazione dell’ A. alla manovra fraudolenta del T., si ricavava dalla circostanza che la predetta aveva presentato il T. ai due An. "con false generalità ( R.A.) millantandone la professione di avvocato" (pag. 14 motivaz. appello);

– che tale circostanza "unitamente al rapporto sentimentale che legava….. la A. con An.Fa., ha costituito un evidente fondamento del rapporto fiduciario artificiosamente creato dagli imputati con le parti lese".

– che il riscontro delle intenzioni fraudolente di entrambi gli imputati rinveniva dalla circostanza che gli assegni versati da An.Fa. alla fidanzata A.T. furono da quest’ultima giustificati come diretti all’Avv. Roberti "per la sistemazione delle pratiche necessarie per la riscossione di un capitale della cui esistenza gli imputati avevano convinto la vittima della truffa" (pag. 14).

Si tratta di una motivazione che appare congrua perchè aderente alle emergenze fattuali ed immune da illogicità evidente perchè conforme ai criteri di comune esperienza e, pertanto, risulta incensurabile in questa sede ove la Corte di cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006, n. 11395.

Il ricorrente censura la motivazione impugnata osservando che le contraddizioni delle parti offese inficiavano l’intera loro deposizione sicchè sarebbe contraddittoria la sentenza nella parte in cui aveva loro attribuito attendibilità senza considerare alcun dati di segno contrario, come: l’esistenza di una debitoria degli An. nei confronti del T., risultante da una scrittura privata.

Si tratta di una censura che si scontra con la motivazione della Corte territoriale che, al riguardo, ha evidenziato come tale circostanza non vale a scalfire l’impianto accusatorio che si regge sulle false generalità e sulla falsa qualifica di avvocato del T., accreditate dalla stessa A. che, in tal modo ha inteso partecipare alla condotta fraudolenta ai danni delle parti offese. (pag. 30).

Le valutazioni offerte in proposito dalla difesa sono meramente alternative e non ammissibili in questa sede ove, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Anche i motivi di censura sulla negata ricorrenza della seminfermità mentale, sollevati dalla difesa di T.A. risultano inammissibili, atteso che tale questione non era stata formulata in alcun modo nell’atto di appello;

invero dall’esame compiuto in questa sede è emerso che i motivi di appello, depositati in data 14.11.2007, censuravano la motivazione di l grado con sette capi, nessuno dei quali però riferito all’infermità mentale del T..

La sentenza di appello menziona ugualmente la questione della semi infermità di mente del T. in risposta, evidentemente, ad una richiesta formulata oralmente dalla Difesa in sede di discussione orale e non si sottrae alla motivazione, osservando che la documentazione allegata "appare oggi assolutamente non pertinente, stante l’epoca alla quale risalgono le condotte ascrittegli" (pag. 25 motivaz.) intendendo che la documentazione offerta non era pertinente nel presente giudizio, essendo riferita ad epoca assai diversa da quella delle condotte oggetto di contestazione.

Tale motivazione appare congrua ed immune da illogicità evidenti, nè può essere censurata per la sua sinteticità riguardo ad un motivo che non era stato tempestivamente proposto in sede di appello, nè tale motivo può essere validamente proposto per la prima volta in questa sede di legittimità. Cassazione penale, sez. 3, 01 luglio 2008, n. 35889.

Neppure poteva essere consentita la produzione di documenti relativi a tale questione nell’udienza di discussione dinanzi a questa Corte, ostandovi il termine previsto dall’art. 585 c.p.p., comma 4.

Totalmente infondato anche il motivo sul trattamento sanzionatorio atteso che la Corte di appello ha ridotto sensibilmente la pena irrogata dal primo giudice, sia per avere derubricato l’imputazione di estorsione in quella di truffa e sia "anche in considerazione delle ragioni sostenute dalla difesa al riguardo" (pag. 25 motivaz) e dunque con motivazione che, per quanto sintetica, ha preso in considerazione ed accolto parzialmente i motivi dedotti dall’appellante riguardo alla pena.

Ne deriva l’inammissibilità dei motivi di ricorso, per altro proposti in maniera generica, senza l’indicazione delle specifiche ragioni per le quali la Corte di appello avrebbe dovuto procedere ad un’ulteriore e maggiore riduzione della pena.

Il ricorrente eccepisce la prescrizione delle due truffe commesse nel (OMISSIS) alla data del 01.01.2010 e cioè prima della sentenza di appello (del 14.01.2010) ma non considera che tale termine deve essere prorogato sino al 04.03.2010 per effetto di due rinvii disposti – su istanza di parte – per complessivi mesi 2 e gg. 3, rispettivamente: – dal 190.5.07 al 15.6.07 e dal 01.3.07 al 29.3.07;

sicchè risulta evidente che, alla data della pronuncia di appello, nessun reato ascritto all’imputato era ancora colpito dalla prescrizione come, per altro, puntualmente già osservato dalla stessa Corte territoriale, (pag. 25 motivaz.).

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo vantazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione in pendenza del giudizio di legittimità. (Cassazione penale, sez. 2, 21 aprile 2006. n. 19578).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Segue la condanna del ricorrente alle spese processuali nonchè di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende; nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili An.Lu. e An.Fa., liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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