T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 26-01-2011, n. 241

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 7 ottobre 2010 e depositato il 22 ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il decreto n. 36643/2009, con cui è stata rigettata l’istanza di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, emesso in data 10 agosto 2010 e notificato il 16 settembre 2010 dalla Questura della Provincia di Milano, con contestuale invito a lasciare il Territorio italiano entro 15 giorni dalla notifica, e la nota 18 novembre 2009 (Rif. 109510/ID/622907/A12/2009) a firma del Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Milano.

Avverso i predetti provvedimenti vengono dedotte le censure di violazione dell’art. 9 del D. Lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 6 e 12 della Direttiva 2003/109/CE, dell’art. 117, primo comma, Cost., di eccesso di potere per difetto o erronea valutazione dei presupposti, per carenza o inadeguatezza di istruttoria, per contraddittorietà, traviamento e illogicità manifesta e violazione di circolare.

L’Amministrazione avrebbe, illegittimamente, disposto attraverso un unico provvedimento il diniego di rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e il diniego di rilascio dell’ordinario permesso di soggiorno. Del resto, i presupposti per rilasciare la carta di soggiorno CE sarebbero differenti rispetto a quelli richiesti per ottenere un permesso di soggiorno di durata più breve: le condanne penali non sarebbero automaticamente ostative e dovrebbero essere considerati i legami familiari e l’inserimento sociolavorativo del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale. Anche la pericolosità sociale del soggetto dovrebbe essere riferita a periodi recenti e dovrebbe essere comparata con la durata della permanenza, anche alla luce della gravità dei comportamenti delittuosi eventualmente posti in essere. La Questura non avrebbe compiuto le valutazioni richieste dalla normativa in materia e avrebbe apoditticamente affermato la pericolosità sociale del ricorrente.

Ulteriori doglianze censurano i provvedimenti per violazione degli artt. 4 e 9 del D. Lgs. n. 286 del 1998, degli artt. 3 e 10 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 6 e 12 della Direttiva 2003/109/CE, dell’art. 117, primo comma, Cost., per eccesso di potere per carenza o inadeguatezza di istruttoria e per difetto di motivazione.

Dal provvedimento impugnato non emergerebbe che le memorie prodotte in sede procedimentale sarebbero state valutate adeguatamente, visto che si è evidenziata la loro scarsa rilevanza ai fini della decisione finale, senza aggiungere ulteriori elementi atti a confutare il contenuto delle stesse.

Infine vengono dedotti la violazione degli artt. 5 e 9 del D. Lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 21septies della legge n. 241 del 1990, dell’art. 12 del D.P.R. n. 394 del 1999 e l’eccesso di potere per carenza dei presupposti.

Dalla sottoscrizione apposta in calce al provvedimento non si riuscirebbe a comprendere l’autore della stessa, né gli altri elementi utili (qualifica, ufficio di appartenenza, eventuale delega, ecc.) per verificare se lo stesso sia abilitato ad esternare la volontà dell’Amministrazione.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 231/2010 sono stati disposti incombenti istruttori cura dell’Amministrazione dell’Interno. In data 3 gennaio 2011, il Ministero ha depositato la documentazione richiesta.

Alla Camera di consiglio del 17 gennaio 2011, fissata per la discussione dell’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, il Collegio, dopo aver dato avviso alle parti presenti alla discussione, ha ritenuto di potere definire il giudizio con sentenza breve, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. Con la prima censura il ricorrente sostiene che non sarebbe stato possibile respingere con un unico provvedimento sia il permesso di soggiorno CE di lungo periodo, che l’ordinario permesso di soggiorno. Inoltre non sarebbe stata valutata né la pericolosità sociale del ricorrente, vista la non ostatività dei reati commessi ai fini del rilascio del permesso di soggiorno CE di lungo periodo, né l’inserimento dello stesso, anche in relazione ai legami familiari, nel tessuto sociale italiano.

2.1. La censura non può essere accolta.

Quanto all’asserita illegittimità dell’adozione di un unico provvedimento con cui si nega sia il permesso di soggiorno CE di lungo periodo che l’ordinario permesso di soggiorno, va evidenziato che l’art. 9, comma 9, del D. Lgs. n. 286 del 1998 consente all’Amministrazione di rilasciare allo straniero, cui sia revocato il permesso di soggiorno di lungo periodo, un permesso di soggiorno per altro tipo, in applicazione dello stesso Testo unico. Pertanto non appare illegittimo il comportamento della Questura allorquando – pur pervenendo a conclusioni finali negative – si è premurata di verificare se comunque sussistessero le condizioni per rilasciare al ricorrente un ordinario permesso di soggiorno.

2.2. Va disattesa anche la parte della doglianza che contesta il provvedimento negativo sul presupposto della mancata valutazione della pericolosità sociale attuale del ricorrente e del suo effettivo inserimento nel tessuto sociale italiano. Difatti, nel provvedimento impugnato si dà atto che il ricorrente è stato condannato, nel settembre 2009, per un reato in materia di stupefacenti, e, nel luglio 2008, per lesioni personali; inoltre risultano, sempre a carico dello stesso, precedenti di polizia per spendita e introduzione nello Stato di moneta falsificata, per guida sotto l’influenza dell’alcol, per falsa attestazione al pubblico ufficiale sulla identità e in materia di sostanze stupefacenti. Sulla base di questi precedenti l’Amministrazione ha ritenuto di formulare un giudizio di pericolosità sociale attuale, che non pare affetto da alcun vizio di legittimità. Del resto le condanne, anche recenti, per reati di una certa gravità, oltre ai precedenti di polizia, non possono indurre a ritenere non pericoloso socialmente il ricorrente, non potendosi esigere, per una valutazione in concreto della pericolosità, un esame personale e minuzioso relativo alle specifiche abitudini di vita del soggetto fino alle sue più intime inclinazioni. Quanto ai legami familiari, va evidenziato che il ricorrente, anche in sede di memorie procedimentali, non ha dimostrato di avere alcun familiare convivente nel territorio nazionale e quindi tale aspetto non necessitava di alcuna valutazione specifica da parte della Questura.

2.3. In relazione a quanto evidenziato in precedenza, la censura va respinta.

3. Con la seconda doglianza si evidenzia come le memorie procedimentali prodotte dal ricorrente non siano state adeguatamente valutate in sede di adozione del provvedimento finale.

3.1. Anche tale censura non è fondata.

Le memorie, come risulta anche dal corpo del provvedimento, sono state esaminate dall’Amministrazione che, tuttavia, non le ha ritenute rilevanti ai fini dell’adozione del provvedimento finale. L’irrilevanza delle deduzioni del ricorrente, d’altronde, si ricava anche dalla diretta valutazione delle stesse, che non contestano l’esistenza dei presupposti fattuali posti a fondamento del provvedimento impugnato, limitandosi ad interpretarli in modo diverso e a sminuirne la portata. Del resto, "l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti non impone un’analitica confutazione in merito a ogni argomento utilizzato (dalla parte), essendo sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione dell’amministrazione alle deduzioni difensive del privato" (Consiglio di Stato, VI, 7 gennaio 2008, n. 17).

3.2. Ciò determina il rigetto anche di questa doglianza.

4. Con la terza censura si asserisce la nullità del provvedimento impugnato per incomprensibilità della firma del soggetto autore della stessa e per l’impossibilità di individuare la posizione rivestita dallo stesso nell’ambito dell’Ufficio di riferimento.

4.1. La doglianza va respinta.

In primo luogo, l’illeggibilità della firma non rende nullo il provvedimento, allorquando sia apposta accanto alla stampigliatura meccanica del nome del soggetto sottoscrittore, rendendo così individuabile la persona fisica cui è riferibile la sottoscrizione.

Inoltre, come risulta dalla documentazione depositata in data 3 gennaio 2011 dall’Amministrazione resistente, il sottoscrittore del provvedimento (dott. D’Anna), nella qualità di vicario del Questore, lo ha sostituito nel periodo ricompreso tra il 7 e il 28 agosto 2010 (l’adozione del provvedimento impugnato risale al 10 agosto 2010).

4.2. Di conseguenza anche questa doglianza va rigettata.

5. Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese possono essere compensate in ragione della natura della controversia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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