T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 26-01-2011, n. 240 Concessione per nuove costruzioni contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 9 luglio 1999 e depositato il 20 luglio successivo, la ricorrente ha chiesto l’accertamento dell’inesistenza dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione e del contributo concessorio per gli interventi assentiti con la concessione edilizia n. 23/1999, di cui l’Amministrazione comunale ha richiesto, invece, erroneamente il pagamento, con l’ordine di contenuto nell’avviso di rilascio della concessione edilizia, notificato in data 15 febbraio 1999. Ha chiesto, altresì, la condanna del Comune di Muggiò alla restituzione della somma di Lire 23.240.722 – quale prima rata dell’importo complessivamente richiesto, pagata in data 17 marzo 1999 – indebitamente riscossa, oltre gli interessi, e, se e per quanto occorra in parte qua, l’annullamento della concessione edilizia n. 23/1999.

A sostegno del ricorso vengono dedotte le censure di violazione e falsa applicazione della legge n. 10 del 1977, dell’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1977 e del D. M. 10 maggio 1977, di eccesso di potere per sviamento, illogicità ed ingiustizia manifeste, per contraddittorietà, per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e per carenza di istruttoria e di motivazione.

La ricorrente avrebbe trasformato parzialmente un immobile di cui è conduttrice, adibito originariamente a palestra, in un ambulatorio per attività di fisioterapia e vendita di prodotti connessi e, per tale ragione, il Comune avrebbe preteso il pagamento di maggiori oneri concessori, ritenendo, illegittimamente, che la nuova categoria, da classificare differentemente a livello urbanistico rispetto alla precedente, avrebbe determinato un diverso e maggiore carico per la zona in cui è situato l’immobile. Oltretutto la nuova destinazione sarebbe identica a quella originaria dell’immobile, senza obliterare la circostanza che, in occasione del precedente mutamento di destinazione, nessun contributo aggiuntivo sarebbe stato richiesto dal Comune. Infine, viene evidenziato come la nuova parziale destinazione riguarderebbe una parte proporzionalmente ridotta dell’immobile, che rimarrebbe comunque al servizio di quella prevalente, rimasta immutata e sulla base della quale avrebbero dovuto essere calcolati, in via esclusiva, i contributi concessori.

Si è costituito in giudizio il Comune di Muggiò, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 2156/99 è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di pagamento degli oneri concessori, subordinatamente alla prestazione di garanzia fideiussoria.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, la ricorrente ha depositato una memoria con cui ha ribadito le proprie richieste e conclusioni.

Alla pubblica udienza del 9 dicembre 2010, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. Con la prima parte dell’unica censura di ricorso si sostiene che il Comune di Muggiò non avrebbe potuto richiedere il contributo concessorio in relazione al cambio di destinazione d’uso dell’immobile condotto dalla ricorrente, che da palestra è stato trasformato parzialmente in ambulatorio commerciale, visto che, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune resistente, la categoria urbanisticocontributiva sarebbe la stessa (commercialedirezionale).

2.1. Tale censura non è fondata.

La ricorrente ha mutato la destinazione d’uso di parte dell’immobile da lei occupato, trasformando in ambulatorio e superficie commerciale una porzione di piano adibita originariamente a palestra.

Secondo le previsioni della delibera del Consiglio comunale n. 53 del 24 luglio 1997, che sostituisce le precedenti n. 2 del 10 gennaio 1977 e n. 351 del 22 luglio 1983, (all. 6, 7 e 8 del Comune), la trasformazione della destinazione di un immobile utilizzato per attività sportiva ad immobile destinato ad attività commerciale e/o di studio professionale determina una maggiore incidenza a livello di carico urbanistico, cui consegue la necessità di corrispondere maggiori oneri di urbanizzazione (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 10 giugno 2010, n. 1787).

A tal proposito l’art. 5 della legge n. 10 del 1977 – applicabile ratione temporis alla presente fattispecie – stabilisce che "l’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria (…) è stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con deliberazione del consiglio comunale". Tale norma è stata recepita dalla Regione Lombardia con la legge regionale n. 60 del 1977.

Oltretutto, va evidenziato come non risultano impugnate le delibere comunali sopra richiamate, che hanno proceduto alla individuazione e classificazione delle varie categorie e sottocategorie urbanistiche e alla quantificazione dei correlati contributi di costruzione, quali atti presupposti degli atti impositivi dei contributi concessori richiesti effettivamente alla ricorrente, impedendosi in tal modo il sindacato giurisdizionale sulle scelte effettuate dal Comune. Difatti, come affermato dalla costante giurisprudenza "nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quando si tratti di pretese dirette a far valere diritti soggettivi di contenuto patrimoniale, i ricorsi non sono soggetti al termine di decadenza, bensì al termine ordinario di prescrizione; tuttavia, ciò avviene solo quando i diritti patrimoniali nascano direttamente dalla legge o da un regolamento o da un precedente atto amministrativo, del quale non si contesti la legittimità e che, anzi, costituisca la base della pretesa patrimoniale stessa; quando, invece, l’esistenza del diritto patrimoniale fatto valere dall’interessato dipenda dalla asserita illegittimità del provvedimento autoritativo è necessaria la tempestiva impugnazione del medesimo nel termine di decadenza" (T.A.R. Umbria, I, 30 maggio 2008, n. 216; altresì, Consiglio di stato, VI, 23 febbraio 2004, n. 698).

Vertendo la contestazione sulla erroneità o inidoneità delle sottoclassificazioni operate dal Comune in relazioni alle possibili destinazioni d’uso degli immobili, non si può che respingere la doglianza.

2.2. In ogni caso, il procedimento seguito dal Comune appare avallato dalla giurisprudenza più recente, peraltro citata pure dalla ricorrente, che ha affermato come "deve ritenersi legittima la suddivisione delle categorie di destinazione d’uso in più sottocategorie o sottofunzioni, laddove (…) ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico implicato dall’una o dall’altra di esse, tale da giustificare diverse modulazioni di calcolo del contributo concessorio" (Consiglio di Stato, IV, 13 luglio 2010, n. 4546).

2.3. Quanto alla necessità di corrispondere il contributo anche nel caso di mutamento della destinazione d’uso, va evidenziato come si tratti di un principio enucleabile dall’art. 10, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, al fine di evitare "che, quando la nuova tipologia assegnata all’immobile avrebbe comportato all’origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente e, di contro, con l’aggravio urbanistico già valutato in sede di fissazione di quel regime contributivo" (Consiglio di Stato, V, 7 dicembre 2010, n. 8620).

3. Esaminando la seconda parte della doglianza, con la quale si assume la contraddittorietà della decisione comunale rispetto all’atteggiamento tenuto in passato, giacché un precedente mutamento di destinazione, da superficie commerciale a palestra, inverso a quello oggetto del presente contenzioso, relativo allo stesso immobile non aveva dato luogo ad alcun pagamento di oneri di urbanizzazione, la stessa va respinta.

3.1. Il precedente mutamento aveva determinato il passaggio da una categoria più onerosa ad una meno onerosa e, di conseguenza, nessun contributo supplementare avrebbe potuto essere richiesto. Invece, con il mutamento oggetto della presente controversia si passa da una destinazione meno impattante a livello di carico urbanistico ad una più onerosa, con la conseguente legittimità della richiesta del Comune.

4. Nemmeno appare fondata la considerazione in ordine alla mancanza di autonomia funzionale della parte di immobile oggetto di mutamento di destinazione, visto che nella relazione progettuale allegata alla richiesta di autorizzazione alla modifica si afferma esplicitamente che le diverse parti dell’immobile sono funzionalmente autonome (relazione allegata alla domanda di concessione del 27 maggio 1998).

5. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto.

6. In relazione alla risalenza della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate tra la parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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