Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-10-2010) 31-01-2011, n. 3369 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il GIP presso il Tribunale per i minorenni delle Marche, con sentenza emessa in data 15 giugno 2010, non accoglieva la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero e, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella della minore età, ritenute prevalenti sulla aggravante di cui all’art. 583 c.p., comma 1, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di R.E. per concessione del perdono giudiziale in relazione alla violazione dell’art. 582 c.p., e art. 583 c.p., comma 1, n. 1 in danno di Z. A..

Era accaduto che nel corso di una partita di calcio il R. effettuava un intervento in scivolata su Z., che giocava nella squadra avversaria e che in quel momento si era già liberato della palla.

Z. riportava fratture e conseguente malattia superiore a quaranta giorni.

Il GIP riteneva, in base alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni, tra i quali l’arbitro della partita di calcio, che il fatto si era verificato quando la vittima non era più in possesso del pallone e, quindi, non in occasione di una azione di gioco.

Da ciò il GIP deduceva la volontarietà della condotta.

Pur ritenendo, quindi, che si era in presenza di tutti gli elementi necessari per disporre il rinvio a giudizio dell’imputato, il GIP riteneva che ricorressero i presupposti per applicare il perdono giudiziale.

Con il ricorso per Cassazione R.E. deduceva:

1) la violazione degli artt. 43 e 582 c.p. in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ed il vizio di motivazione sul punto, perchè erroneamente il Giudice aveva ritenuto la condotta del R. non ricollegabile alle esigenze della partita di calcio. Rilevava il ricorrente che inspiegabilmente il Giudice aveva omesso di considerare e valutare tre importanti testimonianze, delle quali una particolarmente attendibile perchè dell’allenatore della squadra dello Z., secondo le quali la vittima si era liberato del pallone da qualche secondo e che il R., peraltro scivolato sull’erba sintetica, proveniente alle spalle dello Z., non poteva avere visto che quest’ultimo si era già liberato del pallone. Ciò significa che il fatto si era verificato nel corso di una azione del gioco. La mancata valutazione della prova si è risolta in mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

2) la violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della causa di giustificazione del c.d. rischio consentito nell’ambito delle competizioni sportive, anche, eventualmente, con riferimento agli artt. 50 e 51 c.p.. Il fatto è avvenuto nel corso di una azione di gioco e non è stato travalicato il dovere di lealtà sportiva.

Inoltre, essendo state rispettate le regole del gioco, non può essere ravvisabile nemmeno la colpa in un fallo, come è quello commesso dal R..

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da R.E. sono fondati. In effetti la motivazione della sentenza impugnata è fondata su elementi parziali, perchè il Tribunale non ha tenuto conto di altre importanti testimonianze, puntualmente indicate dal ricorrente, particolarmente attendibili perchè provenienti dall’allenatore della squadra avversaria nella quale giocava la parte offesa, e su valutazioni dell’arbitro testimone, che aveva notato un certo nervosismo del ragazzo nel corso della partita, e di cui non si sarebbe potuto tenere conto.

Tale esame parziale e non approfondito delle risultanze processuali ha determinato l’affermazione, non supportata da adeguata e logica motivazione, che il fatto si sarebbe verificato al di fuori di una azione di gioco. In effetti, come sembra possa dedursi anche dalle considerazioni della sentenza impugnata, il R. si trovava alle spalle dello Z., che era in possesso di palla; il gioco, quindi, non era fermo e lo Z. era certamente in possesso di palla quando il R. ha iniziato la sua azione; lo Z. si liberava del pallone passandolo ad altro compagno di squadra, quando il R. già si era predisposto ad intervenire e si stava avvicinando allo Z. velocemente; quando il R. ha colpito la gamba dello Z., quest’ultimo si era liberato del pallone da qualche secondo, secondo numerose testimonianze. Orbene non sembra logico affermare in siffatta situazione di fatto – che, peraltro, è quella sostanzialmente ricostruita dal giudice di merito – che non si sia trattato di una azione di gioco.

Per chiarire meglio la situazione e trame logiche conclusioni sarebbe stato necessario accertare con precisione da quanto tempo lo Z. si era liberato del pallone, se il R., proveniente di corsa alle spalle dello Z., si fosse potuto accorgerò che l’avversario oramai non era più in possesso di palla, se il R. avesse potuto interrompere la sua azione per evitare l’impatto con l’avversario e se le condizioni del terreno di gioco avessero consentito una brusca interruzione dell’azione del ricorrente.

Si tratta certamente di circostanze importanti al fine di valutare la volontarietà della condotta del R., che è stata affermata in base ad un elemento non molto significativo, quale è il nervosismo che avrebbe palesato il R. nel corso della partita di calcio, ed in assenza di altri più probanti elementi, quali l’aver subito un fallo in precedenza -fallo di reazione -, o l’avere motivi di risentimento nei confronti della parte offesa e di avere, quindi, profittato di una partita per aggredire la parte lesa.

Il Tribunale, inoltre, non ha tenuto conto della possibile esistenza della esimente dell’esercizio di una attività sportiva, esimente non codificata, ma ritenuta esistente nel nostro sistema dalla giurisprudenza di legittimità ogni qual volta l’agente abbia rispettato il dovere di lealtà sportiva che si deve avere nei confronti degli avversari.

In effetti in ogni gioco vi è un così detto rischio consentito che è caratteristico del gioco praticato, perchè in ogni gioco, oltre l’abilità vi è un esercizio di violenza fisica, che è massima nel pugilato o nella lotta, ma che non è assente completamente nel gioco del calcio.

A ciò si aggiunga che specialmente nel gioco del calcio, ma anche nella pallacanestro ed in altri giochi, molte azioni sono svolte in velocità ed in posizioni fisiche talvolta precarie, che possono provocare danni agli avversari, anche se non venga commesso alcun fallo.

Il Tribunale avrebbe dovuto verificare se nel caso di specie il danno subito dallo Z. fosse riconducibile ad un rischio consentito con conseguente applicazione della esimente di cui si è detto, ricordando che non è sufficiente che vi sia un fallo e, quindi, una inosservanza delle regole del gioco per affermare la esistenza del dolo e/o della colpa necessarie per punire penalmente la condotta dell’agente.

Il mancato approfondito esame delle risultanze processuali, che si risolve in assenza di specifica motivazione, la illogica individuazione della volontarietà della condotta del ricorrente nel nervosismo e la mancata valutazione della esistenza o meno della esimente dell’esercizio di una attività sportiva impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale per i minorenni di Ancona.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale per i minorenni di Ancona.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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