Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-10-2010) 31-01-2011, n. 3385 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello dell’Aquila ha confermato la sentenza resa da quel Tribunale in data 5 marzo 99 con cui A.S. è stato dichiarato colpevole dei delitti di falsa testimonianza e calunnia, commessi in data (OMISSIS) innanzi al Gup del Tribunale, allorquando sentito come teste, in sede di incidente probatorio, aveva negato che le dichiarazioni rese innanzi ai CC M. e Al. in data 26 luglio 1997 fossero vere e spontanee, ed aveva accusato i due ufficiali di pg di averlo costretto a firmare un verbale già predisposto, con cui incolpava a suo dire falsamente certo D.F.F. di spacciare stupefacente, nonchè di averlo in precedenti occasioni sottoposto ad ingiustificati controlli nel corso dei quali aveva subito violenze fisiche e maltrattamenti perchè formulasse accuse contro spacciatori locali.

Ricorre l’ A. e denuncia inosservanza di norme processuali, per avere la Corte ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese nel corso delle sommarie informazioni e dell’incidente probatorio, rese senza l’assistenza di un difensore nonostante egli avesse la veste di indagato in procedimento connesso. Il giudice distrettuale avrebbe errato nel negare la ricorrenza della necessità delle forme previste dall’art. 210 c.p.p., benchè fosse documentato che egli in data 15 novembre 1997 era stato iscritto nel registro degli indagati, insieme a D.F., perchè accusati di spaccio da certo T.. Con un secondo motivo, rileva che la Corte di ufficio avrebbe dovuto concedere il beneficio di cui all’art. 175 c.p., esercitando il suo potere discrezionale.
Motivi della decisione

Il ricorso è palesemente infondato.

Il primo motivo, peraltro non completamente enunciato, in quanto non tiene conto delle argomentazioni svolte nella pronuncia del giudice distrettuale, ma si limita a ribadire quanto ha formato oggetto dell’appello, non tiene conto che la invocata connessione non è invero configurabile, posto che i fatti antecedenti e successivi, che hanno ad oggetto indagini per reati in materia di stupefacenti, non hanno che un collegamento se non occasionale con il delitto di calunnia. Invero per quanto concerne la falsa testimonianza, consistente nella ritrattazione delle accuse mosse al D.F., nel senso che per quanto concerne la falsa testimonianza il precedente procedimento in cui il ricorrente aveva assunto la veste di indagato non riguardava fatti ricollegabili anche ad analoga attività in concorso del D.F.. Ciò esclude in radice la incompatibilità con l’ufficio di testimone. Peraltro, il detto procedimento risulta essere stato archiviato, sicchè è da richiamare il principio, affermato a che a Sez.Unite, con la sentenza De Simone del 2009, secondo cui non sussiste incompatibilità ad assumere l’ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. C), o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione. Quanto ora esposto vale a maggior ragione in ordine alla calunnia, che comunque non ha alcuna dipendenza, come esattamente messo in rilievo dai giudici di merito, rispetto alle pregresse indagini; si tratta di un autonomo reato, non certo originato in una delle condizioni enunciate ex art. 371 c.p.p., lett. B o ex art. 12 c.p.p., essendo stato l’ A. mosso semmai da moventi interni e personali per la sua ritrattazione, che sono trasmodati nelle infamanti accuse a carico dei due investigatori.

Anche il secondo motivo è inammissibile; esattamente la Corte distrettuale non ha esaminato di ufficio la concedibilità del beneficio della non menzione, poichè è pacifico che In tema di cognizione del giudice di appello, pur essendo previsto che il detto benefico possa essere concessa di ufficio, nessun obbligo di motivazione è stabilito a carico del giudice di secondo grado; ne consegue che il mancato esercizio di tale potere discrezionale non si traduce in vizio di violazione di legge o di motivazione, quando il predetto beneficio non sia stato espressamente sollecitato dalla parte con i motivi di appello, ovvero, oralmente, in udienza.

Tale è la situazione che riguarda il ricorrente, che non solo non ha proposto il relativo motivo innanzi la Corte, ma neanche ne ha illustrato le ragioni della concessione in occasione del dibattimento.

In conclusione, il ricorso è da dichiarare inammissibile ed il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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