T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 26-01-2011, n. 147 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società ricorrente presentava al Comune di Castrignano del Capo, in data 21 agosto 2008, denunzia di inizio attività per la realizzazione di un parco fotovoltaico di potenza di poco inferiore ad 1 MW.

Trattandosi di zona sottoposta a vincolo paesaggistico, si chiedeva la relativa autorizzazione comunale che veniva rilasciata in data 6 ottobre 2008 e, tuttavia, successivamente annullata dalla soprintendenza statale con provvedimento del 22 ottobre 2008.

Questa sezione, con sentenza n. 1374 del 4 giugno 2009, annullava il citato decreto della soprintendenza per difetto di motivazione e violazione dell’art. 159 del codice dei beni culturali.

A seguito di tale decisione, il Comune di Castrignano annullava in ogni caso il titolo edilizio nel frattempo maturatosi, in sostanza per contrasto con la strumentazione urbanistica.

Questa sezione, con ulteriore sentenza n. 930 del 16 aprile 2010, annullava anche il richiamato provvedimento di autotutela comunale, per difetto di motivazione e violazione dell’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990, in particolare a causa della mancata individuazione dell’interesse pubblico sotteso alla rimozione dell’atto.

Con successivo provvedimento del 21 maggio 2010, l’amministrazione comunale intimata rinnovava l’annullamento del titolo edilizio sulla base delle seguenti considerazioni:

a) con sentenza n. 119 del 2010 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008, nella parte in cui consente il ricorso alla DIA per impianti fotovoltaici di potenza superiore, come nella specie, ai 20 kw;

b) l’area interessata dall’intervento ricade all’interno del PIP approvato con delibera di giunta regionale n. 7702 del 1979 e risulta così caratterizzata: per oltre 18 mila metri quadri come zona D (insediamenti produttivi); 1.400 mq per attrezzature ad uso pubblico; 700 mq destinati a viabilità; 3.500 mq circa come zona agricola. Pertanto occorre assicurare, secondo il provvedimento impugnato, "lo sviluppo urbano ed economico del territorio in coerenza con le preesistenti finalità programmatorie ed i criteri stabiliti per la specifica area".

2. L’atto comunale da ultimo citato veniva impugnato per nullità, ossia per violazione dell’art. 21septies della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui sarebbe stata elusa la statuizione contenuta nella sentenza di questa sezione n. 930 del 2010; violazione di legge (art. 21nonies della legge n. 241 del 1990) ed eccesso di potere per erronea presupposizione dei fatti. In particolare, l’amministrazione comunale non si sarebbe avveduta della decadenza del piano di settore (PIP). Si chiedeva inoltre il risarcimento dei danni patiti.

3. Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame. In particolare veniva osservato che, ai sensi della normativa urbanistica di livello statale e regionale, il decorso del termine stabilito per l’attuazione del piano particolareggiato implicherebbe sì la decadenza dei vincoli espropriativi ma non anche di quelli conformativi (id est, la destinazione urbanistica e le prescrizioni di zona).

4. Con ordinanza n. 732 del 30 settembre 2010 veniva accolta l’istanza di tutela cautelare.

5. Veniva successivamente prodotta, in vista della decisione di merito, perizia di parte ricorrente con la quale si formulava una stima dei danni patiti. In ordine a tale perizia la difesa dell’amministrazione comunale sollevava eccezione di tardività.

6. Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2010 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni e la causa veniva infine trattenuta in decisione.

07. Tutto ciò premesso, in disparte ogni considerazione circa la violazione o meno del giudicato contenuto nella sentenza n. 930 del 2010 di questa sezione, il ricorso è comunque fondato per i motivi di seguito specificati.

7. In primo luogo, ritiene il collegio che nella specie trovi applicazione la norma di sanatoria ("limitata nel tempo", come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 313 dell’11 novembre 2010) di cui all’art. 1quater del decretolegge n. 105 dell’8 luglio 2010, in base al quale "sono fatti salvi gli effetti relativi alle procedure di denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che risultino avviate in conformità a disposizioni regionali, recanti soglie superiori a quelle di cui alla tabella A del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, a condizione che gli impianti siano entrati in esercizio entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".

7.1. Ebbene, la vicenda qui esaminata rientra a pieno titolo nel regime di applicazione della disposizione appena richiamata in quanto la denuncia di inizio attività era stata presentata in data 21 agosto 2008, ossia nel periodo di vigenza della legge regionale n. 1 del 19 febbraio 2008 (la quale stabiliva per l’appunto la soglia di 1 MW per poter ricorrere all’istituto della DIA).

7.2. Si osservi peraltro che la pronunzia di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 119 del 2010 ha riguardato la legge Regione Puglia n. 31 del 21 ottobre 2008, non anche l’art. 27 della richiamata legge regionale n. 1 del 2008, dichiarata incostituzionale – quest’ultima – soltanto successivamente alla adozione del provvedimento impugnato ed alla conseguente notificazione del presente ricorso, ossia con sentenza n. 366 del 22 dicembre 2010. In questa direzione il provvedimento impugnato si fonda dunque su presupposti (declaratoria di incostituzionalità di disposizione non esistente al momento della presentazione della DIA) neppure applicabili al caso di specie.

7.3. Quanto, poi, alla circostanza che i lavori non sarebbero stati ancora avviati e dunque sulla scarsa possibilità di attivare l’impianto entro il 16 gennaio 2011 (data prevista dalla suddetta norma di sanatoria quale condizione di ammissibilità dell’intervento), trattasi di mero giudizio prognostico che, soprattutto in considerazione della ordinanza di questa sezione (n. 732 del 30 settembre 2010) con cui è stata accolta la istanza di sospensiva del provvedimento impugnato, non può trovare ingresso in questa sede, dal momento che il rispetto del limite temporale ivi previsto dipende, in prima battuta, dalle strategie imprenditoriali e dalla capacità gestionale della società ricorrente di attivarsi in tempo utile; in seconda battuta, dalle attività di controllo e di monitoraggio che l’amministrazione comunale sarà in grado di intraprendere al riguardo.

E ciò a tacere del fatto che, in ipotesi quali quelle in esame, eventuali provvedimenti comunali dichiarati poi illegittimi potrebbero anche essere ritenuti alla stregua di cause di forza maggiore (c.d. factum principis), coma tali idonee a giustificare il mancato rispetto dei termini stabiliti dalla richiamata normativa statale, avendo i provvedimenti stessi impedito o comunque ritardato per un determinato lasso di tempo la realizzazione di siffatti impianti.

8. In secondo luogo, il provvedimento è comunque illegittimo per erroneità dei presupposti nonché per violazione – anche in questo caso – dell’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990.

8.1. Al riguardo si osserva, in via preliminare, che ai sensi del combinato disposto dell’art. 17 della legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 37 della legge regionale n. 56 del 1980, nonché per giurisprudenza pressoché pacifica, con la scadenza del piano attuativo (nel caso di specie, il PIP), se da un lato si determina la sua inefficacia in relazione ai vincoli espropriativi, dall’altro lato permane in ogni caso l’obbligo di osservare, nelle trasformazioni del suolo, le prescrizioni di zona stabilite dal piano nelle sue linee fondamentali ed essenziali (c.d. vincoli confomativi).

In questa direzione, i privati non possono dunque procedere ad utilizzazioni contrarie alle destinazioni di zona prescritte dal piano (cfr., al riguardo, Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2009, n. 6572; TAR Salerno, sez. II, 11 novembre 2009, n. 6682; TAR Latina, sez. I, 29 ouglio 2008, n. 972).

8.2. Ne deriva che nel caso di specie va operata una valutazione in concreto circa le possibilità edificatorie o meno dell’area, sulla base dei diversi vincoli ad essa impressi (ossia della loro natura e del loro conseguente contenuto).

Si rammenta in proposito che l’area interessata dall’intervento, ricadente all’interno del PIP approvato con delibera di giunta regionale n. 7702 del 1979, risulta così tipizzata: a) per oltre 18 mila metri quadri come zona D (insediamenti produttivi); b) 1.400 mq come attrezzature ad uso pubblico; c) 700 mq destinati a viabilità; d) 3.500 mq circa come zona agricola.

8.3. Tanto premesso, per quanto riguarda le aree di cui alle lettere b) e c) si tratta di vincoli espropriativi, dal momento che gli interventi in esse previsti sono tali da poter essere realizzati soltanto mediante l’intervento della mano pubblica.

Ciò è riscontrabile non solo per la zona destinata a viabilità stradale, ma anche per quella destinata ad attrezzature pubbliche, le quali comprendono – come si evince dalla documentazione versata in atti – da un lato "parcheggi ad uso pubblico" (per 425 mq) e dall’altro lato "verde pubblico", senza che a tale ultimo riguardo sia anche espressamente consentita, dagli strumenti urbanistici vigenti, la possibilità di realizzare dotazioni per lo svago come chioschibar, teatri all’aperto, giochi per bambini, impianti sportivi, etc., ossia interventi potenzialmente ascrivibili alla iniziativa privata.

Per le ragioni appena esposte sussiste in relazione a tale parte del provvedimento il vizio di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, in quanto l’amministrazione comunale non si è avveduta circa la sopravvenuta inefficacia delle prescrizioni vincolistiche impresse dal suddetto piano esecutivo.

8.4. Con riferimento, invece, alle lettere a) e d), trattasi senz’altro di vincoli conformativi, come tali destinati a restare in vigore a tempo indeterminato anche dopo la scadenza del piano esecutivo.

E, tuttavia, ritiene il collegio come al riguardo l’amministrazione abbia operato in contrasto con i criteri di cui all’art. 21nonies.

Ciò in quanto non sussiste, innanzitutto, incompatibilità tra la tipologia di intervento che si intende conseguire (impianto fotovoltaico) e destinazione urbanistica rispettivamente impressa alle due aree in questione. Più in particolare:

a) come ampiamente noto, la zona agricola è ritenuta compatibile con gli impianti di energia rinnovabile ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003 (si parla al riguardo di idoneità urbanistica ex lege);

b) quelli preposti alla generazione di energia elettrica derivante da fonti energetiche rinnovabili sono da considerare alla stregua di impianti produttivi a tutti gli effetti, come tali pienamente compatibili con una destinazione di zona quale quella impressa, per oltre 18 mila metri quadrati, all’area di cui si discute. Area che, si rammenta, è qualificata come zona D artigianale e per piccola industria (cfr. delibera di giunta regionale n. 7702 del 10 dicembre 1979). In questi termini non si comprende dunque, secondo quanto affermato dall’amministrazione comunale nel provvedimento impugnato, in quale modo la realizzazione di siffatto impianto dovrebbe pregiudicare "lo sviluppo urbano ed economico del territorio", e ciò in considerazione del fatto che le strutture medesime sono considerate ex lege opere di pubblica utilità (cfr. art. 12 decreto legislativo n. 387 del 2003) nonché idonee a creare "occupazione locale" e a sortire "un impatto positivo sulla coesione sociale" (cfr. considerando n. 1 della direttiva 2001/77/CE).

Rilevata, sulla base delle considerazioni appena espresse, l’insussistenza della illegittimità in sé del titolo edilizio illo tempore maturatosi, ne deriva che il provvedimento adottato in autotutela dall’amministrazione comunale denota la violazione dell’art. 21nonies nella parte in cui viene a mancare il presupposto fondamentale per ricorrere alla sua corretta applicazione.

Lo specifico motivo di ricorso deve dunque trovare ingresso.

9. In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Per l’effetto va annullato l’atto n. 2778 in data 21 maggio 2010 del Comune di Castrignano.

Va poi respinta l’istanza risarcitoria: al di là della tempestività o meno del deposito in giudizio della relazione tecnica di stima, sussistono infatti gli estremi dell’errore scusabile sotto il profilo della particolare complessità della fattispecie all’esame della PA. Complessità che ben può evincersi, in base all’analisi delle singole questioni nei termini sopra riportati, sia in ordine ai profili urbanistici, sia in merito alle vicende legislative che hanno interessato la materia de qua.

Si ritiene infine di compensare per le stesse ragioni appena evidenziate le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto n. 2778 in data 21 maggio 2010 del Comune di Castrignano.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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