Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-01-2011) 01-02-2011, n. 3606 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9/12/2009, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, in data 29/10/2008, riduceva la pena inflitta a L.I.P. per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., comma 2, 4 e 5, a dieci anni di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di genuinità delle propalazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia G.A. e V.C., confermava la credibilità soggettiva dei due collaboratori e rilevava che le loro dichiarazioni risultavano confermate da riscontri esterni. In particolare le dichiarazioni del G. trovavano riscontro esterno nelle dichiarazioni dell’imprenditore L. M., in un’intercettazione telefonica del 7 ottobre 1999 e del 2 maggio 2001 e nel sequestro di un "pizzino" trasmesso dal L. al P. e da questi girato al G..

Concludeva quindi la Corte rilevando che non poteva essere messa in dubbio la partecipazione di L.l.P. all’associazione di stampo mafioso denominata "Cosa Nostra", nell’articolazione della famiglia mafiosa di Bagheria, e che dal 1999 al 2002 lo stesso aveva esercitato un ruolo direttivo ed organizzativo, avendone ricevuta investitura formale da P.B..

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, mancata assunzione di una prova decisiva e violazione di legge con riferimento all’art. 192, commi 3 e 4, in relazione all’art. 416 bis c.p..

Al riguardo si duole che la Corte abbia respinto l’istanza di rinnovazione del dibattimento in appello per acquisire il verbale di interrogatorio reso da G.A. in data 13 luglio 2002.

L’acquisizione di tale verbale risultava indispensabile per vagliare la credibilità del colloborante poichè le dichiarazioni rese nel luglio del 2002, quasi contemporaneamente al suo arresto, risultavano inconciliabili con quelle rese in data 13 maggio ed 8 luglio 2004 ed erano ulteriormente smentite da quelle rese dal medesimo G. all’udienza del 17 gennaio 2008.

Con il secondo motivo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e violazione di legge con riferimento all’art. 192, commi 3 e 4, in relazione all’art. 416 bis c.p. e manifesta illogicità della motivazione.

Al riguardo si duole che le conclusioni dei giudici di merito sul ruolo apicale svolto dal L.I. dal 1999 al 2002 siano basate esclusivamente sulle propalazioni del G., non confermate dalle dichiarazioni di V.C., e risultino sfornite di riscontri esterni individualizzanti. In particolare contesta che possano costituire riscontro esterno le dichiarazioni dell’imprenditore L.M., il quale ha riferito di aver pagato il "pizzo" a D.R., ma non ha fornito alcun elemento da cui si potesse desumere che il referente a Bagheria fosse L.I. P.. La motivazione della sentenza impugnata sul punto sarebbe contraddittoria in quanto da un lato valorizza le dichiarazioni rese da L.M., come riscontro esterno del narrato del G. e dall’altro rileva che le dichiarazioni di costui "vanno prese con necessaria cautela". Rileva inoltre che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, avendo ritenuto verosimile che il V., pur essendo un grande conoscitore delle dinamiche della famiglia mafiosa di Bagheria, non avesse avuto alcuna notizia in ordine alla effettiva caratura del L. quale "uomo d’onore combinato con tutti i crismi" (come definito dal G.), nonchè in ordine al ruolo direttivo ed organizzativo dallo stesso ricoperto.

Il ricorrente richiama quindi altri passi della sentenza in cui si da atto che il L.I. godeva di un prestigio criminale di livello non eccelso, rilevando che tali affermazioni sono inconciliabili con il ruolo direttivo ed organizzativo riconosciuto al medesimo.

La parte civile "SOS Impresa Palermo" ha depositato una memoria chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, la censura è infondata in quanto, secondo l’insegnamento di questa Corte: "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 5782 del 18/12/2006 Ud. (dep. 12/02/2007) Rv. 236064;

Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 21/05/2009 Ud. (dep. 19/10/2009) Rv.

245009).

Nel caso di specie, la Corte ha respinto la richiesta di rinnovazione del dibattimento, escludendo che ricorressero i requisiti della prova assolutamente necessaria ai fini della decisione, richiesti dall’art. 603 c.p.p., comma 1, per consentire la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Tale decisione risulta pienamente giustificata dallo sviluppo del percorso argomentativo della Corte territoriale, le cui conclusioni sono sorrette da una motivazione congrua, analitica ed approfondita in ordine all’esistenza di elementi di prova più che sufficienti per effettuare la valutazione in ordine alla responsabilità dell’imputato per il reato a lui ascritto. Occorre, inoltre, rilevare che le questioni afferenti alla attendibilità del collaboratore di giustizia G.A., sono state approfonditamente vagliate dalla Corte che, rispondendo agli argomenti sollevati dalla difesa, ha escluso che le dichiarazioni rese in precedenza dal G. ed in altri contesti, svelassero il mendacio del collaboratore, con riferimento all’interpretazione del significato della lettera "P" apposta sui pizzini, giustificandone le ragioni (fol. 11).

Ugualmente infondato è il secondo motivo in punto di vizi della motivazione in relazione al riconosciuto ruolo apicale assunto dall’imputato nella famiglia di Bagheria dell’organizzazione "Cosa Nostra".

Sul vizio di motivazione va riconfermata la ormai pacifica giurisprudenza, più volte riaffermata anche a Sezioni Unite, secondo cui l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e considerandosi disattese le deduzioni delle parti che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni formulate dal ricorrente, per quanto plausibili o logicamente sostenibili alla pari di quelle accolte dal giudice, (cfr. Cass. SS.UU. 24/1999 Spina, rv.

214794; SS.UU. 12/2000 Jakani 216260).

Alla luce di tali pacifici principi di diritto devono essere rigettate le censure in punto di illogicità o contraddittorietà della motivazione. In particolare non sussiste alcuna illogicità manifesta della motivazione con riferimento alla valutazione che la Corte fa delle dichiarazioni del teste L.M., in quanto non è contraddittorio il riferimento che la Corte fa alle dichiarazioni di costui, come elemento di riscontro alle dichiarazioni del G. e la considerazione che tali dichiarazioni vanno prese con necessaria cautela, trattandosi di un imprenditore sottoposto ad una vicenda estorsiva. Deve escludersi, inoltre, che il percorso argomentativo della Corte possa essere ritenuto non coerente, almeno per quanto riguarda il riconoscimento del ruolo direttivo dell’Associazione, con i principi che governano la formazione della prova in riferimento all’art. 192, commi 3 e 4.

In particolare la Corte ha trovato dei riscontri esterni individualizzanti circa la posizione di vertice assunta dal L. I. nelle due intercettazioni telefoniche, di cui si è fatto cenno sopra, e nella trasmissione del "pizzino" e nella vicenda riferita dal teste L.M.. Le conclusioni raggiunte dalla Corte sul punto, essendo sorrette da una motivazione congrua e priva di vizi logici, non possono essere censurate in questa sede.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. Il ricorrente deve, altresì essere condannato alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile "SOS Impresa Palermo", che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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