Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-01-2011, n. 632 Atti del procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 20.4.1993 e depositato il successivo 13 maggio al TAR Sardegna la sig.ra C. ha impugnato, attraverso tre distinti motivi, gli atti del procedimento espropriativo relativo alla realizzazione di un parco pubblico nella zona interessante i nuraghi "Pidighi" e "Muraccas" e riguardante un terreno di sua proprietà ubicato in comune di Solarussa, accatastato al Foglio 3, mp. 45, esteso circa 22 ettari e destinato a pascolo cespugliato.

In particolare, gli atti impugnati erano la deliberazione della G.M. n. 495 del 17.11.1992 con la quale era stato approvato il progetto di acquisizione del terreno da destinare a parco, la deliberazione della G.M. n. 412 del 30.9.1992, ratificata con delibera consiliare n. 93 del 3.11.1992, di variazione del bilancio comunale ed il decreto del Sindaco di occupazione d’urgenza.

Con la sentenza n. 432 del 25 marzo 2005 il Tribunale Amministrativo ha respinto i tre motivi di ricorso compensando le spese di giudizio.

Avverso la predetta sentenza n. 432 del 2005 ha proposto il presente appello l’espropriata, riproponendo le prime due censura del ricorso di primo grado, rinunciando alla terza.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale, eccependo l’inammissibilità dell’appello e, comunque, la sua infondatezza nel merito.

Alla pubblica udienza del 30 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1 L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dell’appello per mancata proposizione di censure rivolte non contro i provvedimenti espropriativi impugnati in primo grado ma contro la sentenza del TAR è – con assoluta evidenza – priva di qualsiasi pregio.

E’ vero, infatti, che l’appellante ha riproposto i primi due motivi di ricorso al TAR, ma ciò ha fatto riformulandoli come specifici motivi di censura rivolti alla sentenza, della quale vengono riportati ampli stralci nell’atto d’appello, per censurarne la logicità e correttezza applicativa delle norme dedotte con gli stessi motivi.

2 Può pertanto passarsi all’esame dell’appello.

Con il primo motivo si censura la sentenza del TAR, lamentandosi dall’interessata che erroneamente il Tribunale Amministrativo ha ritenuto di rigettare la dedotta violazione dell’art. 13 della L. n. 2359 del 1865 (all’epoca dei fatti ancora vigente) per omessa reale indicazione di termini certi e predeterminati per l’inizio e la fine dei lavori e dell’ espropriazione; incertezza conseguente alla inesistenza – al momento dell’approvazione comunale del progetto – del decreto regionale di finanziamento dell’opera, da cui l’amministrazione aveva fatto decorrere i termini stessi.

In particolare, era infatti accaduto che con la deliberazione n. 495/1992 di approvazione del progetto di realizzazione del Parco a tutela delle due realtà archeologiche (Nuraghi "Pidighi" e "Muraccas") la Giunta comunale aveva provveduto alla fissazione dei termini del procedimento (uno, tre ed un anno, rispettivamente per l’inizio delle espropriazioni, per la fine delle espropriazioni e per l’inizio e la fine dei lavori, facendoli decorrere dal decreto regionale di finanziamento dell’opera, di cui lo stesso provvedimento comunale " presumeva " il rilascio entro sei mesi.

3 Al riguardo, la parte attuale appellante, ricorrente in primo grado, aveva lamentato innanzi al TAR che un siffatto modo di procedere fosse stato sostanzialmente elusivo del precetto relativo alla fissazione dei termini del procedimento contenuto nel citato articolo 13 della legge sulle espropriazioni del 1865.

Sul punto di censura i Giudici di primo grado hanno osservato che:

– nella medesima delibera si era dichiarato che il competente Assessorato regionale aveva comunicato, con nota del 14.11.1991, " l’avvenuta concessione di un finanziamento di 50 milioni di Lire, ai sensi dell’art. 106 della LR 4.6.1988 per l’acquisto dei terreni".

– pertanto, già in quella fase l’Amministrazione locale poteva contare, sia in termini di "an" che di "quantum", su quel finanziamento, rimanendo – aggiunge la Sezione – indeterminato ma sostanzialmente determinabile solo il termine di concreta erogazione delle somme, la cui effettiva corresponsione sarebbe avvenuta successivamente, come effettivamente accaduto a distanza di poco più di un mese, con Decreto regionale del 31.12.1992;

– l’inserimento, nella cronologia dell’esecuzione dell’opera e del completamento della procedura espropriativa, di questo parametro a priori non determinato, ma agevolmente determinabile già con la previsione di un termine "massimo" per la sua adozione, non poteva essere considerato vizio di legittimità della procedura, nella specie di vizio della dichiarazione di pubblica utilità. Ciò, in quanto la fissazione dei termini, così come effettuata dalla Giunta comunale, ben potesse essere interpretata come ulteriore ampliamento del termine già prefissato, con la conseguenza che i termini "massimi" (per l’inizio e fine lavori, nonché per la fine delle espropriazioni) risultavano anch’essi (oltre a quello per l’inizio delle espropriazioni, unico fissato in modo rigido) individuati in modo certo e predeterminato, in quanto incrementabili con il semestre correlato all’attesa della formalizzazione del decreto di finanziamento già concesso dalla Regione;

– il decreto regionale in questione risultava, in concreto, emanato dalla Regione solo un mese e mezzo dopo l’approvazione comunale del progetto dell’opera pubblica (e precisamente il 31 dicembre 1992), con l’effetto che i tre termini di inizio e fine lavori e fine espropriazione, che, al più, potevano essere maggiorati di un semestre, in effetti erano stati incrementati di soli 44 giorni rispetto ai sei mesi previsti quale limite massimo.

4 Il ragionamento del TAR è sostanzialmente corretto ed immune dai vizi dedotti con i motivi d’appello, con i quali si rileva, in sintesi, che la nota n°14400 del 14.11.1991 (richiamata nell’impugnata delibera di Giunta), con la quale la regione Sardegna avrebbe asseritamente concesso il finanziamento per l’acquisto dei terreni, in realtà era semplicemente una " notizia " all’amministrazione comunale che l’iniziativa era stata inclusa tra quelle finanziabili, ma che, "ai fini della concessione del finanziamento", occorreva istruire la pratica attraverso la presentazione della relativa documentazione.

L’esito del procedimento sarebbe stato, quindi, sia alla data della citata nota regionale che alla data della delibera G.M. impugnata, assolutamente incerto, nell’an, nel quando ed anche nel quantum, come poi confermato anche dal termine lessicale " si presume " usato dall’atto di Giunta con riguardo alla data del finanziamento.

Non corrisponderebbe, quindi, al vero quanto asserito nell’impugnata sentenza in merito alla certezza circa la concessione del finanziamento già alla data dell’approvazione del progetto, mancando solo la formale liquidazione delle somme.

5 La censura non ha pregio.

Vale preliminarmente precisare, in punto di diritto, che non v’è dubbio che la mancata indicazione, nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera, dei termini d’inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni ex lege n. 2359 del 1865 può valere come motivo di illegittimità della predetta dichiarazione, la fissazione dei termini essendo "connaturale ad ogni procedimento espropriativo", per correlare il sacrificio imposto alla proprietà privata ad una effettiva funzione sociale, cioè ad iniziative di interesse pubblico serie, concrete ed attuali: Corte Cost., 30 marzo 1992, n. 141; Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540.

La necessità dell’indicazione dei termini entro cui iniziare e concludere il procedimento espropriativo risponde all’esigenza, risalente sin dal 1865 ed oggi insita negli artt. 13 e 46 del TU sulle espropriazioni di cui al d. lgs. n. 327 del 2001, che l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera per soddisfare l’esigenza primaria ad essa riconnessa, debba correlarsi e confrontarsi con quello privato a non vedersi inutilmente o spropositatamente sacrificato da scelte irrazionali, demagogiche, megalomane, clientelari, o peggio, contrastanti con i criteri e principi di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità, attendibilità, coerenza delll’ìazione amministrativa.

5.1 – E’ certamente vero che l’interesse del privato è secondario e recessivo rispetto all’esecuzione coattiva di opere pubbliche, ma, per una corretta lettura del principio di funzionalizzazione della proprietà privata scritto nell’articolo 42 Cost., ciò è vero nella misura strettamente utile e necessaria alla cura dell’interesse generale primario; non in quella ritenuta soggettivamente ed unilateralmente più comoda (anche temporalmente) o percorribile dalla p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2010, n. 1275; sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1649).

6 – Se la dichiarazione di pubblica utilità risulta "radicalmente nulla " per omessa indicazione dei termini per l’ espropriazione o per scadenza degli stessi (cfr. Cons. Stato Ad. plen., 22 ottobre 2007, n. 12, relativa alla questione di giurisdizione delle procedure espropriative) ovvero illegittima per incertezza o incompletezza degli stessi (Cons.Stato., sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2773; sez. IV, 21 novembre 2001, n. 5904 e 14 gennaio 1999, n. 22), tali ipotesi non sussistono quando quei termini siano stati indicati, come nella specie, attrave4rso un duplice, concorrente criterio temporale, per relationem ad un provvedimento esterno e nella fissazione, comunque, di una data certa, costituita da sei mesi, entro i quali l’amministrazione espropriante presumeva l’adozione di quello stesso provvedimento esterno.

6.1 – L’uso del verbo " si presume " riferito al predetto semestre e ripetutamente enfatizzato nell’atto d’appello quale sintomi di irrazionalità ed illegittimità, non toglie nulla alla determinazione ed indicazione certa e predeterminata dei termini massimi entro cui sarebbero stati adottati i provvedimenti espropriativi ed ultimati i relativi lavori, essendo essa riferibile alle motivazioni, per le quali l’amministrazione aveva ritenuto di fissare un criterio terminale composto di due segmenti: il primo riferito alla data di adozione dell’atto esterno individuata comunque nel limite massimo semestrale e il secondo di ordine assoluto, calcolato, quanto al dies a quo, con riferimento al primo.

Con la conseguenza che ove il provvedimento esterno fosse stato adottato prima dei sei mesi, i termini annuali avrebbero iniziato a decorrere da quella data, mentre, in caso contrario, sarebbero stati computati dalla scadenza del semestre.

In entrambi i casi quei termini si presentavano determinabili a priori, quindi certi.

Che nella specie si trattasse di termini certi, come tali idonei a fugare tutti i pericoli, innanzi ricordati, che la norma primaria, impositiva dell’obbligo determinativo a carico del provvedimento di p.u., vale a fugare, è ulteriormente confortato dal dato – ex post sì, ma significativamente probatorio della serietà, attualità e concretezza dell’intento espropriativo dell’amministrazione – lo si ricava dai tempi concreti dell’adozione del decreto regionale di finanziamento, intervenuto a distanza di poche settimane dalla predetta dichiarazione di p.u., sì che i termini complessivi della procedura coincidevano ed hanno coinciso, in fatto, con quelli annuali e triennali, sopra ricordati.

7 – Quanto, poi, alla censura relativa all’erroneità, in punto di diritto, del richiamo ai presunti principi di possibilità di omissione di indicazione espressa dei termini ove essi siano direttamente fissati dalla legge (nella specie la legge n. 1 del 1978), si tratta di rilievo del tutto irrilevante, in quanto non scalza l’esattezza complessiva della statuizione del TAR, trattandosi di argomentazione non risolutiva ma meramente aggiuntiva.

8 – Con il secondo motivo d’appello si ribadisce quanto già dedotto con il ricorso in primo grado, secondo cui la deliberazione comunale di approvazione del progetto e dichiarazione di pubblica utilità n. 495 del 1992 sarebbe stata priva della copertura finanziaria, non risultando a quel momento, con certezza, la disponibilità del finanziamento regionale.

Vale ricordare che l’art. 55, comma 5, della Legge 8.6.1990, n. 142, all’epoca dei fatti ancora vigente, successivamente abrogato dall’art. 274 del nuovo TUEELL di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ed oggi trasfuso negli artt. 150, comma 1 e 151 dello stesso decreto, dispone(va), nel testo anteriore alle modifiche della legge n. 127/1997, che "gli impegni di spesa non possono essere assunti senza attestazione della relativa copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio finanziario. Senza tale attestazione l’atto è nullo di diritto".

In merito a tale norma l’appellata sentenza ha giustamente rilevato che la determinazione del comune di approvazione dell’opera era avvenuta in virtù del finanziamento di 50 milioni, già concesso da parte della Regione Sardegna e comunicato allo stesso Comune con nota del 14.11.1991 dell’Assessorato Enti Locali, Finanze e Urbanistica, specificatamente per l’acquisto dei terreni da destinare a Parco comunale, in applicazione dell’art. 106 della LR Sardegna n. 11 del 4.6.1988.

Il TAR ha ulteriormente evidenziato come la delibera n. 495/1992 fosse corredata dei pareri favorevoli di regolarità tecnica e contabile di cui all’art. 53 della medesima legge n. 142, rilevando, altresì, che la copertura finanziaria della medesima delibera fosse, inoltre, garantita come indicato nel Piano finanziario dell’investimento approvato con deliberazione del C.C. n. 106 di pari data (17.11.1992), richiamato nel provvedimento della Giunta impugnato.

Nella stessa parte di motivazione il Tribunale Amministrativo ha osservato, ancora, che dalla stessa deliberazione della GM n. 495/1992 fosse risultato che la stessa GM, con propria deliberazione n. 412 del 30.9.1992, ratificata dal C.C. n. 93 del 3.11.92, aveva variato il bilancio di previsione per prevedere nella parte in entrata il contributo regionale e nella parte spese quella corrispondente; che il C.C., con deliberazione 98 del 3.11.92 aveva assestato il programma triennale di opere pubbliche per il triennio 199193, destinando la somma di Lire 30 milioni alla realizzazione del Parco in questione, al fine di integrare il finanziamento regionale.

Da quanto sopra riportato emerge, dunque, che l’opera approvata, finalizzata alla realizzazione del parco archeologico, non fosse per nulla sprovvista del necessario finanziamento e delle relative attestazioni da parte dei competenti organi comunali; con ciò dimostrandosi, anche sotto il profilo finanziario, la serietà, la concretezza e la necessità dell’intervento.

9 – In conclusione, l’appello va respinto. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

Respinge l "appello e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.

Spese a carico della parte appellante in favore del costituito comune, liquidate in euro 5.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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