Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-03-2011, n. 5129 Costituzione delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Palmerini srl convenne davanti al tribunale di Siena T. F. esponendo che era divenuta proprietaria in forza di contratti del 1993 e del 1996 di un complesso immobiliare in (OMISSIS) e chiese fosse accertata e dichiarata l’inesistenza di ogni diritto reale o personale del convenuto a prelevare le acque dell’invaso del complesso, ordinando la cessazione di ogni attività, la rimozione delle opere realizzate, il ripristino dei luoghi, l’inibizione all’accesso, la reimmissione nella piena disponibilità ed i danni.

Il convenuto contestò la pretesa, la causa fu interrotta per la di lui morte e riassunta con la costituzione delle eredi L. M., S., R. e T.G., che chiesero l’estromissione per carenza di legittimazione passiva e di interesse, in quanto per proseguire l’attività era stata costituita una snc, poi trasformata in Terziani srl, che intervenne volontariamente.

Con sentenza 397/2002 il Tribunale estromise gli eredi e respinse la domanda.

Propose appello la P., resistette la Terziani srl, proponendo appello incidentale e la Corte di appello di Firenze, con sentenza 1239/2004, in parziale riforma, dichiarò l’inesistenza di ogni diritto a prelevare le acque, ordinò la cessazione dell’attività con condanna alle spese, osservando che la scrittura 22.5.1979 tra F.E. e T.F., su cui la srl fondava le sue pretese, non poteva essere considerata negozio costitutivo di un diritto reale; nè veniva allegata una assunzione di obbligazioni personali. L’avvenuta usucapione o la richiesta di costituzione di servitù coattiva non erano suffragate da alcuna minima prova.

Ricorre Terziani srl con due motivi, illustrati da memoria, resiste Palmerini srl, che propone anche ricorso incidentale.
Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta falsa applicazione di norme di diritto per la errata valutazione degli artt. 1027 e 1058 c.c., in ordine agli elementi costitutivi delle servitù e col secondo insufficiente e contraddittoria motivazione sulla interpretazione del contratto, dovendosi tenere conto del tenore complessivo dell’intero atto, con considerazione finale sul riconoscimento dell’acquisto di servitù coattiva o di avvenuta usucapione.

Rileva in via preliminare questa Corte Suprema che il ricorso è al limite dell’ammissibilità in quanto omette una completa esposizione del fatto, iniziando dal giudizio di appello con generici richiami a quello di primo grado.

Rispetto ad una sentenza che, esaminando gli atti, ha escluso qualsiasi diritto a prelevare acqua, il primo motivo rivendica l’esistenza degli elementi costitutivi delle servitù (che la sentenza ritiene solo invocati e non provati) dando luogo ad una inversione logica del ragionamento che doveva , in primo luogo, attaccare la "ratio decidendi" e l’attività di ermeneutica contrattuale posta in essere.

Ciò , in effetti, si propone col secondo motivo, che, tuttavia è impostato come insufficiente e contraddittoria motivazione sull’interpretazione del contratto mentre doveva essere proposto come violazione di legge in relazione all’art. 1362 c.c..

La ricorrente avrebbe dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a qua, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacchè la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale delle parti alle quali è fatto riferimento in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343, 30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).

E’ ben vero che la ricorrente ha inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a quo ed ha, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, se pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamele violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

DI’ conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Peraltro la censura non è autosufficiente non riportando le clausole sottoscritte dalle parti, cui si fa riferimento, il 22.5.1979.

Anche la considerazione finale circa richieste istruttorie e prove testimoniali articolate in primo grado e ribadite in appello, ma non riportate, non consente alla Corte alcuna valutazione sulla generica censura formulata.

Coi ricorso incidentale si impugna il capo della sentenza con il quale la Corte di appello ha ritenuto non fondate le pretese relative alla rimozione delle opere realizzate da T..

La censura, oltre che generica, è infondata, trattandosi di opere realizzate con consenso dell’altra parte.

Donde il rigetto di entrambi i ricorsi e la condanna alle spese de ricorrente principale, in prevalenza soccombente.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna la ricorrente principale alle spese, liquidate in Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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