Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 01-02-2011, n. 3656 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M.R. proponeva personalmente ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 24 maggio 2010 del Tribunale del Riesame di Bari con la quale, in parziale accoglimento della richiesta di riesame avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Trani del 6 maggio 2010, applicativa della custodia cautelare in carcere per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 81, art. 73, comma 1, art. 80, comma 2, la misura inframuraria veniva sostituita con quella, meno afflittiva, egli arresti domiciliari.

Lamentava la ricorrente la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione ai richiamati articoli del D.P.R. n. 309 del 1990, nonchè la violazione dell’art. 273 c.p.p..

Osservava, in particolare, che i giudici del riesame non avrebbero tenuto conto delle argomentazioni difensive proposte circa la estraneità della ricorrente alla commissione del reato, per essere la stessa ignara della illecita attività del coniuge cui doveva invece essere attribuita l’esclusiva responsabilità dei fatti.

Aggiungeva che il concorso nel reato non poteva essere ritenuto per il solo fatto di essere stata sorpresa, immediatamente prima dell’arresto, mentre si disfaceva di alcuni semi di marijuana gettandoli dalla finestra dell’abitazione.

Evidenziava, altresì, l’assoluta mancanza di altri elementi a suo carico, affermando anche che le somme di denaro sequestratele erano riconducibili a risparmi e ad una donazione effettuata al marito dalla madre.

Insisteva pertanto per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso, che introduce peraltro anche nuovi elementi di fatto, è infondato e deve essere rigettato.

Va preliminarmente ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito (v. da ultimo, Sez. 5, n. 46124, 15 dicembre 2008).

Con specifico riferimento al ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame, in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si osservato che alla Corte "spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie." (SS.UU n. 11, 2 maggio 2000).

Sono stati posti, dunque, limiti precisi entro i quali deve svolgersi il giudizio di legittimità che non può sconfinare in un ulteriore valutazione del merito, anche quando, pur alla luce degli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", l’intero contesto motivazionale del provvedimento impugnato sia congruo e non venga intaccato dalle specifiche allegazioni del ricorrente.

Date tali premesse, si osserva come l’ordinanza del Tribunale di Bari sia del tutto immune da censure.

In particolare, si osserva come l’ordinanza impugnata abbia dato compiutamente atto della sussistenza dei presupposti di legge posti a sostegno della misura cautelare impugnata ed, in particolare, degli elementi a carico della ricorrente definiti come "solida piattaforma indiziaria".

I giudici del riesame, lungi dal limitarsi a valorizzare, come sostenuto nel ricorso, la sola circostanza dell’intervento della polizia giudiziaria mentre la ricorrente tentava di disfarsi di alcuni semi di cannabis gettandoli dalla finestra, hanno analiticamente illustrato le ragioni che inducono a ritenere la sussistenza di un concorso della C. nell’attività criminosa del coniuge convivente.

Viene infatti dato atto della consistente quantità di stupefacente presente nell’abitazione coniugale in locali di uso comune, il rinvenimento di strumenti per il confezionamento e di una somma rilevante di denaro occultata in un doppio fondo del camino.

Correttamente, dunque, i giudici del riesame hanno escluso, sulla base di tali elementi fattuali, che il comportamento della ricorrente fosse di mera inerzia se non di totale inconsapevolezza dell’illecita attività del coniuge, rilevando, al contrario, come tutto ciò fosse sintomo evidente – confermato dal getto dei semi di cannabis dalla finestra – di una volontaria partecipazione o, quantomeno, di una significativa agevolazione della detenzione e dell’occultamento dello stupefacente.

Tale assunto appare pienamente in linea con l’orientamento espresso da questa Corte in tema di concorso del coniuge dell’agente nella detenzione di sostanze stupefacenti nella casa coniugale.

Si è infatti sempre esclusa la mera connivenza, ritenuta non punibile in assenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, evidenziando, invece, la rilevanza di volontà di adesione, che "può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell’altro coniuge di poter contare su una propria attiva collaborazione" (Sez. 6, n. 9986, 22 settembre 1998. Conf. Sez. 3, n. 9842,4 marzo 2009).

Altrettanto completa ed esaustiva appare, infine, l’analisi delle esigenze cautelari che hanno indotto all’applicazione della misura effettuata dai giudici del riesame con una attenta valutazione della personalità della prevenuta e delle ragioni che conducevano ad una prognosi sfavorevole di non recidività, nonchè della adeguatezza della misura applicata in sostituzione di quella originaria.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *