Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-01-2011, n. 629 Appello incidentale Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Gli odierni appellanti principali, proprietarii di un terreno in Comune di Vigonza rientrante nell’area interessata dalla realizzazione di un’opera pubblica (lavori di costruzione di un sottopasso ferroviario con annessi raccordi di collegamento alla strada statale n. 515) per l’esecuzione della quale veniva avviata alla fine degli anni "80 del XX secolo apposita procedura espropriativa, con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto chiedevano che, essendo stata accertata l’illegittimità della procedura espropriativa stessa con precedente sentenza dello stesso T.A.R. n. 2032/99 (che aveva accolto i ricorsi n. 1856/97 e n. 2097/97 da essi proposti per l’annullamento dei provvedimenti, con i quali era stata disposta la proroga dei termini per il compimento delle espropriazioni e dell’occupazione temporanea e d’urgenza), il T.A.R.:

– dichiarasse l’intervenuto trasferimento di proprietà in capo all’A. (A.), Compartimento di Venezia, quale ente delegante l’espletamento delle procedure espropriative afferenti ai predetti lavori di competenza dell’ente stesso, a séguito della "appropriazione acquisitiva" asseritamente verificatasi all’ésito della realizzazione dell’opera pubblica;

– condannasse l’A. medesima e la C. s.c. a r.l. (quale soggetto delegato al compimento di dette procedure), al risarcimento del danno loro derivato dalla perdita, a séguito della predetta "appropriazione acquisitiva", della proprietà del terreno suddetto, nonché al risarcimento del danno da illegittima occupazione del terreno stesso per il periodo dall’immissione nel possesso del terreno medesimo da parte dell’Amministrazione alla definitiva "acquisizione dell’immobile all’opera pubblica".

Il Tribunale adìto, con la sentenza indicata in epigrafe, respinta la domanda formulata in via preliminare dai ricorrenti volta ad ottenere un provvedimento interinale e/o anticipatorio ex artt. 186bis e 186ter c.p.c., accoglieva la domanda di risarcimento (ritenendo sussistente il "suo presupposto, vale a dire l’intervenuto trasferimento della proprietà dell’area dei ricorrenti in capo all’A. a seguito di irreversibile trasformazione del bene per la realizzazione dell’opera pubblica": pag. 12 sent.), pronunciando la condanna generica delle parti resistenti, in solido, al risarcimento dei danni patrimoniali subìti dai ricorrenti in conseguenza dell’illecita acquisizione del bene e stabilendo all’uopo i "criteri generali per la liquidazione del quantum, in base ai quali la parte debitrice dovrà proporre, a favore dei ricorrenti, il pagamento della somma dovuta a titolo risarcitorio" (pag. 17 sent.).

Avverso detta sentenza insorgono in via principale gli originarii ricorrenti, chiedendone la riforma/integrazione quanto alle dedotte omesse pronunce in ordine al richiesto accertamento dell’intervenuto trasferimento di proprietà in capo all’A. del terreno suddetto ed alla pure richiesta condanna al risarcimento dei danni patrimoniali da essi asseritamente subìti in conseguenza dell’illegittima occupazione del bene per il periodo che va dall’immissione dell’Amministrazione nel possesso del bene alla definitiva "acquisizione del bene medesimo all’opera pubblica"; e chiedendo, inoltre, la riforma della stessa quanto al capo relativo alle spese, di cui si lamenta l’erroneità sia per aver con esso il Giudice di primo grado statuito la compensazione per metà delle stesse, sia per la affermata "irrisorietà" dell’ammontare liquidato in loro favore.

Si è costituita in giudizio l’A., confutando gli assunti formulati con l’appello principale e proponendo altresì appello incidentale avverso la sentenza stessa, che ritiene erronea sia in rito, laddove ha ritenuto ammissibile il ricorso di primo grado e sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo (in tal senso respingendo le eccezioni da essa all’uopo avanzate in prime cure), che nel mérito, quanto alla possibilità di pronunciare sentenze di condanna generica nel processo amministrativo, quanto al mancato accertamento dell’identità tra superficie di terreno a suo tempo fatta oggetto dell’occupazione e superficie effettivamente interessata alla costruzione dell’opera pubblica, quanto all’effettuata commisurazione del risarcimento del danno nel valore venale del terreno di proprietà degli odierni appellanti principali e quanto, infine, alla statuizione, con la quale è stata riconosciuta in favore degli stessi la rivalutazione sulle somme dovute a titolo di risarcimento.

L’originaria cointimata, soccombente in primo grado, C. s.c. a r.l., evocata in giudizio con il solo atto di appello incidentale, non si è costituita.

Con decisione interlocutoria n. 3800/2009, resa all’ésito della chiamata e trattazione della causa alla udienza pubblica del 21 aprile 2009, la Sezione, "premesso che la sentenza di primo grado ha condannato in solido al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede da A. e C. s.c. a r.l.", che "l’appello principale è stato notificato solo alla prima" e che "nel caso all’esame tra le due cause, iniziate con un unico originario atto introduttivo nei confronti dei due distinti coobbligati così instaurando un rapporto processuale comunque scindibile, esiste in ogni caso un rapporto di dipendenza, trattandosi di cause, che, essendo state decise nel precedente grado in un unico processo, debbono rimanere unite anche nella fase di gravame", concludeva "per la natura processuale del litisconsorzio, in quanto non si delinea qui un unico rapporto sostanziale che lega i due soggetti condannati in primo grado (almeno quanto alla domanda inerente alla dedotta omessa pronuncia in punto risarcimento danni), ma, di fatto, si versa, come s’è visto, in fattispecie di dipendenza reciproca delle due cause, che dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in forza del quale le cause medesime devono rimanere riunite anche in fase di impugnazione".

In forza di tali premesse la citata decisione riteneva "che il contraddittorio va integrato mediante notifica dell’appello principale nei confronti di C. S.c. a r.l., che, se pure convenuta in giudizio con l’atto di appello incidentale, deve essere posta in grado di conoscere, al fine di assumere ogni utile determinazione circa la costituzione o meno nel presente giudizio e circa le difese e domande da svolgere in esso in piena autonomia nei confronti di tutte le parti in causa, le domande proposte con il ridetto atto di appello principale" ("né una tale conoscenza può dirsi realizzata per mezzo della costituzione in esso, fino alla data dell’udienza pubblica non intervenuta"), di conseguenza ordinando "agli appellanti principali di notificare, a pena di decadenza, il ricorso in appello alla parte indicata in motivazione, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione (o, se anteriore, dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa) della presente decisione, provvedendo, parimenti a pena di decadenza, al deposito, presso la Segreteria della Sezione, di prova dell’effettuata notifica entro trenta giorni dalla data della stessa".

Con atto depositato in data 23 ottobre 2009, integrato dal deposito dell’avviso di ricevimento della relativa raccomandata postale effettuato in data 24 novembre 2009, gli appellanti principali hanno provato di aver regolarmente integrato il contraddittorio nei confronti della predetta parte, in esecuzione della citata decisione interlocutoria.

Pure all’ésito di detta notifica non si è costituita in giudizio l’originaria cointimata.

Con memoria in data 4 novembre 2009 gli appellanti principali hanno analiticamente controdedotto alle difese e domande avversarie.

All’udienza pubblica del 24 novembre 2009 il Collegio, rilevato il mancato deposito, da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato, dell’avviso di ricevimento del plico contenente l’atto di appello incidentale spedito a notifica tramite il servizio postale nei confronti di C. s.c. a r.l., rinviava la trattazione della causa alla udienza pubblica del 23 marzo 2010, dando all’Avvocatura termine per il deposito, che tuttavia non risultava effettuato entro detta data.

All’ésito della chiamata e trattazione della causa alla predetta udienza, il Collegio, con decisione interlocutoria n. 2158/2010, rilevata "la perdurante assenza di costituzione da parte dell’intimata C. s.c. a r.l." e "reputato tuttora necessario, per le ragioni di completezza del contraddittorio in causa inscindibile già ampiamente illustrate nella precedente decisione interlocutoria n. 3800/2009, acquisire la prova del perfezionamento della predetta notifica", concedeva "formale termine all’Avvocatura Generale dello Stato per la produzione di tale avviso, ovvero di un suo duplicato, come previsto dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 6, comma 1", nel contempo sottolineando "come una siffatta concessione di termine non vale certo ad eludere una eventuale pronuncia di inammissibilità dell’appello incidentale per mancanza dell’avviso di ricevimento della relativa notifica nei confronti di una delle parti, giacché, com’è noto, l’omessa notifica del ricorso in appello ad una (o più) delle parti necessarie del giudizio di primo grado non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma solo la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti non intimate (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2576, 10 maggio 2005, n. 2271 e 15 febbraio 2002, n. 923; da ultimo, VI, 23 luglio 2008, n. 3639)".

L’Avvocatura Generale dello Stato ha provveduto ad espletare il richiesto incombente istruttorio con deposito effettuato in data 19 maggio 2010 (oltre il termine del 15 maggio 2010 assegnato con la citata decisione interlocutoria).

Alla udienza pubblica del 19 ottobre 2010 la causa è stata chiamata e, dopo che il Presidente ha indicato alle parti la sussistenza di una questione di tardività dell’appello incidentale rilevata d’ufficio e che l’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto ed ottenuto col consenso di controparte un términe a difesa, la trattazione della stessa è stata rinviata all’udienza pubblica del 17 dicembre 2010, in vista della quale i soli appellanti principali, con memoria depositata in data 18 novembre 2010, hanno dedotto sulla prospettata questione.

All’udienza pubblica del 17 dicembre 2010 la causa, nuovamente chiamata, è stata alfine trattenuta in decisione.

2. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria depositata dagli appellanti principali in data 18 novembre 2010, per violazione del termine perentorio, di cui all’art. 54 c.p.a., cui è possibile derogare, da parte del Collegio, solo su richiesta di parte, nella fattispecie nemmeno intervenuta.

3. – Venendo ai proposti appelli, il primo aspetto da prendere in esame, al fine di parametrare il materiale cognitivo sottoposto all’esame della Sezione, concerne la tempestività e l’ammissibilità dell’appello incidentale autonomo proposto dall’A. (originaria cointimata soccombente in primo grado), le cui doglianze in rito e nel mérito si rivelano logicamente pregiudiziali rispetto a quelle sollevate con il mezzo principale di gravame.

Occorre rilevare in proposito che il ricorso in appello incidentale costituisce mezzo doveroso e necessario, laddove si voglia censurare una espressa statuizione sfavorevole contenuta nella sentenza di primo grado già appellata da altra parte del giudizio (invero, com’è noto, nel sistema processuale vigente l’impugnazione proposta per prima determina la costituzione del rapporto processuale, nel quale devono confluire le impugnazioni di altri soccombenti, ovvero l’impugnazione condizionata della parte vincitrice in primo grado, affinché sia mantenuta l’unità del procedimento e sia reso possibile un simultaneus processus) ed è soggetto ai termini previsti per le impugnazioni (Cons. St., VI, 30 settembre 2008, n. 4699).

Nel processo amministrativo, infatti, l’appello incidentale deve ritenersi rituale, ai fini della sua regolarità quale strumento di impugnazione, ove siano rispettati termini e modalità prescritti dagli art. 37 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 44 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (Consiglio Stato, sez. V, 21 ottobre 1991, n. 1252).

Anche nel processo amministrativo trovano peraltro applicazione gli istituti dell’appello incidentale proprio e dell’appello incidentale autonomo, quest’ultimo caratterizzato dalla contestazione di capi della sentenza gravata diversi da quelli aggrediti con l’appello principale; nel caso in cui contro la stessa sentenza vengano proposti nello stesso processo un appello principale ed uno incidentale non di controimpugnazione, ma contenente doglianze autonome e del tutto indipendenti rispetto al primo, l’appello incidentale è soggetto ai termini ordinarii per l’impugnazione previsti dall’art. 28 della legge TAR (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 661).

In particolare, l’appello incidentale "autonomo", essendo sostenuto da un interesse che non dipende dall’impugnativa principale, deve essere proposto entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza (ovvero trenta giorni nel rito speciale di cui all’art. 23 bis, l. n. 1034/1971) (C. Stato, VI, 11 settembre 1999, n. 1179), ovvero entro sessanta giorni dalla data di notifica dell’appello principale (trenta giorni nel rito speciale di cui all’art. 23 bis, l. n. 1034/1971), se questa sia antecedente alla data di notifica della sentenza di primo grado (C. Stato, VI, 4 dicembre 1984, n. 688).

In ogni caso per la proposizione dell’appello incidentale autonomo deve essere rispettato il termine lungo per l’impugnazione delle sentenze (Cons. St., VI, 23 giugno 2006, n. 417).

Invero, il termine lungo per l’appello costituisce il limite temporale massimo per la proposizione della impugnazione, oltre che principale, anche incidentale autonoma, il quale opera "indipendentemente" dalla notificazione della pronuncia impugnata (peraltro nel caso all’esame nemmeno effettuata) e, quindi, non è suscettibile di superamento, nemmeno quando, alla sua scadenza, non sia ancora maturato il termine breve dalla data di detta notificazione (Cass., 11 luglio 1981, n. 4508; Cass., 16 gennaio 1984, n. 351; Cass., 7 febbraio 1987, n. 1313; C. conti, sez. II, 4 giugno 1996; C. Stato, IV, 18 ottobre 2002, n. 5725).

Sicché ove, in ipotesi, l’appello principale venga notificato l’ultimo giorno utile del termine lungo, ovvero in prossimità dell’ultimo giorno, l’appello incidentale autonomo, che venga notificato dopo la notifica di quello principale, è tardivo.

Nel caso di specie la sentenza è stata pubblicata in data 20 novembre 2003 e, tenuto conto ch’essa non risulta notificata, il termine di un anno per la sua impugnazione, considerato il periodo feriale, scadeva in data 5 gennaio 2005.

Pertanto, le parti portatrici di un interesse autonomo all’impugnazione, non dipendente dall’altrui impugnazione, dovevano tutte notificare il proprio appello entro detta data, non potendosi spostare in avanti tale termine con il meccanismo dell’appello incidentale.

Ne deriva che l’appello di A., notificato in data 26 febbraio 2005, è irricevibile per tardività.

Peraltro, che il mezzo in questione non sia qualificabile come appello incidentale c.d. proprio o subordinato (ossia, conformemente al combinato disposto di cui all’art. 37 del T.U. 1054 del 1924 e di cui all’art. 29 della legge n. 1034 del 1971, quale rimedio incidentale di carattere subordinato volto ad eliminare la soccombenza dell’appellato nei confronti dell’appellante, ponendosi quale strumento geneticamente subordinato rispetto alla proposizione del ricorso principale ed allo scopo principale di paralizzare l’azione ex adverso proposta, per l’ipotesi della sua ritenuta fondatezza in sede di gravame, secondo la logica della c.d. impugnazione condizionata), ma sia piuttosto da ricondursi, sotto il profilo sistematico, alla diversa figura dell’appello incidentale c.d. improprio, non v’è a parere del Collegio dubbio alcuno, atteso ch’esso si caratterizza per non essere rivolto avverso i medesimi capi della sentenza gravati attraverso l’appello principale (ovvero, avverso uno o più capi rispetto ad essi connessi o dipendenti), connotandosi piuttosto per una marcata autonomia tanto nei presupposti (autonomia dell’interesse alla proposizione dell’appello), tanto sotto il profilo funzionale (in particolare quanto alle questioni di giurisdizione e di corretta instaurazione del rapporto processuale con esso poste), in tal modo configurandosi quale conseguenza dell’introduzione, nell’ambito del rito amministrativo, della previsione di cui all’art. 333 c.p.c., nella logica del simultaneus processus (in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, sent. 10 luglio 2007, n. 3886; id., Sez. IV, sent. 31 maggio 2007, n. 2806; id., Sez. VI, sent. 17 aprile 2007, n. 1736; da ultimo, Cons. St., VI, 12 novembre 2008, n. 5649).

Corollario di siffatta impostazione è che (avendo chiaramente la disposizione recata dall’art. 96 del sopravvenuto c.p.a. carattere innovativo, con conseguente sua inapplicabilità ai giudizii instaurati prima della sua entrata in vigore) all’appello incidentale improprio tardivo resta non applicabile, nel processo amministrativo, l’art. 334 c.p.c., rappresentando esso uno strumento per contrastare l’impugnativa avversaria e non già un mezzo per far valere un diverso interesse (Cons. St., VI, 17 aprile 2007, n. 1736).

In definitiva, dunque, come già s’è visto, l’appello incidentale dev’essere dichiarato irricevibile.

4. – Passando ora al mérito dell’appello principale, viene anzitutto in considerazione il primo motivo, con il quale gli appellanti principali lamentano che il T.A.R., pur avendo presupposto, ai fini della disamina ed accoglimento della domanda di risarcimento proposta, l’intervenuto trasferimento della proprietà dell’area dei ricorrenti in favore dell’A. a séguito dell’irreversibile trasformazione del bene effettuata per la realizzazione dell’opera pubblica, abbia poi omesso nel dispositivo della sentenza di esplicitare detto accertamento e dunque di dichiarare espressamente il trasferimento della proprietà dell’immobile, come pure era stato richiesto con il ricorso di primo grado.

Rileva sul punto preliminarmente il Collegio che non v’è dubbio che la sentenza impugnata, recante la sola "condanna… al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dai ricorrenti in conseguenza dell’occupazione appropriativa delle aree già di proprietà dei predetti", non è idonea, nella sua concreta formulazione, ad operare il trasferimento, pur dalla stessa indubbiamente presupposto, del diritto di proprietà dei beni immobili di cui si tratta, tanto meno ai fini della trascrizione nei registri immobiliari, sì che hanno buon gioco gli appellanti principali a replicare alle avverse deduzioni dell’appellata (la quale eccepisce in proposito che il T.A.R. ha implicitamente accolto la domanda di cui si tratta e pertanto la stessa deve ritenersi idonea ad essere trascritta quale pronuncia giudiziale dichiarativa dell’intervenuto trasferimento del diritto) che "la sentenza di primo grado… nulla dispone esplicitamente sul punto, cosicché ci si trova di fronte ad un titolo affatto generico, inidoneo, appunto, alla trascrizione", che non è possibile effettuare (e su questo il Collegio concorda pienamente) "estrapolando la pronuncia di trasferimento della proprietà dalla motivazione della sentenza".

Ciò posto, valga notare che, nel mérito della pretesa risarcitoria fatta valere con il ricorso introduttivo (accolta dal Giudice di primo grado con statuizione passata in giudicato), il T.A.R. ha riconosciuto il risarcimento del danno dopo aver qualificato la fattispecie verificatasi come accessione invertita (o "appropriativa"), sulla base del noto principio giurisprudenziale pretorio, secondo cui l’irreversibile trasformazione del fondo conseguente alla realizzata opera pubblica genera "ex se", pur in assenza di un atto ablatorio, l’acquisto a titolo originario in favore della P.A. della proprietà altrui (c.d. occupazione acquisitiva, se fondata su una dichiarazione di p.u.); pur essendo stata, peraltro, la ricordata ricostruzione sottoposta a riesame dall’orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato (v., per tutte, la decisione 21/5/2007, n. 2582 di questa Sezione, che è pervenuta a conclusioni diverse alla luce dei principi comunitarii, della giurisprudenza della CEDU e del dettato dell’art. 43 del D.P.R. 8/6/2001, n. 327, peraltro ormai cassato dall’ordinamento con effetto su tutti i rapporti non esauriti con sentenza della Corte costituzionale n. 293/2010), in assenza di rituale gravame della sentenza in ordine all’intervenuta perdita del diritto di proprietà dei privati (affermata dal T.A.R. quale presupposto cardine del diritto al risarcimento del danno innanzi ad esso rivendicato e dallo stesso riconosciuto), questo Giudice di appello, in ossequio al giudicato interno formatosi sulla questione, non può che assumere anch’esso, come presupposto rilevante ai fini dell’accertamento del controverso diritto al risarcimento del danno, la accessione invertita data per verificatasi dal Giudice di primo grado e non posta dalle parti validamente in discussione.

Il giudicato interno formatosi sul punto anzidetto vale indubbiamente a ricondurre l’effetto traslativo della proprietà, di cui qui si chiede l’espressa declaratoria, alla fattispecie della occupazione c.d. "appropriativa" od "acquisitiva", idonea, secondo la giurisprudenza seguita dal Giudice di primo grado, a determinare un fatto estintivoacquisitivo della proprietà a favore della Pubblica Amministrazione per c.d. "accessione invertita", allorché si sia verificata l’irreversibile trasformazione dell’area.

In forza, pertanto, del predetto vincolo del giudicato interno ed in mancanza di pronuncia da parte del T.A.R. in ordine al pur richiesto (con il ricorso introduttivo) accertamento dell’intervenuto trasferimento del diritto di proprietà, non può il Collegio che dichiarare, in accoglimento della domanda all’uopo riproposta in appello, l’intervenuta acquisizione, da parte dell’A., dell’area de qua già di proprietà degli odierni appellanti principali (terreno sito in Comune di Vigonza – frazione Busa, censito al N.C.T. fg. 21 mapp. 138 ha. 1.60.40), in dipendenza della irreversibile destinazione del suolo ad opera pubblica, con effetto, conformemente a quanto ormai inoppugnabilmente statuito sul punto dal T.A.R., dal 6 giugno 1997 ("data di scadenza… dell’ultimo decreto di occupazione valido emesso dal Prefetto di Padova": pag. 13 sent.).

In tali termini, pertanto, la domanda svolta col primo motivo di appello va accolta.

5. – Quanto, invece, alla proposta domanda risarcitoria per il periodo di utilizzazione senza titolo (pure proposta con il ricorso originario sub specie di "risarcimento del danno per illegittima occupazione del bene" ed in tal senso riproposta in appello con la specificazione che trattasi dell’illegittima occupazione "per il periodo che va dall’immissione dell’Amministrazione nel possesso del bene stesso – 21/9/1990 – alla definitiva acquisizione del bene medesimo all’opera pubblica – 6/6/1997", a séguito dell’omessa pronuncia sul punto da parte del T.A.R.), la stessa, relativa come s’è visto al periodo che va dall’immissione dell’Amministrazione nel possesso del bene a quello di definitiva acquisizione così come incontestatamente ed ormai incontestabilmente accertata dal T.A.R., va respinta, dal momento che in tale periodo, come statuito dallo stesso T.A.R. senza che sul punto la sentenza sia stata fatta oggetto d’appello, l’occupazione era "legittima", in quanto "effettuata in base ad apposito provvedimento amministrativo" (pag. 13 sent.), che, vale qui aggiungere, non risulta annullato nel pregresso contenzioso intercorso tra le parti, così come non risulta annullata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera posta a monte di detto provvedimento, essendo in proposito pacifico che, nel caso di occupazione d’urgenza di un suolo per l’esecuzione di opera pubblica, la mancata emissione nei termini del decreto di esproprio non vale a far considerare illegittima ab origine l’occupazione, poichè tutto quanto si produce nel periodo di occupazione autorizzata ha, per definizione, carattere di legittimità ed è improduttivo di danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre soltanto a partire dal momento in cui termina l’occupazione legittima può concettualmente realizzarsi l’illecito aquiliano (v., e plurimis, sentt. nn. 12520, 10344, 4913 del 1995, 11796/1993, 7858/1997, 4723/1997, 4985/1998; da ultimo, Cass. Civ., sez. I, 11 febbraio 2008, n. 3189).

Ne consegue che in tale periodo nessuna condotta illecita, lesiva del diritto di godimento dei suoli di proprietà degli odierni appellanti principali, ha posto in essere l’Amministrazione, ponendosi semmai, per detto periodo, la questione dell’indennizzo dovuto per la condotta legittima di controparte, ch’è peraltro estranea alla pretesa fatta valere nel presente giudizio ed in ordine alla quale vale peraltro incidentalmente ricordare che sussiste al riguardo, pacificamente, la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 34, comma 3, lett. b), del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (v., oggi, l’art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a.).

6. – Quanto, infine, alla censura, formulata con il terzo motivo di appello, relativa alla parziale compensazione delle spese ed alla loro liquidazione "per un ammontare irrisorio" operata dalla sentenza impugnata, essa va dichiarata inammissibile per carenza di interesse, alla stregua della riforma della decisione impugnata che consegue al parziale accoglimento dell’appello nei termini di cui sopra.

Invero, anche nel processo amministrativo il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (Cass. Civ., sez. III, 11 giugno 2008, n. 15483); mentre solo in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata, ove il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., 07/01/2004, n. 58).

Nel caso, dunque, che appunto ricorre nella fattispecie all’esame, di accoglimento, anche solo parziale, dell’impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado, al giudice di appello è demandata la decisione delle spese dell’intero giudizio, con conseguente inammissibilità per carenza di interesse della censura proposta avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui ha statuito sulle spese.

7. – L’appello principale, in definitiva, va accolto in parte, nei sensi e nei limiti di cui sopra, mentre l’appello incidentale dev’essere dichiarato irricevibile.

La liquidazione delle spese processuali del doppio grado segue il principio della soccombenza, che, identificata alla stregua del principio di causalità sul quale si fonda il processo e stabilita in base ad un criterio unitario e globale, essendo parziale, ne consente la compensazione nella misura di un terzo.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:

– dichiara irricevibile l’appello incidentale;

– accoglie l’appello principale nei limiti di cui in motivazione;

– per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accerta l’intervenuta acquisizione in proprietà, da parte dell’A., del terreno, già di proprietà dei sigg.ri A.A. (nato a Vigonza il omissis), A.F. (nata a Vigonza il omissis) e N.M. (nata a Vigonza il omissis), sito in Comune di Vigonza – frazione Busa, censito al N.C.T. fg. 21 mapp. 138 ha. 1.60.40, in dipendenza della irreversibile destinazione del suolo ad opera pubblica, con effetto dal 6 giugno 1997, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna le appellate A. e C. S.c. a r.l. in solido alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore degli appellanti principali, liquidandole, previa compensazione nella misura di 1/3, in Euro 14.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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