Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-03-2011, n. 5119 Collegi e ordini professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con decisione n. 45/2009, depositata il 12.2.2010, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha respinto il ricorso di S.E. avverso la deliberazione del 14.3- 2.4.2008 con la quale il "Collegio degli infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia" della provincia di Brescia, a conclusione del procedimento disciplinare iniziato in suo confronto il 14.1.2008, le aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi, avendola ritenuta responsabile dei seguenti addebiti: a) aver favorito l’esercizio abusivo di professione infermieristica mediante utilizzo di personale straniero non inscritto all’albo degli infermieri; b) aver gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche; c) aver esercitato un’attività di gestione ed intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti.

2.- Avverso la decisione ricorre per cassazione la S., affidandosi a sei motivi.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1.- Col secondo motivo sono dedotte nullità del procedimento e della decisione per violazione, tra le altre disposizioni, del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, comma 2, lett. a e art. 47 e art. 24 Cost., nonchè per assoluto difetto di motivazione.

Vi si sostiene che col ricorso alla Commissione centrale la ricorrente s’era doluta, tra l’altro, della genericità del addebiti, per difetto, oltre che dell’indicazione delle norme violate, della descrizione del fatto, dell’individuazione dei soggetti coinvolti, delle modalità attuative dei comportamenti addebitati, dei luoghi e dei tempi degli stessi, nonchè di qualsiasi altra circostanza idonea all’individuazione materiale del fatto ascritto, sicchè l’attività difensiva era risultata irrimediabilmente pregiudicata.

E si rappresenta che la doglianza era stata respinta dalla Commissione centrale con un niente affatto pertinente richiamo alla possibilità di integrare l’incolpazione nella prima seduta del giudizio, perchè tanto non era mai accaduto, nè la Commissione centrale aveva d’altronde affermato che il capo di incolpazione fosse stato, nella specie, riformulato o integrato.

Col quarto motivo si sostiene, anzi, che la ricorrente non aveva mai reso dichiarazioni e che non era mai stata direttamente interrogata sui fatti oggetto dell’incolpazione.

2.- Il motivo è fondato ed è assorbente delle altre censure.

La Commissione centrale ha rigettato il motivo di gravame non già perchè gli addebiti erano stati precisati nel corso del procedimento e non si erano verificate lesioni del diritto di difesa, ma perchè, quando ciò avviene, il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, può dirsi rispettato (così inequivocamente risulta dal secondo, terzo e quarto capoverso di pagina 5 della decisione impugnata).

Con sentenza 2.2.2010, n. 2364, pronunciata in un caso sostanzialmente identico, questa corte ha rilevato che "l’accusa di avere costituito e gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche, nonchè, di avere esercitato una attività di gestione ed intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti, è criptica e generica: essa, invero, lungi dal descrivere, in concreto, le condotte ascritte all’incolpato, è espressiva di qualificazioni e valutazioni la cui congruenza, in mancanza di una sufficiente esplicitazione della base fattuale, neppure è possibile indagare. Mette conto all’uopo evidenziare che la puntualità della contestazione non è solo funzionale all’esplicazione del diritto di difesa dell’incolpato. In realtà, c’è un’esigenza di trasparenza dell’azione disciplinare, che rende potenzialmente irrilevante la stessa consapevolezza che l’accusato abbia avuto delle condotte, in tesi deontologicamente scorrette, alle quali alluda la contestazione. Tale esigenza, enucleabile dai principi generali dell’ordinamento, a cominciare dall’art. 111 Cost., …, è assolutamente irrinunciabile a sol considerare che, in assenza di una enucleazione oggettivamente chiara dei fatti per cui si procede, riesce praticamente impossibile il controllo giurisdizionale della decisione dell’organo disciplinare, attivabile in base al già richiamato art. 101: controllo comprensivo, come è noto, della violazione e falsa applicazione di norme giuridiche, ma esteso anche alla motivazione, tutte le volte che se ne assuma l’inesistenza, la mera apparenza o l’insanabile contraddittorietà".

Ha per questo ritenuto il procedimento viziato in modo inemendabile sin dal suo avvio, cassando senza rinvio sia la decisione della Commissione centrale sia quella della commissione disciplinare.

3.- A tale decisione il Collegio ritiene di doversi, per le stesse ragioni, allineare.

Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la decisione della Commissione centrale e quella della commissione disciplinare e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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