Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-01-2011, n. 621 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società S. S.r.l. ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto, riuniti una serie di ricorsi proposti dalla medesima società avverso gli atti di una procedura espropriativa proposta dal Comune di Portogruaro su un’area in sua proprietà, li ha respinti.

A sostegno dell’impugnazione, la appellante ha dedotto:

1) contraddittorietà della parte motiva ed errata applicazione delle norme giuridiche (con riferimento all’affermazione secondo cui era validamente intervenuta l’accettazione da parte dell’odierna istante dell’indennità di espropriazione determinata ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327);

2) error in judicando quanto al primo motivo; violazione di legge per violazione dell’art. 16, comma 4, della legge 11 febbraio 1994, nr. 109, e del giusto procedimento (in relazione alla lamentata incompletezza del progetto definitivo dell’opera ed alla asserita violazione delle garanzie partecipative dell’esproprianda);

3) error in judicando quanto al secondo motivo di ricorso; violazione di legge per violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e s.m.i., nonché eccesso di potere per travisamento di fatto, motivazione insufficiente, contraddittorietà tra atti e ingiustizia manifesta (con riferimento alla reiezione delle doglianze relative alla localizzazione dell’intervento);

4) erroneità; illogicità della motivazione quanto al terzo motivo; violazione di legge per violazione dell’art. 1 del r.d.l. 2 febbraio 1939, nr. 302, come sostituito dall’art. 1 della legge 2 aprile 1968, nr. 526, nonché eccesso di potere per travisamento di fatto e carente motivazione; contraddittorietà della gravata sentenza (con riferimento alla reiezione della censura relativa alla mancata acquisizione del parere del C.O.N.I.).

Si è costituito il Comune di Portogruaro, il quale ha analiticamente replicato ai motivi di appello, assumendone l’infondatezza e reiterando altresì l’eccezione di improcedibilità di tutti i ricorsi proposti dalla società appellante.

Alla camera di consiglio del 6 ottobre 2009, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

All’udienza dell’11 gennaio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. La società S. S.r.l. è proprietaria di un vasto terreno sito nel Comune di Portogruaro, interessato da una procedura espropriativa promossa dall’Amministrazione comunale per la realizzazione di un campo sportivo e di un nuovo tratto della Strada Statale nr. 14 della Venezia Giulia.

La predetta società ha proposto una pluralità di ricorsi, con i quali ha impugnato i vari atti del procedimento susseguitisi nel corso del tempo, e che sono stati riuniti e tutti respinti dal T.A.R. del Veneto con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione.

2. In detta sentenza, il primo giudice ha fra l’altro ritenuto che l’intervenuta accettazione dell’indennità di esproprio come determinata in sede peritale da parte della società istante – sui cui effetti è incentrato il primo motivo dell’appello oggi in esame – non comportasse né la cessazione della materia del contendere né l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dei ricorsi proposti dalla società medesima, non potendo la predetta accettazione essere intesa quale implicita rinuncia alle impugnative.

La questione è oggi riproposta dall’Amministrazione con la memoria di costituzione, ma evidentemente non può essere riesaminata nel presente grado di appello: infatti, essendosi espressamente pronunciato su di essa il T.A.R. nei sensi appena precisati, l’ipotizzata cessazione della materia del contendere o improcedibilità avrebbe dovuto formare oggetto di appello incidentale da parte del Comune, in mancanza di che sul tema si è formato il giudicato.

3. Tanto premesso, l’appello della S. S.r.l. è però infondato e va conseguentemente respinto.

4. Con il primo mezzo, come detto, la appellante contesta le statuizioni del giudice di prime cure in ordine alla determinazione dell’indennità di esproprio, avvenuta su richiesta della stessa società esproprianda ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327.

4.1. In particolare, l’importo dell’indennità stabilito dal collegio peritale nominato ai sensi della norma testé citata è stato comunicato dal Comune all’interessata con apposita raccomandata, a norma dell’art. 20 del medesimo d.P.R. nr. 327 del 2001; a tale nota, la S. S.r.l. ha dato riscontro con propria missiva nella quale, pur esprimendo riserve in ordine alla stima fatta dai periti, al fine di "definire compiutamente la vertenza" ha dichiarato di accettare tale stima, subordinando però tale accettazione a che anche il Comune la condividesse.

Tale volontà è stata poi ribadita con successive comunicazioni, con le quali la società ha sollecitato il Comune a far pervenire il proprio avviso, senza però ricevere risposta; si è giunti così all’ultima missiva – datata 24 settembre 2008 – con la quale, prendendo atto del silenzio dell’Amministrazione, l’esproprianda si è detta "affrancata dal contenuto estimatorio indicato nella perizia di stima": tale nota è però pervenuta al Comune allorché era già stata avviata la procedura per la materiale erogazione dell’indennità, ai sensi del comma 12 del precitato art. 21.

4.2. Ciò premesso, l’odierna appellante assume l’erroneità delle conclusioni raggiunte dal primo giudice, il quale ha ritenuto validamente formatosi l’accordo in ordine all’indennità per effetto dell’accettazione comunicata dalla società esproprianda, ed ha considerato tamquam non esset la condizione cui tale accettazione era stata subordinata, in quanto estranea al meccanismo legale di formazione del consensus in idem placitum come "scolpito" dalla norma sopra citata.

Più specificamente, parte appellante invoca la disciplina generale degli accordi tra amministrazione e privati di cui all’art. 11 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, per negare cittadinanza a qualsiasi interpretazione che escluda la possibilità di apporre condizioni alle manifestazioni di volontà negoziale espresse durante il processo di formazione di detti accordi.

4.3. Tuttavia, gli argomenti così svolti non convincono il Collegio.

Ed invero, è affermazione diffusa in dottrina di giurisprudenza, e costituisce dato di comune esperienza nella pratica degli accordi stipulati ai sensi del citato art. 11, che proprio la circostanza che questi, al di là della loro veste privatistica, coinvolgano interessi pubblici autorizza il legislatore a prevedere "deviazioni" dal comune modello civilistico incentrato sull’autonomia negoziale.

Nel caso specifico della determinazione dell’indennità di espropriazione ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. nr. 327 del 2001, è evidente che il legislatore ha dettato una disciplina che scandisce in modo rigoroso le tappe del processo formativo del consenso inter partes, al fine di conferire celerità e chiarezza ad una fase negoziale che si inserisce all’interno di una procedura preordinata alla realizzazione di un interesse pubblico (ablazione della proprietà per la realizzazione di opere di interesse collettivo).

In particolare, il comma 10 del ridetto art. 21 dispone che l’autorità espropriante, una volta che è pervenuta la stima dell’indennità compiuta dal collegio peritale, ne dia notizia al privato espropriando a mezzo raccomandata; il successivo comma 12, disciplinando l’ipotesi di accettazione espressa dell’indennità da parte del privato, prevede chiaramente che questa autorizza l’Amministrazione a procedere immediatamente al pagamento, senza alcuno spazio per condizioni o subordinate di qualsiasi tipo.

In sostanza, all’esito del meccanismo ex art. 21 l’espropriando ha due sole alternative: o accetta in maniera espressa l’indennità ovvero, qualora non la condivida, deve agire in sede contenziosa dinanzi al giudice ordinario (cui spetta, come noto, la cognizione delle controversie in materia di determinazione dell’indennizzo).

Con riguardo al caso di specie, tra l’altro, la società esproprianda, nel comunicare al Comune la propria accettazione dell’importo dell’indennità, la aveva subordinata alla "condivisione" di essa da parte del Comune medesimo: ma tale condivisione era già implicita nel fatto stesso che l’Amministrazione avesse proceduto alla comunicazione di cui al comma 10 dell’art. 21, essendo evidente che tale adempimento presuppone l’accettazione dell’importo fissato dai periti (mentre, laddove l’autorità espropriante non si ritenga invece appagata da esso, potrà a sua volta agire in via giudiziale, ovvero in casi estremi addirittura abbandonare la procedura espropriativa).

4.4. Se tale è la portata del meccanismo di formazione del consenso sull’indennità disciplinato dal citato art. 21, ne discende che non possono condividersi le ulteriori affermazioni del primo giudice laddove, sia pure con un obiter dictum (su cui però l’odierna appellante ha sviluppato molta parte delle proprie censure), aggiunge che sarebbe stato onere dell’esproprianda, a fronte dell’inerzia serbata dal Comune sulle sue reiterate richieste, esperire i rimedi processuali avverso il silenzioinadempimento della p.a.

Infatti, una volta ribadito che la condizione apposta all’accettazione espressa dell’indennità era del tutto priva di effetti, non può non discenderne che alcun obbligo il Comune aveva di esprimersi su di essa (di tal che un eventuale ricorso avverso il silenzio sarebbe stato palesemente inammissibile).

5. Va respinto anche il secondo mezzo, col quale parte appellante reitera la doglianza articolata in primo grado per asserita violazione dell’art. 16 della legge 11 febbraio 1994, nr. 109, che disciplina in dettaglio il contenuto del progetto preliminare di un’opera pubblica, nonché per violazione dell’art. 7 della legge nr. 241 del 1990.

5.1. Al riguardo, nell’appello ci si limita a riprodurre gli argomenti già spesi nel ricorso introduttivo, senza addurre alcun elemento idoneo a confutare quanto rilevato dal primo giudice, che ha ritenuto generica ed esplorativa la censura, in quanto non supportata dalla minima allegazione su quanti e quali sarebbero stati gli atti o gli elaborati nella specie carenti, rispetto alla previsione di legge.

In particolare, è evidente che l’incompletezza del progetto definitivo non può desumersi né dalla circostanza che in esso l’ubicazione dell’opera sia stata modificata rispetto alla progettazione preliminare (fermo restando il suo ricadere nel lotto in proprietà della società appellante) né tanto meno dall’impiego nella delibera approvativa dell’avverbio "sostanzialmente", per attestare la rispondenza del progetto approvato alle previsioni di legge.

5.2. Quanto alla subcensura relativa alla pretesa violazione delle garanzie partecipative, anch’essa svolta con sostanziale pedissequa riproduzione del corrispondente motivo di primo grado, è sufficiente rilevare – come già fatto dal primo giudice – che tale violazione non vi è stata, atteso che è incontestato che il vincolo espropriativo era già gravante sull’area de qua per effetto della vigente variante generale al P.R.G., e che l’avvio del procedimento di esproprio fu comunicato in data 14 aprile 2006, all’esito dell’approvazione del progetto definitivo dell’intervento comportante dichiarazione della pubblica utilità dell’opera.

Inoltre, il fatto stesso che l’odierna appellante con ben cinque ricorsi abbia di volta in volta impugnato in sede giurisdizionale i vari atti della procedura susseguitisi nel corso del tempo dimostra che essa fu posta in condizione di conoscere ogni singolo passaggio della procedura medesima, e che l’eventuale carenza di apporto partecipativo alla stessa è semmai da ascrivere a scelta consapevole della stessa esproprianda.

6. Va disatteso anche il terzo motivo di appello, con cui sono riproposte le doglianze formulate in primo grado in ordine alla localizzazione del campo sportivo per cui è causa (e, segnatamente, alla logicità e ragionevolezza delle ragioni addotte a sostegno dello spostamento di tale ubicazione tra la fase della progettazione preliminare e quella del progetto definitivo).

Al riguardo, è sufficiente rilevare che le predette doglianze impingono il merito delle scelte tecnicodiscrezionali dell’Amministrazione in ordine alla localizzazione dell’opera, e che nella specie non si rinvengono quei profili di macroscopica irragionevolezza alla cui sussistenza è subordinata, per costante giurisprudenza, l’ammissibilità di un sindacato giurisdizionale su tale amplissima discrezionalità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2008, nr. 2247; id., 31 luglio 2007, nr. 4051).

7. Con l’ultimo motivo, la appellante denuncia l’erroneità degli argomenti sulla base dei quali il primo giudice ha ritenuto non viziante la mancata acquisizione del parere del C.O.N.I. previsto dall’art. 1 del r.d.l. 2 febbraio 1939, nr. 302, come modificato dall’art. 1 della legge 2 aprile 1968, nr. 526.

7.1. Detta norma, oggi integralmente abrogata, era ancora parzialmente in vigore all’epoca di adozione degli atti impugnati nel presente giudizio, essendo intervenuto l’art. 58, comma 1, nr. 61, del d.P.R. nr. 327 del 2001, che la aveva abrogata solo "limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione".

Di conseguenza, il primo giudice ha per un verso ritenuto pacificamente non più in vigore i commi 2 e 3 della norma (che disciplinavano specificamente l’incidenza del parere del C.O.N.I. nelle procedure espropriative), ma per altro verso ha preso atto della persistente necessità del parere in questione; ciò premesso, ha però ritenuto di "innestare" a livello interpretativo la previsione sulla più moderna disciplina in materia di opere pubbliche, che è basata sulla distinzione (sconosciuta all’epoca dell’emanazione del r.d.l. nr. 302 del 1939) tra progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo, concludendo che il predetto parere debba intervenire solo in occasione del progetto esecutivo, di modo che la sua carenza non determina l’illegittimità dei precedenti livelli di progettazione.

7.2. Tutto ciò premesso, e a fronte degli argomenti con i quali parte appellante critica le conclusioni del T.A.R. e ribadisce che il parere de quo avrebbe dovuto invece precedere il progetto definitivo, non possono condividersi gli argomenti in contrario svolti dall’Amministrazione secondo cui:

a) la previsione in oggetto non si applicherebbe alla fattispecie, trattandosi di un campo sportivo aperto alla fruizione della collettività e non di un impianto destinato a competizioni agonistiche;

b) in ogni caso, l’accoglimento della censura non porterebbe alcuna utilità alla appellante, atteso che – come detto – l’art. 1 del r.d.l. nr. 302 del 1939 è oggi totalmente abrogato.

Sotto il primo profilo, è sufficiente rilevare che la disposizione testé richiamata richiedeva il parere del C.O.N.I. per tutti i progetti, pubblici o privati, aventi a oggetto "campi sportivi", senza distinguere affatto fra quelli amatoriali e quelli destinati ad attività agonistica; ne discende l’inconferenza della normativa tecnica regolamentare in materia di "impianti sportivi" richiamata dal Comune.

Quanto al secondo argomento, esso si scontra con il principio tempus regit actum, in ragione del quale la legittimità di un provvedimento va valutata con riferimento alla situazione di diritto esistente al momento della sua adozione, senza che alcun rilievo possano avere le modifiche normative medio tempore intervenute.

7.3. Al di là di tali rilievi, e ferma restando dunque la necessità all’epoca del parere del C.O.N.I., la Sezione reputa di poter condividere l’interpretazione del dato normativo proposta dal giudice di prime cure.

Ed invero, premessa l’indubbia infelicità e l’oggettiva difficoltà d’interpretazione della disposizione di abrogazione parziale di cui al richiamato art. 58, comma 1, nr. 61, del d.P.R. nr. 327 del 2001, se un dato certo può trarsi dalla sua formulazione testuale ("limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione") questo certamente consiste nell’evidente intento del legislatore di escludere che il parere de quo condizionasse in qualsiasi modo la legittimità delle procedure espropriative.

Ne discende che può essere condivisa la lettura del T.A.R. del Veneto il quale, collocando il parere del C.O.N.I. al momento della progettazione esecutiva, lo pone a valle della procedura di esproprio, con soluzione effettivamente idonea a realizzare la sopra evidenziata volontà legislativa.

8. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di integrale reiezione del gravame, con la conferma della sentenza impugnata.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la appellante al pagamento, in favore del Comune di Portogruaro, delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in euro 3000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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