Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 01-02-2011, n. 3638 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Campobasso proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa il 19 novembre 2009 dal G.U.P. presso il Tribunale di Larino con la quale, su concorde richiesta delle parti, il procedimento a carico di D.M. veniva definito mediante applicazione della pena finale di Euro 6.840 di multa, in sostituzione di mesi 6 di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81 e 112 c.p., D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis; art. 434 c.p.;

art. 483 c.p.; art. 640 c.p., commi 1 e 2.

Con il primo motivo il ricorrente denunciava la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), premettendo che l’originaria imputazione riguardava anche il reato di associazione per delinquere aggravata dal numero degli associati superiori a dieci e quello di gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi, connotati dalla presenza di arsenico e solfuri, in parte smaltiti mediante interramento in aree coltivate o interessate dalla presenza di falde acquifere tanto, che era stato contestato anche il reato sanzionato dall’art. 434 c.p..

Con il secondo motivo lamentava, inoltre, la errata applicazione dell’art. 444 c.p.p., comma 2, per avere il G.I.P. ritenuto acriticamente corretta la qualificazione dei fatti prospettata dalle parti, ritenendo più grave il reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, – ormai abrogato e sostituito, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, dall’art. 260, del medesimo decreto – pur in presenza di altri reati particolarmente gravi quali il disastro, la truffa aggravata ed il falso.

Denunciava, altresì, che mancava ogni esplicitazione, da parte del G.I.P., sulle ragioni che avevano indotto alla concessione delle attenuanti generiche e l’omissione del necessario giudizio di comparazione tra dette attenuanti e l’aggravante del fatto commesso da più di cinque persone, contestata per il reato ritenuto più grave, della quale non si era tenuto conto.

Veniva inoltre ritenuta errata l’applicazione dell’art. 81 c.p., per avere il giudice omesso l’indicazione dei singoli aumenti di pena, applicando, poi, l’aumento di un mese di reclusione e determinando così una pena del tutto incongrua rispetto alla gravita dei fatti.

Con il terzo motivo denunciava la violazione, per erronea applicazione, della L. n. 689 del 1981, art. 53, perchè, nel determinarsi a sostituire la pena detentiva, il G.I.P. non aveva tenuto conto della gravita dei fatti contestati e non aveva motivato sul punto.

Concludeva pertanto per l’annullamento della sentenza impugnata.

In data 3 dicembre 2010, la difesa del D. depositava una memoria difensiva e di replica nella quale chiedeva la reiezione del ricorso del Procuratore Generale, assumendo che la modifica dell’imputazione era stata effettuata dal Pubblico Ministero autonomamente e senza preventivo accordo sul reato, come dimostrato dalla scansione temporale risultante dal verbale di udienza e trovava giustificazione nel contenuto dell’ordinanza applicativa di misura cautelare, dove il G.I.P. riteneva assorbito il reato associativo in quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

Aggiungeva, infine, che la pena applicata era congrua ed era stata coerentemente ratificata dal G.U.P..
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Va in primo luogo osservato che correttamente il ricorso evidenzia l’erroneo riferimento, relativamente al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, all’ormai abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis.

Tale riferimento, tuttavia, è irrilevante.

Invero, il D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 264, ha espressamente abrogato, unitamente ad altre disposizioni, l’intero D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in precedenza destinato alla disciplina dei rifiuti.

Il menzionato delitto è ora disciplinato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, il cui contenuto è identico a quello della disposizione abrogata.

Deve dunque concludersi, come peraltro già è avvenuto (Sez. 3^ n. 9794, 8 marzo 2007), che tra il disposto dei due articoli sussiste continuità normativa.

Tale assunto trova peraltro conferma non solo nell’identità di contenuto dei due articoli, ma anche nel disposto del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 264, comma 1, lett. i) laddove il legislatore espressamente afferma l’intento di "(…) assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta" e, a tale proposito, dispone che i provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, continuino ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006.

Indipendentemente dall’errato richiamo alla disposizione abrogata, merita tuttavia attenzione la denunciata riformulazione in udienza dell’originaria imputazione mediante riconduzione, nell’unico capo riguardante il menzionato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, dei fatti originariamente riferiti non solo al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ma anche a quelli di associazione per delinquere aggravata e illecita gestione di rifiuti.

Il Pubblico Ministero aveva infatti esercitato l’azione penale, mediante richiesta di rinvio a giudizio, con riferimento ai reati indicati nell’originaria imputazione, poi modificata nel corso dell’udienza preliminare, come indicato in sentenza, considerando i capi A), B) e C) come un unico capo (denominato capo A)) riferito alla sola ipotesi delittuosa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis.

Tale modifica dell’imputazione non sarebbe ammissibile allorquando si risolva in un accordo sui reati e non sulla pena che la legge non consente (v. Sez. 4^ n. 10692, 18 marzo 2010) ma ciò, nella fattispecie, non è avvenuto, avendo comunque il Pubblico Ministero contestato tutti i fatti originariamente ipotizzati inglobandoli, successivamente, in un’unica imputazione.

La riformulazione dell’originaria imputazione con le modalità in precedenza descritte è pertanto frutto di un patto tra le parti che, non risolvendosi in un accordo sui reati, è invece il risultato di una diversa qualificazione dei fatti contestati che vede concordi le parti stesse sottoposto al vaglio critico del giudice che lo ha recepito.

Ciò posto, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha precisato che "in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità" (Sez. 4^ n. 10692,18 marzo 2010).

Ed ancora: "è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti della sentenza di patteggiamento e diretto a far valere asseriti vizi afferenti a questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poichè l’accusa, come giuridicamente formulata, non può essere rimessa in discussione, in quanto l’applicazione concordata della pena presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato". (Sez. 5^. n. 21287,4 giugno 2010. Conforme, sez. 2^ n. 5420,14 gennaio 2009).

Inoltre, non assume rilievo la mancata indicazione in sentenza degli aumenti imputabili a ciascuno dei reati unificati sotto il vincolo della continuazione (cfr. Sez. 1^ n. 17815, 5 maggio 2008) e la mancanza di indicazioni in merito al giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche concesse e l’aggravante contestata, essendo la mera affermazione della congruità della pena sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione (v. Sez. 3^ n. 42910,11 novembre 2009; Sez. 5^ n. 4715,10 novembre 1999).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *