Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 01-02-2011, n. 3633 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Treviso, in data 17/10/09, ha reso decreto penale di condanna nei confronti di C.G., in ordine ai reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), e comma 2, perchè quale legale rappresentante della s.r.l.

"Centro Commerciale", in difetto della prescritta autorizzazione, effettuava attività di trasporto rifiuti non pericolosi; del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), perchè nella indicata qualità, in assenza di qualsiasi autorizzazione, effettuava lavori costituiti da scarifica dello stato vegetale, con asporto di terreno; del reato di cui all’art. 734 c.p., perchè distruggeva o alterava le bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione da parte dell’Autorità, determinando la pena in Euro 17.420,00 di ammenda; ha ordinato il dissequestro dell’area interessata al deposito, subordinatamente a idoneo smaltimento del materiale ivi stoccato e alla bonifica del sito interessato. Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi: – illegittimità ed irritualità del decreto penale di condanna per violazione dell’art. 323 c.p.p., in quanto non sussistendo gli estremi di legge per disporre la confisca, ovvero la conversione in sequestro conservativo, il decidente ha disposto la permanenza del sequestro prevenivo sino allo smaltimento dei rifiuti presenti nell’area in questione, così esercitando un potere non attribuitogli ex lege;

– violazione dell’art. 323 c.p.p., commi 3 e 4, in relazione agli artt. 25 e 97 Cost., nonchè al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 192 e 256, in quanto il giudice penale ha esercitato un potere riservato ai giudici amministrativi, e perchè, in ogni caso, il potere di ordinare lo smaltimento dei materiali si appartiene alla competenza esclusiva della autorità amministrativa;

– violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 239 e 240, in relazione agli artt. 25 e 97 Cost.; Il Procuratore Generale presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta nella quale conclude per la inammissibilità del ricorso.

Il difensore del C. ha inoltrato in atti memoria nella quale specifica ulteriormente le ragioni poste a sostegno del ricorso e insiste per l’accoglimento di esso.
Motivi della decisione

Preliminarmente necessita esaminare se possa considerarsi abnorme il provvedimento impugnato, e ciò al fine di ritenere o meno correttamente proposto il ricorso.

Orbene, è opportuno osservare che la difesa del C. non ha esperito la rituale opposizione a decreto penale, ex art. 461 c.p.p., ma ha volutamente, esplicitando le ragioni a sostegno di questa sua scelta, censurato il decreto penale de quo in punto di abnormità di tal provvedimento nella parte in cui subordina il dissequestro del terreno alla rimessione in pristino dello stesso.

Rilevasi che il Gip presso il Tribunale di Treviso, senza alcun dubbio, ha errato nel condizionare il dissequestro dell’area interessata al deposito allo smaltimento del materiale ivi stoccato e alla bonifica della area medesima, visto che nel caso di sequestro preventivo, ex art. 323 c.p.p., il giudice che pronuncia la sentenza di condanna deve ordinare la restituzione delle cose sequestrate, a meno che non ne disponga la confisca o che, sempre su apposita istanza della parte legittimata, decida di mantenere il sequestro ai fini di garanzia conservativa.

Quindi, la restituzione è atto dovuto e incondizionato, sul presupposto che sono tipicamente venute a mancare le esigenze che legittimano il mantenimento della misura cautelare reale, salva la possibilità di convenire il sequestro per gli altri fini determinati dalla legge o di sostituirlo con la confisca.

In caso di reati in materia di rifiuti, per perseguire lo scopo di ripristinare ecologicamente le aree inquinate, l’ordinamento offre al giudice penale una sola possibilità, che è quella di concedere, ove applicabile, la sospensione condizionale della pena, e di subordinarla alla bonifica del sito. Mentre in caso di condanna per gli altri reati in materia di gestione di rifiuti, o per altri reati che cagionino danni ambientali, il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena al ripristino ambientale o a una bonifica del sito non legislativamente regolamentata, e tuttavia soggetta al controllo della autorità giudiziaria o di un organo tecnico appositamente delegato, in virtù del principio generale consacrato nell’art. 165 c.p., secondo cui il detto beneficio può essere subordinato alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. 12/6/08 n 37280; Cass. 20/11/06, n. 13456; Cass. 30/5/03, n. 35501).

Nella specie il giudice, pertanto, ha errato nel condizionare la restituzione dell’area in sequestro alla bonifica del sito.

Ne consegue la indubbia illegittimità del provvedimento, ma non la abnormità di esso, e ciò perchè il decidente ha male esercitato il potere ex lege attribuitogli, illegittimità questa che il ricorrente avrebbe dovuto eccepire in sede di opposizione al decreto penale e non, direttamente, davanti al giudice di legittimità, e ciò in quanto la circostanza che un provvedimento sia illegittimo non giustifica, di per sè, la sua impugnabilità per cassazione in nome della categoria della abnormità, che non può essere utilizzata per eludere il principio di tassatività, ex art. 568 c.p.p., secondo cui le sentenze sono sempre ricorribili, purchè non altrimenti impugnabili, laddove il rimedio impugnatorio, riservato, nella specie, al prevenuto con la rituale opposizione di cui al citato art. 461 c.p.p., si incarica di escludere tale evenienza per il decreto penale (Cass. 16/12/09, Silvano). La manifesta infondatezza della prima censura formulata in ricorso preclude l’esame degli ulteriori motivi in esso atto spiegati.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2010, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *