Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-03-2011, n. 5268 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M.L.R. citò innanzi al Tribunale di Torino, con atto notificato il 2 luglio 1999, la srl Caravaggio Immobiliare chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare, stipulato il 23 maggio 1996, per inadempimento della convenuta, promittente venditrice, e che la medesima fosse condannata sia a restituire la caparra ricevuta sia a risarcirgli i danni sopportati. A sostegno della domanda evidenziò che la predetta società non solo non aveva correttamente eseguito – giusta accordi – dei lavori nei locali oggetto di preliminare ma neppure aveva trasmesso, al notaio designato per la stipula, la documentazione urbanistica necessaria per il rogito e che, infine, si era fatta lecita di vendere gli immobili a terzi.

La convenuta si costituì contrastando la domanda e chiedendo in via di riconvenzione la risoluzione de preliminare per inadempimento del C.M. che non si sarebbe presentato dal notaio nonostante una diffida del 23 gennaio 1997; domandò altresì che l’attore fosse condannato a risarcirle i danni conseguenti; ad integrazione della domanda ex art. 183 c.p.c. instò a che fosse anche dichiarato il diritto di essa convenuta a trattenere la caparra versata dall’attore.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 5403/2002, accolse la domanda del C.M., ritenendo che, nonostante la scarsa gravità dei vizi nei lavori da eseguirsi sugli immobili compromessi in vendita, il rifiuto dell’attore a stipulare il contratto definitivo fosse giustificato per l’omesso invio – per lo meno sino al 1998 e quindi ad epoca di molto successiva ai termini in origine concordati per la stipula – dei documenti necessari per la stipula dell’atto e del certificato di agibilità: tale circostanza ed il fatto che, successivamente alla diffida ad adempiere inviata dalla promittente venditrice il 23 gennaio 1997, le parti avessero fissato nuova data – 1 aprile 1998 – per la comparizione innanzi al notaio, avrebbero dimostrato la perdurante volontà di pervenire alla stipula del definitivo: sarebbe quindi stata addebitabile alla promittente venditrice la sostanziale impossibilità della compravendita, avendo ceduto le unità immobiliari a terzi.

La Corte di Appello di Torino, con decisione n. 1081/2004, respinse il gravame della srl Caravaggio Immobiliare, regolando le spese di lite.

La spa – già srl – Caravaggio Immobiliare ha proposto ricorso per la cassazione di tale pronunzia, sulla base di un unico e variamente articolato motivo, altresì illustrato da memoria; si è costituito il C.M. resistendo all’impugnazione.
Motivi della decisione

1 – La ricorrente deduce " violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1367, 1453, 1454, 1460, 2733, 2697 c.c. nonchè 257 c.p.c. in relazione con l’art. 360 c.p.c., n. 3 ed omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su più punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", ponendo a base della censura: 1 – l’omessa valutazione di documenti, ritualmente prodotti, sulla base dei quali si sarebbe potuto desumere che tra gli atti del cui mancato invio al notaio il promissario acquirente si doleva, non doveva esserci la concessione edilizia in variante (come espressamente previsto nel preliminare) in quanto nella fattispecie sarebbe stato utilmente invocabile il c.d. silenzio assenso da parte del Comune di Torino, sulla denunzia di variazione catastale, con l’ulteriore conseguenza che, all’epoca della diffida ad adempiere – 31 ottobre 1996 – , essa ricorrente avrebbe rispettato tutte le obbligazioni a suo carico, così dovendosi interpretare secondo buona fede la clausola del preliminare prevedente invece l’obbligo della produzione dell’autorizzazione in variante; 2- la erroneità nel ritenere superflua la richiesta al Comune di informazioni sul punto; 3 – l’erroneità – comunque – di ritenere non provata la produzione dei documenti la cui mancanza fu ritenuta giusta causa del rifiuto di adempiere da parte del C.M.;

4 – l’omessa considerazione dell’irrilevanza, stante il pregresso adempimento da parte della ricorrente degli obblighi nascenti dal preliminare, della successiva rivendita a terzi dei locali promessi in vendita; 5 – il rigetto immotivato della richiesta di compensare le spese di lite.

Il ricorso non è fondato.

2 – Osserva la Corte che le censure relative all’interpretazione del contratto preliminare ed alla valutazione delle comunicazioni intercorse tra le parti – al fine di attestare la trasmissione dei documenti- non sono delibabili, avendo omesso il ricorrente di allegare il contenuto dell’uno e delle altre, così violando il principio di autosufficienza del ricorso nell’interpretazione che questa Corte ne diede prima dell’introduzione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 non essendo applicabile, ratione temporis, la novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006. 3 – Quanto poi al dedotto vizio di motivazione la Corte non vede ragioni di distaccarsi dal proprio ormai consolidato orientamento, in forza del quale ricorre la violazione descritta nell’art. 360 c.p.c., n. 5 solo quando non sia ricostruibile il percorso logico seguito dal giudice di merito al fine di pervenire alla gravata decisione: nella fattispecie invece la Corte torinese ha motivato congruamente la scelta delle emergenze processuali da porre a base del proprio convincimento e questa decisione non è suscettibile di ulteriore scrutinio in questa sede.

4 – Non ricorre neppure la lamentata violazione di legge: a – quanto alle regole dell’ermeneutica negoziale – al fine di non conferire valore preminente alla necessità di produrre documenti della concessione in sanatoria – per le ragioni già addotte in merito alla mancata produzione del contratto; b – quanto all’interpretazione della condotta tenuta dalle parti successivamente alla diffida ad adempiere – per dedurne la violazione dell’art. 1453 cod. civ.- perchè sul punto la Corte territoriale ha adeguatamente dato conto della pregnanza significativa delle attività di entrambe le parti dopo la data del 23 gennaio 1997 e tale decisione non è contraddittoria nei propri momenti argomentativi interni.

4/a – Quanto poi: alla valutazione delle prove testimoniali in ordine al pervenimento dei documenti – a parte la contraddittorietà logica rispetto alla tesi della non necessità dei medesimi-; alla non frazionabilità delle dichiarazioni confessorie in sede di interpello; alla sussistenza dei presupposti per l’escussione di un teste di riferimento, il peso argomentativo che la Corte di merito ha attribuito ad ogni singola emergenza istruttoria ed alla legittimità di ciascuna, non è più soggetto ad ulteriore scrutinio in questa sede in virtù della completezza delle ragioni poste a sostegno di tale decisione.

5 – Rimane così superata la pur dedotta irrilevanza dell’alienazione dei locali compromessi in vendita dopo la nuova convocazione dell’attuale ricorrente presso il notaio, in quanto fondata su presupposti che la Corte ha ritenuto più sopra (vedi subb par. 3 e 4), erronei.

6 – l’infondatezza dei motivi del ricorso attinenti alla decisione sul merito comporta il rigetto della doglianza relativa alla mancata compensazione delle spese, essendo sufficiente l’accoglimento anche solo parziale della domanda del C.M. – che in primo grado aveva anche chiesto il risarcimento del danno, poi negatogli- per giustificare l’applicazione piena del principio della soccombenza.

7 – Anche le spese del presente procedimento vanno poste a carico della parte ricorrente, secondo quanto indicato in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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