Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-11-2010) 01-02-2011, n. 3571 Intercettazioni telefoniche; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

dei ricorsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Z.F. e H.H. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, unitamente ad altro co imputato (non ricorrente), li ha riconosciuti colpevoli degli episodi di detenzione illecita e/o di cessione di sostanza stupefacente ai medesimi rispettivamente contestati, solo parzialmente riformando in melius, per quanto interessa, relativamente al trattamento sanzionatorio dell’ H., la sentenza di primo grado resa in esito a giudizio abbreviato dal Gip. Lo Z. ricorre articolando due motivi.

Con il primo contesta l’affermato giudizio di responsabilità, affermando che l’unico episodio contestatogli, relativo all’acquisto di un quantitativo di eroina, doveva essere addebitabile esclusivamente ad una coimputata, separatamente giudicata, che aveva ammesso le proprie responsabilità escludendo quella dello Z.. Lo stesso Gip chiamato a pronunciarsi sulla misura cautelare aveva escluso il concorso dello Z., escludendo un contributo causale del medesimo nel fatto incriminato.

Con il secondo contesta l’avvenuto diniego delle attenuanti generiche argomentato con riferimento al proprio comportamento processuale, definito come negativo.

L’ H. articola una pluralità di motivi, taluni in realtà intimamente connessi e consistenti nella complessiva contestazione del giudizio di responsabilità.

Ripropone l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, già respinta in appello, sostenendo che le operazioni sarebbero state eseguite negli uffici di polizia, in violazione delle condizioni di cui all’art. 268 c.p.p., comma 3.

Contesta il giudizio di responsabilità sostenendo che la sentenza di appello avrebbe motivato il proprio convincimento solo sulla base di quella di primo grado e della relazione finale di servizio, asseritamente trascurando i motivi di appello, relativamente ai quali si propongono delle ricostruzioni fattuali alternative degli episodi incriminati (rectius, di talune circostanze fattuali relative a taluni di questi episodi).

Assume che impropriamente la Corte avrebbe posto a fondamento del giudizio di responsabilità il convincimento della responsabilità dell’ H. anche per uno degli episodi che, pur non contestatigli, erano stati oggetto di ritrasmissione degli atti al PM in primo grado.

Si sostiene l’estraneità del prevenuto sul rilievo che le indagini non avrebbero acclarato la ricezione di denaro.

Si sostiene ancora l’estraneità del prevenuto contestando la rilevanza "indiziaria" attribuita al ritrovamento in un immobile di pertinenza di una "morsa" (indicata dal giudice come utilizzabile per il confezionamento dei panetti di droga), sul rilievo dell’asserita inutilizzabile della stessa, da ritenere "un pezzo di antiquariato".

Si censura il profilo della riconducibilità a persona "vicina" all’ H. di un appartamento ove era custodita la droga.

Si censura un passaggio argomentativo fondante la responsabilità per uno degli episodi di cessione sostenendo che il contesto locale di tale episodio avrebbe impedito agli operanti di percepire direttamente l’intero svolgersi della condotta.

Si contesta, ancora, il contenuto (la traduzione) di una telefonata che avrebbe assunto valenza indiziante siccome rappresentativa, secondo il giudice di merito, delle ammissioni dell’ H. sui guadagni illeciti derivanti dal traffico di droga.

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Quanto al ricorso dello Z., relativamente alla contestazione del giudizio di responsabilità, va ricordato che, specie quando ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme", l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (tra le tante, Sezione 6^, 6 maggio 2009, Esposito ed altro, non massimata).

Qui il giudicante ha sviluppato un’analitica motivazione relativa all’affermato "contributo causale" del prevenuto al fatto separatamente giudicato anche a carico di altra persona, indicando gli elementi che dovevano consentire di ravvisare non una presenza casuale sul posto, ovvero una connivenza non punibile, bensì un ruolo concorsuale pieno nell’attività criminosa. Sul punto, anzi, il giudicante ha esaminato anche le dichiarazioni contraddittorie rese dagli imputati, da cui ha fatto discendere, in modo incensurabile, la irrilevanza delle dichiarazioni liberatorie rese dalla coimputata nei confronti dell’odierno ricorrente.

Anche in relazione al trattamento dosimetrico, la censura vorrebbe introdurre un controllo "di merito", a fronte di una decisione che, nel pieno rispetto dell’art. 133 c.p., e con motivazione ineccepibile, ha fatto discendere il diniego delle generiche non solo e non tanto dal comportamento processuale definito assolutamente negativo, ma anche e soprattutto da un successivo episodio che lo aveva visto arrestato per fatti di droga e dalla condizione di clandestino (rientrato in Italia dopo precedente espulsione).

Va del resto ricordato che il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, nella determinazione della sanzione ben possono essere presi in esame uno o alcuni soltanto degli elementi indicati dall’art. 133 c.p., purchè della scelta decisoria adottata si dia adeguatamente conto in motivazione (ciò che qui è indiscutibile) (cfr. Sezione 2^, 23 settembre 2009, Proc. gen. App. Genova in proc. Kerroum, non massimata).

Inaccoglibile è anche il ricorso dell’ H..

Trattasi di ricorso che, per vero, assorbentemente, sconta un evidente difetto di genericità, giacchè ci si limita a riproporre doglianze già proposte in sede di appello e da quel giudice respinte, con la contestazione in fatto dell’esattezza della decisione.

Deve, infatti, ritenersi inammissibile, per genericità, il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (da ultimo, Sezione 4^, 8 luglio 2009, Cannizzaro, non massimata).

In ogni caso, infondata è la doglianza sulla utilizzabilità delle intercettazioni rispetto alla quale il giudicante ha apprezzato esservi stato il legittimo ricorso alla tecnica della "remotizzazione". E’ pacifico, infatti, che sia legittimo, senza la necessità di dover far ricorso alla disciplina dell’art. 268 c.p.p., comma 3, l’utilizzo nelle operazioni di intercettazione della tecnica del cosiddetto ascolto remotizzato (roaming), in base al quale l’intercettazione avviene tecnicamente presso la procura della Repubblica, ma il segnale viene fatto rimbalzare, con una differenza temporale di pochi secondi, presso gli uffici di polizia giudiziaria, dove l’addetto utilizza l’apparecchio per ascoltare. In questo modo, infatti, l’intercettazione è attestata in procura ed il rimbalzo del segnale viene fatto esclusivamente per ragioni di semplificazione organizzativa, per consentire cioè all’ufficiale di polizia giudiziaria addetto al controllo delle conversazioni intercettate di lavorare alla sua postazione abituale e di procedere all’ascolto ed alla stesura del cosiddetto brogliaccio (da ultimo, Sezioni unite, 26 giugno 2008, Carli, rv. 240395). La censura si fonda, allora, su una opinabile ricostruzione dell’operazioni che sfugge al vaglio in questa sede anche perchè neppure corredata dal necessario supporto documentale che potrebbe consentire di verificare l’assunto difensivo. Non va del resto trascurato che, secondo assunto pacifico, quando si prospetta davanti al giudice di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche (cfr. art. 271 c.p.p., comma 1), l’eccezione, per i limiti intrinseci del giudizio di legittimità, può essere esaminata solo se l’atto inutilizzabile, o dal quale consegue l’inutilizzabilità, sia stato specificamente indicato e faccia parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (tra le tante, Sezione 4^, 19 ottobre 2004, Bonaccorso ed altri, non massimata).

Le altre doglianze tutte intimamente collegate, perchè si risolvono nella censura del giudizio di responsabilità, a fronte di una sentenza analiticamente motivata incorrono nello stesso vizio sopra evidenziato in ordine all’analogo motivo dell’altro ricorrente: si propone una diversa lettura di elementi che la Corte di merito, concordemente al giudice di primo luogo, ha apprezzato in ottica indiziaria e dimostrativa della responsabilità del prevenuto, non potendosi accedere, in questa sede, alla diversa, opinabile lettura offerta nel ricorso (sulla disponibilità dell’appartamento, sull’efficienza della morsa", ecc).

Basta solo evidenziare, per corrispondere ad uno dei profili di doglianza, che la sentenza di appello non soffre neppure del vizio di avere valorizzato negativamente un episodio ancora sub indice per fondare la responsabilità del prevenuto: la lettura della motivazione non autorizza affatto tale conclusione, essendosi limitato il giudice ad analizzare le risultanze obiettive di tale episodio nell’economia complessiva della decisione.

E basta ancora evidenziare che qui, a fortiori, neppure può porsi questione sul contenuto delle conversazioni intercettate: in tema di intercettazioni, infatti il significato attribuito al linguaggio eventualmente criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura convenzionale conferita ad esso, costituiscono valutazioni di merito insindacabili in cassazione; mentre la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa, nel senso che le valutazioni effettuate dal giudice di merito sul contenuto delle comunicazioni intercettate sono censurabili in sede di legittimità se ed in quanto si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero quando applichino scorrettamente tali criteri (da ultimo, Sezione 4^, 11 marzo 2009, Bilardi, non massimata).

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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