Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-11-2010) 01-02-2011, n. 3592 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce con la quale T.M. è stato ritenuto colpevole del reato di ricettazione di un assegno bancario di provenienza furtiva e condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa, ricorre la difesa dell’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivazione:

a) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in ordine al mancato riconoscimento della continuazione, sul presupposto che era onere della parte istante fornire tutti gli estremi della sentenza rilevante ai fini del predetto riconoscimento;

b) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il vizio della motivazione si riscontra nell’omissione dei concreti elementi che sono alla base dell’affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di ricettazione;

c) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è nulla per difetto assoluto di motivazione la sentenza impugnata che non ha risposto alle specifiche doglianze proposte dall’appellante con l’appello limitandosi a rifarsi alla motivazione di primo grado.
Motivi della decisione

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. In ordine al primo motivo, che lamenta la non acquisizione, da parte della Corte territoriale, della sentenza della quale il ricorrente aveva indicato gli estremi al fine di valutare la sussistenza della continuazione, va ribadita la decisione di questa Corte, che il Collegio condivide e fa propria, secondo la quale: "In tema di riconoscimento della continuazione, la disposizione dell’art. 186 disp. att. c.p.p., secondo cui le copie delle sentenze o decreti irrevocabili, se non allegate alla richiesta prevista dall’art. 671 c.p.p., comma 1 sono acquisite d’ufficio, non è applicabile al giudizio di cognizione ove all’onere di indicazione ed allegazione delle sentenze si aggiunge quello della indicazione degli elementi induttivi della preesistenza dell’unicità del disegno criminoso che include, nelle sue linee essenziali, i singoli episodi. Tale onere, in sede d’impugnazioni non totalmente devolutive nelle quali si iscrivono l’appello ed il ricorso per Cassazione, si coniuga inoltre con l’obbligo della specifica indicazione degli elementi in fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento delle singole richieste speculari agli errori in iudicando ed in procedendo dai quali si assume essere viziata la decisione impugnata. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello di disattendere la richiesta dell’imputato volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati da giudicare e reati già giudicati con sentenza passata in giudicato, della quale aveva indicato solo il numero del registro generale)".

Rv. 227172, Rv. 229826.

Questo collegio non ignora che vi sono sentenze di questa Corte di segno opposto (rv 217107 – rv 236261) che, in ossequio al principio di parità di trattamento processuale tra imputato e condannato ritengono applicabile l’art. 186 disp. att. alla fase di cognizione del processo. In generale tale principio fondato sulla interpretazione analogica estensiva non convince; tuttavia, ai fini che qui interessano, anche in quelle pronunce si parte dal presupposto che la parte abbia almeno fornito l’elemento individualizzante la sentenza che si intende porre a prova e supporto dell’identità del disegno criminoso, mentre nel caso in esame, come già precisato, neanche quel necessario elemento, l’istante aveva fornito.

Ciò porta ad escludere che si possa individuare un vero e proprio conflitto decisionale da denunciare alle Sezioni Unite di questa Corte, come prospettato dal P.G. d’udienza. Infatti, tenuto conto delle peculiarità del caso in esame,la regola giurisprudenziale più adeguata è quella che non ritiene che la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. c.p.p., che peraltro richiama l’art. 671 c.p.p., comma 1, sia passibile di interpretazione analogica estensiva anche al procedimento di cognizione, senza l’indicazione certa del provvedimento al quale si fa rinvio. Una diversa interpretazione varrebbe a scardinare l’assetto sistematico dei principi che regolano il contraddittorio ed del tutto inutilmente, perchè il mancato riconoscimento della continuazione potrebbe essere recuperato in sede di esecuzione, ove, lì si è ipotizzabile un intervento del giudice al fine di acquisire materiale utilizzabile a fini decisori. Il motivo di ricorso deve,pertanto, essere rigettato.

2.2. Quanto agli altri motivi di ricorso essi sono manifestamente infondati. Il ricorrente si è, infatti, limitato a denunciare i vizi che a suo avviso inficiano il tessuto argomentativo del provvedimento ma ha omesso di indicare da quale elemento specifico trae tale convincimento: a tal proposito va ricordato che, ai sensi dell’art. 581, lett. c), in relazione all’art. 591 c.p.p., lett. c), tra i requisiti normativamente richiesti per l’atto di impugnazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue doglianze.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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