Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-10-2010) 01-02-2011, n. 3676 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sto originale non comprensibile).
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 7.5.09, la corte di appello di Roma ha confermato la sentenza 14.2.07 del tribunale della stessa sede, con la quale il giornalista J.A. e il direttore responsabile dell’UNITA’ P.A. venivano condannati, alla pena di Euro 600 di multa, al risarcimento dei danni, alla rifusione delle spese, al pagamento, L. n. 47 del 1948, ex art. 12, della somma di Euro 40.000, in favore della parte civile, perchè ritenuti responsabili, rispettivamente, del reato di diffamazione, aggravata dall’attribuzione di fatti determinati, in danno del direttore della rete televisiva Rai 1, D.N.F., e del reato di omissione di controllo, in relazione a un articolo pubblicato sul quotidiano in data 7.6.05. Ha revocato la sospensione condizionale della pena.

Il difensore degli imputati ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. vizio di motivazione: la sentenza esclude la verità dei fatti narrati dal giornalista e non tiene conto delle doglianze della difesa sulla mancata ammissione della testimonianza del componente del CDA della Rai, R. avente ad oggetto le valutazione delle condotte della persona offesa e tutti gli altri aspetti critici contenuti nei motivi di appello. Queste omissioni si risolvono in vizio di legittimità, per omessa motivazione.

In un brano della sentenza impugnata si afferma che i fatti sono ininfluenti e la diffamazione si concretizza in frasi di carattere offensivo; ne deriva che queste frasi sono da qualificare come diffamazione generica.

La esageratezza e la eccentricità delle frasi le rendono inidonee a ledere la considerazione della quale godeva il D.N. nella cerchia sociale nella quale vive e comunque sono da inquadrare in una critica espressa nelle forme della satira.

2. violazione di legge in riferimento alla L. n. 47 del 1948, art. 12, vizio di motivazione: sebbene la norma preveda che l’importo della condanna è determinato in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato, la sentenza valorizza,invece della diffusione del quotidiano, la sua "autorità storica", riferendosi al calo delle copie diffuse "per il mutare della temperie politica". La corte territoriale inoltre non ha tenuto conto che la condanna alla riparazione pecuniaria non può essere inflitta al direttore per omesso controllo, in quanto la S.C. ha stabilito che la sanzione pecuniaria si aggiunge e non si sostituisce al risarcimento del danno causato dalla diffamazione, nel caso in cui sia accertato il concorso del direttore nel reato di diffamazione.

I ricorrenti chiedono anche la sospensione, ex art. 612 c.p.p., dell’esecuzione delle statuizioni civili, in quanto è possibile il grave e irreparabile danno.

3. vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena in misura uguale per entrambi gli imputati, sebbene la legge preveda diverse pene edittali, in quanto per quella da infliggere al direttore responsabile è prevista la riduzione di un terzo rispetto a quella a quella applicata all’autore dello scritto diffamatorio.

Manca inoltre una motivazione sulla quantificazione delle due pene, ridotta a una formula di stile nella sentenza della corte di appello, del tutto mancane nella sentenza di primo grado.

Le argomentazioni critiche contenute nel primo motivo non sono fondate.

Dalle sentenze dei giudici di merito – che costituiscono un unicum in quanto fondate su un comune apparato logico argomentativo – emergono i seguenti fatti.

Alla scadenza del contratto con la Rai il conduttore televisivo B.P. – che aveva brillantemente condotto la trasmissione (OMISSIS) – ha stipulato nuovo contratto con la concorrente rete televisiva Mediaset; si è profilato inoltre il pericolo che il format (OMISSIS) passasse ugualmente alla Mediaset.

In queste narrazione, l’autore dell’articolo, J.A., ha inserito alcune informazioni ricevute dal consigliere R., sulla procedura seguita per la scelta del nuovo conduttore, concernenti a) l’iniziativa di D.N. di sottoporre a provini i candidati alla gestione del programma, sebbene fossero di alta professionalità;

provini, per di più non praticabili per l’avvenuto smantellamento dello studio;

b) la previsione nel contratto con la ENDEMOL, ditta produttrice di (OMISSIS), del diritto di condizionare la scelta del nuovo conduttore; c) altri veti su possibili candidati alla successione di B..

Alla narrazione di questi fatti, non contestati nella loro corrispondenza alla verità, è seguita un’indicazione della loro causa, che è stata ritenuta diffamatoria, da parte del querelante e dei giudici di merito. Causa di questa scarsa celerità e delle difficoltà nell’espletamento della procedura funzionale alla scelta del nuovo conduttore è stata individuata dallo J. nell’atteggiamento scorretto, doppiogiochista del direttore della rete televisiva Rai 1, in favore della concorrente Mediaset. Di qui il beffardo invito al proprietario e comunque titolare di fatto dell’impresa di emittenza televisiva privata: " Be. assumilo a casa tua come colf, se c’è uno che lo merita è lui".

Non è assolutamente invocatole l’esercizio del diritto di critica – nella forma della satira – in quanto l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che queste censure estremamente offensive hanno trovato spunto nella ultima parte della narrazione (il sabotaggio degli interessi della Rai, consumato da un suo alto dirigente), la qual è stata creata in via esclusiva dal giornalista, in maniera nettamente e inequivocabilmente contraria alla verità. I testi escussi ( Pr.Lu., manager di B., Pa.Gu., direttore della Comunicazione – Relazioni Esterne della Rai, lo stesso B.) hanno cioè consentito una ricostruzione dei fatti assolutamente contrastante con la tesi colpevolista proposta dal giornalista, così articolata:

1. il D.N. si prodigò affinchè B. e il format (OMISSIS) rimanessero alla Rai.

2. il pericolo che la ENDEMOL stipulasse con altra impresa il contratto relativo al format, derivava da interventi, anche anomali, del direttore generale C.F., nella stesura del contratto (prevedendo,tra l’altro,la clausola del gradimento della ENDEMOL sul nuovo conduttore);

3. era stata attivata in Rai una ricerca affannosa per trovare un conduttore gradito all’altro contraente;

4. C. e D.N. erano in dissidio,in quanto quest’ultimo desiderava fortemente la permanenza di B. in Rai per la prosecuzione della trasmissione suddetta.

La chiara esposizione dei fatti, da parte dei testi, e la loro univoca interpretazione hanno consentito ai giudici di escludere sia la sussistenza della verità, anche sotto il profilo putativo, della notizia sul doppio gioco del querelante, sia la necessità di accedere all’eccezionale istituto della riapertura dell’istruttoria dibattimentale.

I giudici di merito hanno quindi correttamente concluso che D. N. è stato accusato infondatamente di tenere un preciso comportamento ostativo alla prosecuzione di un programma estremamente vantaggioso per la rete Rai 1 di cui era direttore, e di aver creato il pericolo che la società produttrice del format non rinnovasse il contratto e ne stipulasse un altro per il suo passaggio all’emittente privata.

Non è invocabile l’esimente del diritto di critica nella forma satirica, cioè l’esimente dell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, esternato con la forma dell’irrisione, dell’ironia, del sarcasmo, in quanto è da escludere il requisito della verità nelle affermazioni dell’imputato: la critica a sfondo scherzoso e ironico dello J.C. è stata fondata su dati storicamente falsi; falsità accertabile con un’indagine facilmente e doverosamente praticabile dall’autore di accuse di così forte carica diffamatoria.

Tale esimente può ritenersi sussistente quando l’autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa.

Nel caso in esame è stata data invece notizia ai cittadini del "doppio gioco" del dirigente Rai, presentandolo nella veste di servo del più illustre protagonista della televisione privata – tanto da renderlo degno di un meritato ingresso nella sua struttura imprenditoriale – in un contesto pienamente verosimile: la incuria nella gestione degli interessi dell’emittente pubblica, a fronte della concorrenza, sempre più forte e invasiva, dell’emittenza privata.

Questa informazione si è rivelata falsa e la veste ironica e scherzosa con cui è stata presentata ai cittadini non ne esclude la rilevanza penale, a norma dell’art. 595 c.p.: lo scherzo sulla serietà e sull’onestà del dirigente Rai si è rivelato privo della necessaria base veritiera su cui deve poggiare qualsiasi manifestazione dell’informazione: chi si cimenta in questa funzione, fondamentale per rendere i cittadini consapevoli degli accadimenti che li riguardano, ha l’obbligo di narrare e valutare fatti veri.

Ugualmente è infondata la censura sulla determinazione della pena inflitta al direttore responsabile del quotidiano: come ha razionalmente osservato la sentenza impugnata,il giudice di merito, nell’esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, seguendo i parametri fissati dall’art. 133 c.p., può stabilire una pena superiore al minimo edittale, tanto da rendere la sanzionale penale pari a quella inflitta all’autore dell’articolo, in considerazione del grado di colpa particolarmente elevato che ha caratterizzato l’omissione di controllo.

Nel caso in esame, il giudice di primo grado ha evidentemente tenuto conto anche della capacità a delinquere del P., richiamando, in premessa al calcolo del trattamento sanzionatorie il suo precedente penale.

Quanto al motivo concernente la riparazione pecuniaria, va rilevato che non esiste alcuna normativa o logica interpretazione ostative all’accoglimento della richiesta della parte civile, diretta al direttore responsabile del periodico, per ottenere la riparazione L. n. 47 del 1948, ex art. 12: a detta riparazione è tenuto non solo l’autore dello scritto diffamatorio, ma chiunque abbia contribuito a cagionare l’evento, sia in concorso, sia per omissione del doveroso controllo, diretto ad evitare che – con il periodico – si leda la reputazione di altri cittadini (sez. 5, n. 13198 del 5.3.10, rv 246904).

Appare invece fondata la censura sulla motivazione della misura della riparazione pecuniaria: la norma dispone che, il giudice nel determinarne l’importo, deve tener conto sia della gravità dell’offesa, sia della diffusione del periodico. Sotto quest’ultimo profilo, la sentenza impugnata elude questo criterio, appellandosi impropriamente all’autorità storica della testata che, pur innegabile, non può certamente supplire al riconosciuto calo del numero dei lettori, determinato dal "mutare della temperie politica nazionale". La legge chiede di modulare la riparazione del danno alla reputazione sulla base del dato quantitativo dei lettori e non sulla base di un dato qualitativo (autorità storica, spessore culturale autorevolezza politica, nitore etico e simili) della fonte della infedele informazione.

Pertanto la sentenza impugnata va annullata limitatamente a questo punto, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Roma.

Tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso, si dichiara la compensazione tra le parti delle spese sostenute dalla parte civile, nella misura di un terzo; per i restanti due terzi le spese sono a carico dei ricorrenti in solido, liquidate in Euro 1.200 per onorari, oltre accessori come per legge. Alla luce di quest’ultima decisione, è da considerare superata la questione concernente la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della somma a titolo di riparazione pecuniaria.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’entità della riparazione pecuniaria, con rinvio per nuovo esame, ad altra sezione della corte di appello di Roma. Rigetta nel resto.

Dichiara compensate tra le parti, per un terzo, le spese sostenute dalla parte civile e pone gli alni due terzi a carico dei ricorrenti in solido, liquidati detti due terzi in Euro 1.200 per onorari oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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