Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2010) 01-02-2011, n. 3581 Impugnazioni della parte civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 14 novembre 2008 il giudice di pace di Sestri Levante assolveva per insussistenza dei fatti, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, C.B. dai reati di danneggiamento di un cane appartenente alla famiglia B. e di minaccia continuata ai danni di B.M.; A.R., moglie del C., dal reato di ingiurie ai danni della B.;

l’ A. e la figlia C.P. dal reato di concorso in minaccia continuata ai danni di B.G., della moglie Bo.Li. e della figlia B.M.; C. G. dal reato di minaccia continuata ai danni della Bo..

A seguito di appello delle parti civili B.G., B. M. e Bo.Li. il Tribunale di Chiavari dichiarava C.B. e A.R. colpevoli dei reati rispettivamente ascritti, unificati dalla continuazione, e condannava il C. alla pena di Euro 250,00 di multa e l’ A. alla pena di Euro 450,00 di multa, pene dichiarate interamente condonate, e, inoltre, entrambi al risarcimento dei danni, liquidati nella misura di Euro 200,00 ciascuna, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili.

Avverso la predetta sentenza gli imputati C.B. e A. R. hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all’art. 576 c.p.p., per avere il Tribunale illegittimamente e illogicamente riformato la sentenza assolutoria in punto di responsabilità, nonostante l’appello delle parti civili fosse stato proposto ex art. 576 c.p.p. ai soli effetti della responsabilità civile e il pubblico ministero non avesse proposto appello; i ricorrenti si dolgono anche che l’appello delle parti civili sia stato considerato ammissibile nonostante la genericità dei motivi, che non contenevano riferimento specifico e diretto agli effetti di carattere civile lesi dalla sentenza assolutoria;

2) la manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità di C.B. fondata solo sulle dichiarazioni della persona offesa B.M., la cui versione era stata smentita dai testi C.A. e P. C. presenti allorchè il (cane dei B. sarebbe stato percosso dal ricorrente (il quale nella stessa occasione avrebbe minacciato la figlia dei vicini di casa);

3) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità dell’ A. basata sulle dichiarazioni delle parti civili, escusse ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 32 e quindi in aperta violazione dell’art. 29 D.Lgs. cit. e art. 468 c.p.p., immotivatamente ritenute attendibili e coerenti; si contesta in particolare l’attendibilità delle parti civili che avevano reso versioni discordanti tra loro e con quella della teste N..

Con il ricorso si chiede, infine, la sospensione dell’esecuzione della condanna civile ex art. 612 c.p.p.;

Il ricorso è parzialmente fondato.

In particolare è fondato il primo motivo nella parte in cui si sostiene la violazione dell’art. 576 c.p.p.. Premesso infatti che la parte civile è legittimata a proporre appello ai soli effetti civili avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace (Cass. sez. 5, 17 luglio 2009 n. 35882, Liporace; sez. 5, 5 dicembre 2008 n. 4695; Sez. Un. 29 marzo 2007 n. 27614, Lista) e che nel caso di specie l’appello risulta essere stato proposto dalle parti civili espressamente ai sensi dell’art. 576 c.p.p., la Corte rileva che era preclusa al giudice dell’appello, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, la possibilità di riformare la sentenza assolutoria emessa dal giudice di primo grado e di pronunciare la condanna penale. Limitatamente all’affermazione di responsabilità dei ricorrenti e alla relativa pena la sentenza impugnata dovrà pertanto essere annullata senza rinvio. Quanto invece alla pretesa inammissibilità dell’appello delle parti civili, la Corte rileva che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Un. 23 settembre 2009 n. 42411, Longo) l’atto di impugnazione della parte civile avverso sentenza di assoluzione deve contenere, a pena di inammissibilità, anche le richieste ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. b), ma queste possono desumersi implicitamente dai motivi quando da essi emerga in modo inequivoco la richiesta formulata, in quanto l’atto di impugnazione va valutato nel suo complesso in applicazione del principio del favor impugnationis, nè deve contenere necessariamente la specificazione della domanda restitutoria o risarcitoria, in quanto detta specificazione può anche essere differita al momento della formulazione delle conclusioni in dibattimento. Nel caso in esame nella parte finale dell’atto di appello delle parti civili "ex art. 576 c.p.p. " si chiedeva che il Tribunale adito "in riforma dell’impugnata sentenza, accertata incidenter tantum (nei limiti cioè della responsabilità civile ex art. 576 c.p.p.) la penale responsabilità degli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti, voglia condannarli al risarcimento dei danni tutti, come da conclusioni scritte formulate all’esito della discussione di primo grado, con vittoria delle spese di giudizio in entrambi i gradi dello stesso". Deve pertanto ritenersi che le doglianze relative alla mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello delle parti civili siano manifestamente infondate, risultando esplicito nell’atto di impugnazione il riferimento agli effetti di carattere civile lesi dalla sentenza assolutoria.

Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili poichè le doglianze riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati dal giudice di primo grado nella sentenza assolutoria e dalla difesa nel corso del giudizio di appello, argomenti ai quali il Tribunale, anche ai fini delle statuizioni civili, ha dato adeguate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che i ricorrenti non considerano nè specificatamente censurano. Il giudice di appello infatti, per affermare l’infondatezza della tesi difensiva del contrasto tra le dichiarazioni della persona offesa B.M. e quelle dei testi C.A. e P.C. in ordine ai reati di danneggiamento e minaccia ascritti a C.B. ha, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato, all’esito di una dettagliata disamina delle dichiarazioni dei testi, che"…non può ritenersi non attendibile la versione della B. (peraltro mai variata nel corso del procedimento) solo perchè nè C.A. nè la P. (nessuno dei quali, peraltro, si trovava vicino a C.B.) hanno riferito di non aver visto colpire l’animale, l’uno perchè privo di una chiara visuale sulla scena dei fatti, l’altra avendo descritto l’episodio in modo contraddittorio e sotto certi aspetti inverosimile. La versione della B., giova ricordarlo, ha poi trovato una inequivocabile conferma nel certificato del medico veterinario della ASL (OMISSIS) che ebbe a vistare il cane il giorno stesso dei fatti e che riscontrò, come si legge testualmente, lesioni da corpo contundente…", sostenendo anche in ordine al reato di minaccia l’attendibilità della persona offesa poichè "…non si ravvisano contrasti tra quanto dalla teste riferito in argomento e le altre acquisizioni processuali essendo, peraltro, verosimile che i testi C.A. P. essendo stati distanti dal luogo dei fatti e considerato l’abbaiare furioso del cane non abbiano percepito le minacce, anzi avendo C.A. sentito profferire solo ingiurie…".

Quanto alla condotta ascritta all’ A., in relazione alle versioni delle parti civili, asseritamene discordanti tra loro e con quella della teste N., il giudice di appello ha rilevato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, che "…l’unica discrepanza rispetto alle versioni delle parti lese va ravvisata nel fatto che la N. ha riferito di essere stata presente ai fatti perchè stava attendendo il proprio marito in macchina che si trovava parcheggiata davanti la casa dei B. mentre questi ultimi hanno riferito che la N. si trovava a casa loro. Non può, tuttavia, ravvisarsi in tale divergenza, riguardante un aspetto non principale, la prova inequivocabile dell’inattendibilità di tutti i testi, N. compresa, con riferimento alla condotta tenuta dall’ A.,… tenuto conto del lungo tempo trascorso dai fatti…". Le ulteriori doglianze difensive circa l’esame testimoniale delle parti civili sono formulate in maniera del tutto generica.

La Corte osserva, infine, che i ricorrenti si sono limitati a ribadire la loro versione difensiva che è stata confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata. Il ricorso tende peraltro a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito le cui conclusioni risultano adeguatamente giustificate sulla base di una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente alle condanne penali, che vanno eliminate. Il ricorso deve invece essere dichiarato inammissibile per quanto riguarda le statuizioni civili e i ricorrenti dovranno essere condannati in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili B.M., Bo.Li. e B.G., spese che vanno liquidate in complessivi Euro 2.036,00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condanne penali, che elimina. Dichiara inammissibile il ricorso proposto contro le statuizioni civili e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili B.M., Bo.Li. e B.G., che liquida in complessivi Euro 2.036,00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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