Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-11-2010) 02-02-2011, n. 3838 Diritti d’autore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 7.7.2009, confermava la sentenza 1.3.2008 del Tribunale monocratico di quella città, che – in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato – aveva affermato la responsabilità penale di A.L. e A. F.P. in ordine ai reati di cui:

– al L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1 – lett. a), per avere abusivamente detenuto per la vendita e posto in commercio n. 260 supporti audiovisivi (DVD film e CD musicali), in numero superiore a 50 esemplari, illecitamente riprodotti e non contrassegnati dalla S.I.A.E.;

– all’art. 648 c.p., per avere acquistato o comunque ricevuto i supporti audiovisivi anzidetti, di provenienza illecita a loro nota, in quanto abusivamente riprodotti (acc. in (OMISSIS));

e, riconosciute ad entrambi circostanze attenuanti generiche equivalenti, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., aveva condannato ciascuno alla pena di anni 1, mesi 4 e giorni 20 di reclusione, concedendo al solo A. L. il beneficio della sospensione condizionale.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati ma identici ricorsi gli imputati, i quali hanno eccepito inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, prospettando che la Corte di appello avrebbe dovuto:

– proscioglierli alla stregua di quanto enunciato dalla sentenza resa della Corte di Giustizia europea l’8/11/2007, nel procedimento C- 20/05, Schwibbert;

– concedere nella massima estensione le circostanze attenuanti generiche, si da pervenire ad una pena più mite.
Motivi della decisione

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, perchè manifestamente infondati.

1. Il primo motivo di gravame non costituiva censura svolta con l’atto di appello.

In relazione ad esso deve rilevarsi, comunque, che questa Sezione – con le sentenze 12/2/2008 n. 13816, Valentino e 12/2/2008 n. 13818, Ndiaye, alle cui articolate motivazioni si rimanda e che, in questa sede, devono intendersi integralmente recepite – ha fissato, in relazione ai fatti di reato previsti con riferimento alla utilizzazione di supporti privi del contrassegno S.I.A.E, alcuni fondamentali principi interpretativi delle disposizioni incriminatrici della L. n. 633 del 1941.

In particolare è stato evidenziato che la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa l’8/11/2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert – ha stabilito che l’obbligo di apporre sui dischi compatti, contenenti opere d’arte figurativa, il contrassegno S.I.A.E. in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, rientra nel novero delle "regole tecniche" che, ai sensi delle direttive europee 83/189/CEE e 98/34/CEE, devono essere notificate dallo Stato alla Commissione della Comunità Europea. Con la conseguenza che, qualora tali regole tecniche non siano state notificate alla Commissione, non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e devono essere disapplicate dal giudice nazionale.

La sentenza Schwibbert, pur riferendosi specificamente ai contrassegni relativi ai CD contenenti opere d’arte figurativa, ha stabilito un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione di contrassegno S.I.A.E. successiva alla direttiva 83/189/CEE per supporti di qualsiasi genere (cartaceo, magnetico, plastico etc.) e di qualsiasi contenuto (musicale, letterario, figurativo etc.) rende inapplicabile l’obbligo del contrassegno stesso nei confronti dei privati e le relative disposizioni interne debbono essere disapplicate dal giudice.

2. Da ciò deriva che:

a) l’obbligo di comunicare alla Commissione le "regole tecniche" introdotte nell’ordinamento italiano vale per tutte le regole istituite dopo l’entrata in vigore della citata direttiva 83/189/CEE, ossia dopo il 31 marzo 1983;

b) devono essere dichiarati non sussistenti i fatti di reato previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. d), (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), che punisce appunto chiunque detiene per la vendita supporti musicali, audiovisivi, cinematografici etc. privi del contrassegno S.I.A.E, risultando accertato che, fino alla data di emanazione della sentenza Schwibbert, lo Stato italiano era rimasto inadempiente all’obbligo di notificazione delle regole tecniche. Eventuali sentenze di condanna debbono, pertanto, essere annullate senza rinvio;

c) nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui fatti di reato previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), sicchè restano in sè punibili le condotte di chiunque detiene a fini commerciali e di commercio di supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione.

In questi casi la mancanza del contrassegno può essere semmai valutata come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, ma non assurge al ruolo costitutivo della condotta.

2.1 L’obbligo di apposizione del contrassegno – come si è detto – doveva essere previamente notificato alla Commissione Europea.

Tale notifica deve ritenersi effettuata successivamente dallo Stato italiano, attraverso un iter avviato con la comunicazione del 24 aprile 2008, che ha avuto il suo epilogo con l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23/2/2009, n. 31, recante "Regolamento di disciplina del contrassegno da apporre sui supporti, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 181 bis".

Detto decreto, entrato in vigore in data 21/4/2009, costituisce il testo definitivo della regola tecnica; ciò comporta la "ripenalizzazione" delle condotte ricollegabili alla mera carenza del contrassegno S.I.A.E. poste in essere a decorrere dal 21/4/2009, ma non può rendere penalmente illecite condotte nel frattempo "scriminate" dalla non opponibilità ai privati del contrassegno mancante.

3. Nella vicenda che ci occupa, però, dal contenuto delle decisioni di merito, si evince che gli imputati sono stati condannati non per la semplice assenza del contrassegno S.I.A.E. sui supporti musicali sequestrati, bensì per avere concorso alla commercializzazione di supporti (riproducenti le canzoni presentate al Festival di Sanremo, mentre quello veniva ancora svolto) per i quali era in corso la abusiva riproduzione in un locale a ciò appositamente destinato.

A carico dei ricorrenti non è stata ritenuta, pertanto, come fonte di responsabilità, la mera mancanza del contrassegno, bensì una condotta contemplata dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), e – come si è detto dianzi – nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui fatti di reato aventi ad oggetto l’utilizzazione di supporti abusivamente riprodotti, come previsti della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), così che restano in sè punibili le condotte lesive dei diritti poste a tutela della personalità dell’autore o lesive dei diritti alla utilizzazione economica dell’opera di ingegno.

4. Quanto al secondo motivo di ricorso, poi, va rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:

– il giudizio di comparazione fra circostanze attenuanti ed aggravanti, ex art. 69 c.p., è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo;

– il medesimo giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale a lui demandato, scelga la soluzione dell’equivalenza, anzichè della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass., Sez. 1, 26.1.1994, n. 758);

– anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta confutazione (vedi Cass., Sez. 6, 4.9.1992, n. 9398).

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge, ha dato rilevanza decisiva alla entità oggettiva delle condotte criminose accertate (concorso ad una vera e propria attività organizzata di falsificazione), deducendone logicamente prevalenti significazioni negative della personalità degli imputati.

5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè, per ciascun ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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