Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-11-2010) 02-02-2011, n. 3832 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Messina con sentenza del 15 marzo 2010, ha confermato la sentenza di primo grado emessa in data 6/11/2007 dal Giudice monocratica del Tribunale di Patti che condannava M. R. alla pena di due mesi di arresto ed Euro 10.000 di ammenda ed alla demolizione delle opere abusivamente realizzate, per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), fatti accertati il (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputata a mezzo di proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Erronea applicazione della legge penale. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione alla violazione degli art. 420 ter e quater c.p.p. e artt. 177 e 178 c.p.p..

La sentenza sarebbe nulla perchè sarebbe stata illegittimamente disattesa una istanza di differimento udienza per impedimento dell’imputata in quanto il giudice di primo grado non avrebbe valutato l’impedimento per ragioni di salute, ignorando il certificato medico tempestivamente pervenuto prima dell’udienza del 23/5/2007 e non si sarebbe pronunciato in merito allo stesso, senza disporre la rinnovazione dell’avviso all’imputata del rinvio di udienza. Di fatti il rinvio del dibattimento all’udienza del 6/11/2007 sarebbe stato disposto perchè il giudice titolare era impegnato in altro processo ed il difensore di fiducia non era presente il giorno in cui l’udienza fu rinviata in prosecuzione, come invece erroneamente rilevato dal giudice. Pertanto la lettura dell’ordinanza di mero rinvio, effettuata in udienza alla presenza del difensore d’ufficio, non poteva mai sostituire la notificazione all’imputata della data dell’udienza di rinvio. Infatti la disposizione prevista dall’art. 420 c.p.p., comma 3, in virtù della quale il giudice deve sospendere o rinviare il dibattimento anche quando l’imputato non si presenti alle successive udienze ove l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito forza maggiore o altro legittimo impedimento è applicabile anche nel caso di imputato contumace.

2. Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 157 e 159 c.p. La Corte di appello non avrebbe ritenuto prescritto il reato pur essendo trascorsi, al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado, sei anni e nove mesi. Infatti i rinvii concessi per legittimo impedimento del difensore non andavano computati per intero dal giudice del gravame, in quanto l’art. 159 c.p., comma 1, n. 3 (come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, certamente applicabile nel caso di specie essendo il processo pendente in primo grado al momento dell’entrata in vigore della predetta legge) prevede che in caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e con gli stessi vengono riproposte censure identiche a quelle formulate nei confronti della sentenza di primo grado, già respinte, con esaustive argomentazioni, dai giudici di appello i quali hanno fatto buon uso dei principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza di legittimità. 1. Quanto alla riproposta eccezione di nullità della sentenza di primo grado, correttamente è stata richiamata nella motivazione della decisione impugnata la giurisprudenza che ha ravvisato nell’omesso avviso del rinvio all’imputato, pur dichiarato contumace, che abbia addotto un legittimo impedimento a comparire, una nullità generale a regime intermedio, sanabile se non rilevata appena possibile (si veda la parte motiva della sentenza Cass. Sez. 6, n. 33500 del 27/8/2009, Campanile, Rv. 244696). Nel caso in esame, i giudici di appello hanno riferito che il giudice di primo grado aveva effettuato un rinvio in prosecuzione, provvedendo a dare avviso al difensore, nella già dichiarata contumacia dell’imputata ed hanno dato atto che alla successiva udienza il difensore nulla ebbe ad eccepire circa la mancata valutazione del legittimo impedimento dell’imputata e circa la mancanza dell’avviso all’imputata della data dell’udienza di rinvio; hanno pertanto concluso correttamente, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità dagli stessi indicata nella parte motiva, per la sanatoria ai sensi dell’art. 182 c.p.p..

2. Quanto alla lamentata erroneità nel considerare i tempi di prescrizione, la Corte di appello ha dato ampio conto del computo effettuato dalla data del commesso reato e considerando le sospensioni, ivi compresa quella disposta in grado di appello ex L. n. 125 del 2008, art. 2 ter.

Difatti, in relazione alla prescrizione, va applicata la disciplina – più favorevole per l’imputato – vigente al momento della consumazione dei reati e la stessa deve essere applicata per intero, con la conseguenza che non possono applicarsi le nuove norme introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, sulla durata massima della sospensione della prescrizione per impedimento. Questo Collegio, ritiene che debba essere ribadito e confermato il principio (così, tra le altre, Sez. 1, n. 27777 dell’11/7/2008, Soldano, Rv.

240863) secondo cui "in tema di prescrizione dei reati contravvenzionali, non è consentita la simultanea applicazione delle disposizioni introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore convenienza per l’imputato, occorrendo applicare integralmente l’una o l’altra disciplina in relazione alle previsioni della norma transitoria di cui alla citata legge, art. 10, comma 2. (Nella specie, il ricorrente pretendeva di applicare la disciplina previgente, quanto ai termini di prescrizione del reato contravvenzionale, e quella sopravvenuta quanto ai termini di sospensione della prescrizione)".

Il computo effettuato risulta pertanto in linea con la vigente disciplina della prescrizione quale interpretata dalla giurisprudenza di legittimità ed immune da vizi, sicchè le censure avanzate dalla ricorrente sono manifestamente infondate.

Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del gravame conseguono, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere del pagamento delle spese del procedimento e di una somma di Euro mille a favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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