Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-01-2011) 03-02-2011, n. 4136 Parte civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Udine ha applicato la pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. nei confronti degli imputati in epigrafe in ordine ai delitti di cui agli artt. 449, 452 e 439 c.p. (capi 2) e 3)), nonchè nei confronti dei soli imputati Tr., G. e C. anche in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 2); ha disposto la sospensione condizionale delle pene; ha condannato gli imputati alla rifusione delle spese processuali sostenute delle parti civili; ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo 5) perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato; ha dichiarato estinti per prescrizione gli altri reati; ha disposto la restituzione dell’impianto e delle aree in sequestro all’amministrazione giudiziaria dell’ente titolare, previa redazione di un piano di risanamento da adottare in accordo con le amministrazioni statali e comunali interessate.

2. ricorrono per cassazione gli imputati, la parte civile WWF, il Procuratore generale.

2.1 Gli imputati D.M., B., T., F., Tr., G. e C. deducono i seguenti motivi.

2.1.1 Mancata applicazione dell’indulto e mancanza di motivazione in ordine alla determinazione dell’epoca dei fatti. La pronunzia si limita ad enunciare che i fatti sono stati consumati oltre il (OMISSIS), senza in realtà specificare quando l’evento si è verificato. D’altra parte, tale omissione incide sulla mancata concessione dell’indulto che risulta più favorevole rispetto alla sospensione condizionale della pena, avuto riguardo alla possibilità di prescrizione di condotte ripristinatorie.

2.1.2 Mancata applicazione della prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi 3) e 4) essendo i fatti risalenti nel tempo.

2.1.3 G. deduce anche la mancata applicazione della prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 2), avuto riguardo alla data di cessazione della posizione di garanzia così come indicata nella richiesta di rinvio a giudizio.

2.2 L’imputato J. deduce censure sostanzialmente coincidenti con quelle esposte sub 2.1.1 e 2.1.2. 2.3 La parte civile associazione WWF espone di essere intervenuta nel procedimento nella qualità di persona offesa portatrice di interesse diffuso alla difesa dell’ambiente; di aver partecipato tramite un proprio consulente all’incidente probatorio esperito nel corso delle indagini preliminari; di essersi costituita parte civile nell’udienza preliminare anche come sostituto processuale di alcuni Comuni e Province; di aver chiesto, dopo che gli imputati avevano concordato l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., la loro condanna alla rifusione delle spese processuali.

2.3.1 Si lamenta che erroneamente il giudice ha omesso di prescrivere condotte riparatorie. I danni si sono verificati prima del (OMISSIS), sicchè trova applicazione la L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, comma 8.

Tale norma, laddove esclude l’obbligo di ripristino quando esso non sia possibile, deve essere applicata stricto iure attesa l’eccezionalità della previsione rispetto al principio "chi inquina paga" che regge il sistema. Pertanto, a nulla rileva la condizione soggettiva dell’imputato allontanatosi dall’azienda o privo di mezzi economici adeguati.

2.3.2 Si lamenta altresì che erroneamente il giudice ha omesso di liquidare le spese processuali sostenute dall’ente nel corso delle indagini preliminari, prima della costituzione di parte civile. Si è interpretato l’art. 541 c.p.p. trascurando che l’ente è contestualmente persona offesa e danneggiata dai reati ambientali. Lo stesso ente, ai sensi dell’art. 398 c.p.p., ha partecipato all’incidente probatorio ed aveva quindi diritto, una volta costituitosi parte civile, alla condanna alla rifusione delle spese sostenute in riferimento a tale atto. Se così non fosse, il sistema si rivelerebbe incongruo. D’altra parte, il diritto in questione si desume pure dalla sentenza che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 444 nella parte in cui non prevede la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile. Ancora, il diritto in questione spetta, come ricordato dalla Corte costituzionale, alla parte che abbia trasferito l’azione civile costituendosi nel processo penale. Si ha infatti diritto di ripetere le spese sostenute in entrambe le sedi processuali. A maggior ragione lo stesso diritto compete alla persona offesa e danneggiata per l’attività svolta in tutte le fasi del procedimento.

2.4 Il Procuratore generale lamenta che incongruamente il giudice ha omesso di prescrivere il ripristino dello stato dei luoghi ed ha adottato un non previsto provvedimento di restituzione condizionata.

3. I ricorsi degli imputati sono manifestamente infondati. E’ infondato il gravame del Procuratore generale. E’ parzialmente fondato il ricorso della parte civile.

3.1 Quanto alle censure afferenti (ai fini dell’indulto e della prescrizione) alla determinazione dell’epoca dei fatti (P. 2.1.1;

2.1.2; e 2.2) è sufficiente rilevare che i ricorrenti hanno patteggiato la pena in ordine ai delitti rubricati ai capi 3) e 4) ampiamente descritti nelle loro componenti oggettive ed indicati come in "attuale permanenza". La pronunzia impugnata ha rilevato a tale riguardo che il dies a quo del termine prescrizionale non può essere individuato in riferimento all’epoca della condotta ma con riguardo alla consumazione in senso tecnico ai sensi dell’art. 157 c.p. e quindi con riferimento al macroevento. Si è aggiunto che i fatti risultano consumati oltre il (OMISSIS) e che inoltre "in punto di accertamento obiettivo i dati riportati nel capo d’imputazione riportano pedissequamente i dati tecnici obiettivamente riscontrati in sede di indagini".

Tale valutazione deve essere rapportata alle peculiarità della motivazione della sentenza di patteggiamento. Questa Corte ha ripetutamente affermato il condiviso principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di applicazione della pena concordata. Lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purchè risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Nè l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.

Alla stregua di tali principi che indicano uno stile argomentativo di speciale sobrietà, emerge con evidenza che il giudice ha correttamente adempiuto all’onere motivazionale riscontrando l’esistenza dei fatti così come descritti in imputazione e segnatamente di reati permanenti in atto nel (OMISSIS) e traendone le conseguenze sia in tema di prescrizione che di indulto.

3.1.2 La censura di G. in ordine alla prescrizione dei reati sub 1) e 2) è assolutamente generica, limitandosi ad evocare non meglio precisati atti, tanto più a fronte dell’argomentata valutazione del giudice di merito che ha considerato analiticamente per ciascuno degli imputati l’epoca delle condotte. La doglianza è quindi inammissibile per la sua aspecificità. 3. 2 Quanto ai coincidenti motivi proposti dal Procuratore generale e dalla parte civile (che non è peraltro legittimata a proporre autonome censure che riguardino aspetti del profilo punitivo penale) in ordine alla mancata subordinazione della sospensione condizionale della pena a condotte ripristinatorie, occorre considerare che la pronunzia impugnata, recependo le perplessità manifestate dalle parti al riguardo, considera che tutti gli imputati sono stati ormai estromessi dalla gestione e non hanno più poteri concreti di intervento. Inoltre, le loro responsabilità sembrano doversi circoscrivere ad un profilo di negligenza cui hanno in parte contribuito anche decisioni amministrative poco chiare. Si è inoltre considerato che un’eventuale sospensione della pena subordinata al ripristino dello stato dei luoghi rischierebbe di divenire un fattore di vanificazione del beneficio, attesa l’impossibilità pressochè certa di ottenere attraverso tale via il risanamento richiesto. Si reputa che ai fini del risanamento sia più utile prevedere una condizione per la restituzione del complesso in sequestro, costituita dalla redazione di un piano di risanamento concordato con il Ministero dell’ambiente e con gli enti locali.

Tale ponderazione appare immune da censure. Infatti l’imposizione dell’obbligo di ripristino di cui si discute va rapportata ai delitti già più volte evocati; sicchè, pacificamente, ai sensi dell’art. 165 c.p. non vi è alcun obbligo legale per il giudice di imporre la prescrizione in parola. Occorre quindi solo valutare la congruenza della motivazione. Orbene, essa considera equilibratamente e con ragionevolezza i diversi profili fattuali e soggettivi della complessa vicenda, da un lato riconducendo gli eventi a diversi fattori, dall’altro valutando le distinte condotte, dall’altro ancora realisticamente prendendo atto dell’impossibilità di por mano al risanamento dell’area se non nel contesto di un articolato piano.

Proprio a tale ultimo fine la restituzione dell’area è stata subordinata alla redazione di un piano concordato dall’ente proprietario con i soggetti pubblici. Tutte tali valutazioni, per la loro plausibilità, non possono essere sindacate nella presente sede di legittimità. Nè infine può essere censurata una condizione apposta alla restituzione. Non vi è dubbio, infatti, che dopo la definizione del processo i beni non possono essere ulteriormente mantenuti in sequestro, ma vanno confiscati o restituiti. D’altra parte, nel disporre la restituzione, il giudice ha imposto prescrizioni che sono legittimate dagli artt. 85 e 104 disp. att. c.p.p..

3.3. E’ infine fondata la censura afferente alla liquidazione delle spese di parte civile. La sentenza recita testualmente: "in sede di patteggiamento si liquidano soltanto le spese necessarie per la costituzione, non anche quelle relative all’esercizio del diritto di difesa in ambito processuale atteso che il processo, di fatto non si è svolto". A tale enunciazione è stata rapportata la concreta liquidazione delle spese processuali della parte privata.

Orbene, il principio enunciato non può essere condiviso. Le Sezioni unite di questa Suprema Corte (S. U. 27/11/2008, Rv. 241356) hanno avuto occasione di pronunziarsi sulla liquidazione delle spese di parte civile nell’ambito della procedura di applicazione della pena ex art. 444. Si è affermato che nell’udienza fissata proprio a seguito della richiesta di applicazione della pena presentata nel corso delle indagini preliminari non è consentita la costituzione di parte civile ed è pertanto illegittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dal danneggiato dai reato la cui costituzione sia stata ammessa dal giudice nonostante tale divieto.

Si è considerato che nella speciale udienza fissata nel corso delle indagini, a norma dell’art. 447 c.p.p., il danneggiato dal reato, conoscendo in partenza l’oggetto del giudizio, ristretto alla decisione circa l’accoglibilità della richiesta di applicazione di pena su cui è intervenuto il patteggiamento tra imputato e pubblico ministero, non ha ragioni giuridiche per costituirsi parte civile.

In quella stessa occasione le Sezioni unite hanno peraltro evocato la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 443 del 1990) rammentando che essa aveva considerato che la scelta del legislatore di inibire al giudice che pronuncia sentenza di applicazione di pena su richiesta di decidere sulla domanda proposta dalla parte civile che si sia eventualmente costituita non implicava la ragionevolezza della preclusione a una pronuncia su un oggetto "non così strettamente collegato alla sentenza di condanna per la responsabilità civile", quale quello sulle "spese processuali sostenute dalla parte civile";

che anzi tale preclusione doveva considerarsi "priva di qualsiasi giustificazione", posto che la mancata decisione sull’azione civile derivava, nella fattispecie qui considerata, da "una scelta tra le parti del rapporto processuale penale favorevolmente valutata dal giudice" che lasciava fuori il danneggiato dal reato, sino al "paradosso" di mantenere a carico di quest’ultimo "anche le spese incontrate per iniziative o attività rivelatesi decisive nell’indurre l’imputato a richiedere o consentire il rito speciale".

Si è pure osservato che la ridetta sentenza costituzionale si fondava sulla esigenza equitativa di tenere indenne dalle spese già sostenute il danneggiato dal reato che avesse legittimamente esercitato l’azione civile nel processo penale in vista del risarcimento del danno, costituendosi "per l’udienza preliminare o successivamente", e cioè in una situazione processuale che legittimasse la sua aspettativa a che il processo potesse concludersi, appunto, con la condanna dell’imputato al risarcimento del danno, dato che ciò la costituzione di parte civile necessariamente implica ( art. 74 c.p.p.).

Le ragioni espresse dalla giurisprudenza costituzionale, fatte proprie dalle Sezioni unite, dunque, chiariscono che quando la costituzione abbia luogo nell’udienza preliminare è dovuta la condanna alla rifusione delle spese per l’attività processuale svolta nel corso dell’udienza stessa e fino al momento della formalizzazione dell’accordo per il patteggiamento. Pertanto, erroneamente la sentenza impugnata enuncia che spettano solo le spese per la costituzione; tanto più che, come emerge dalla pronunzia impugnata, l’udienza preliminare si è sviluppata nel corso di diverse udienze.

Resta peraltro aperta la questione afferente alle spese sostenute prima della costituzione di parte civile. Si configura nel caso in esame una situazione peculiare: il WWF assume di essere formalmente intervenuto nel processo e di aver partecipato nella qualità di persona offesa all’incidente probatorio; e chiede in conseguenza (come emerge dalla relativa nota spese) la condanna alla rifusione delle spese sostenute in ordine a tale attività processuale.

Per risolvere il dubbio sull’esistenza del diritto invocato occorre considerare le specificità dell’attività defensionale di cui ci si occupa. Infatti, pur essendosi nella fase procedimentale, in un momento anteriore anormale costituzione della parte, si fa riferimento allo svolgimento di incidente probatorio, atto in relazione al quale l’ordinamento processuale conferisce alla persona offesa un peculiare ruolo. Essa, tra l’altro, può sollecitare il pubblico ministero a promuovere l’incidente (art. 394, comma 1); ha diritto alla notifica dell’atto con il quale il giudice assume determinazioni (art. 398, comma 3); ha diritto di partecipare all’udienza tramite il difensore ed, in alcuni casi, ha pure diritto ad assistere personalmente all’incidente probatorio e di richiedere di rivolgere domande (art. 401, commi 3 e 5). La conclusione che si può trarre da tale disciplina è che si è in presenza di attività che, pur collocandosi nella fase delle indagini, ha contenuto probatorio; e che tale attività probatoria coinvolge direttamente la persona offesa, che vi ha un definito ruolo attivo, che si manifesta precipuamente, per quel che qui interessa, nel diritto di partecipare agli atti processuali che si compiono. Se così è, ne discende naturalmente che la persona offesa costituitasi parte civile ha diritto alla rifusione pure delle spese processuali afferenti alla menzionata attività probatoria che, se pur collocata cronologicamente nella fase investigativa, in un momento anteriore alla stessa costituzione, partecipa delle finalità tipiche della fase processuale. Una diversa soluzione condurrebbe all’esito, già ritenuto incongruo dalla giurisprudenza sopra richiamata, di chiamare la persona offesa a sopportare il peso economico di attività defensionale connessa ad incidente probatorio rilevante anche ai fini del soddisfacimento della pretesa risarcitoria nel processo penale.

Il principio trova applicazione nel vicenda in esame, attesa la partecipazione dell’Ente ricorrente all’incidente probatorio nella non contestata veste di persona offesa (circostanza che dovrà essere ad ogni buon conto verificata dal Tribunale).

In conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al punto concernente la rifusione delle spese in favore della parte civile WWF Onlus, ai fini della liquidazione delle spese in conformità ai principi sopra enunciati.

Dall’inammissibilità dei ricorsi degli imputati discende ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la rifusione delle spese in favore della parte civile WWF-Onlus con rinvio al Tribunale di Udine. Rigetta nel resto il ricorso della parte civile.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

Dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati ricorrenti che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno alla somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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