Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-01-2011) 03-02-2011, n. 4117

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Savona, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, condannava F.M. ed I.M. alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa, ciascuno, per il reato di concorso in furto pluriaggravato, per aver sottratto al titolare della rivendita Tuttostampa, in (OMISSIS), dopo essersi introdotti nel detto esercizio utilizzando arnesi da scasso ed approfittando dell’ora notturna, Euro 152,60 in monete, n. 22 ricariche telefoniche pari ad un valore di Euro 581,00, n. 3 schede telefoniche pari ad un valore di Euro 30,00, un blocchetto di biglietti ATCS ed un PC portatile HP n. (OMISSIS).

Proponevano appello gli imputati sollecitando la pronuncia assolutoria, e, in subordine, un ridimensionamento dell’entità della pena inflitta dal primo giudice, previo riconoscimento anche dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4; presentava altresì ricorso per cassazione il Procuratore Generale (trattandosi di impugnazione avverso sentenza di rito abbreviato senza modifica del titolo del reato) dolendosi della concessione delle attenuanti generiche, valutate equivalenti alle aggravanti ed alla recidiva contestate, muovendo dal rilievo che tale statuizione sarebbe stata giustificata con motivazione meramente apparente avendo il giudicante fatto semplice richiamo alla "equità per adeguare la pena alla effettiva e concreta gravità del fatto, tenuto conto della severa disciplina introdotta dal legislatore in materia di recidiva".

Decidendo in ordine ad entrambe le impugnazioni (essendo stato convertito in appello il ricorso del Procuratore Generale ai sensi dell’art. 580 c.p.p.), la Corte d’Appello di Genova confermava l’affermazione di colpevolezza degli imputati, riteneva insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 4, avuto riguardo all’entità del danno cagionato alla parte lesa, e, in accoglimento del gravame del Procuratore Generale, e dopo aver escluso per l’ I. l’infraquinquennalità della recidiva, eliminava le attenuanti generiche per entrambi gli imputati, aumentava la pena per l’ I. ad anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e per il F. ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione, con unico atto di impugnazione, tramite il comune difensore, il F. e l’ I. deducendo motivi che possono così sintetizzarsi: 1) nullità della sentenza impugnata, per violazione del diritto della difesa, essendo stata celebrata l’udienza, pur nel rito camerale d’Appello ex art. 599 c.p.p., in assenza del difensore che aveva eccepito il legittimo impedimento a comparire per motivi di salute; al riguardo, gli imputati pongono la questione di costituzionalità dell’art. 599 c.p.p., prospettando la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., laddove detta norma non prevede, "da un lato, la partecipazione necessaria del difensore all’udienza di appello nel rito abbreviato e, per conseguenza logica, non ipotizza, in casi siffatti, il rinvio per legittimo impedimento del difensore" (così testualmente a pag. 3 del ricorso); 2) omessa motivazione sulla richiesta di assoluzione avanzata espressamente con i motivi di appello.
Motivi della decisione

Per ragioni di ordine sistematico appare opportuno esaminare preliminarmente il secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunciano violazione del diritto di difesa e prospettano una questione di illegittimità costituzionale degli artt. 420 ter e 599 c.p.p., evocando il risalente precedente giurisprudenziale secondo cui la regola stabilita dall’art. 420 ter c.p.p., comma 5, – in virtù del quale l’udienza preliminare è rinviata in caso di legittimo impedimento del difensore – dovrebbe trovare applicazione, per identità di "ratio", anche con riguardo al procedimento camerale d’appello disciplinato dall’art. 599 c.p.p. (Sez. 2^, n. 13033 del 11/10/2000 Ud. – dep. 14/12/2000 – Rv. 217507).

La censura è infondata. Ed invero, la più recente giurisprudenza in materia si è orientata in senso contrario all’indirizzo interpretativo evocato dal ricorrente, ed ha enunciato il condivisibile principio di diritto secondo cui "nel giudizio di appello, instaurato a seguito dell’impugnazione della sentenza emessa nel giudizio abbreviato, l’impedimento a comparire del difensore dell’imputato non può dare luogo al rinvio dell’udienza camerale" (in termini, "ex plurimis", Sez. 6^, n. 34462 del 20/02/2007 Ud. – dep. 12/09/2007 – Rv. 237792; conf.: Sez. 4^, n. 33392 del 14/07/2008 Ud. – dep. 12/08/2008 – Rv. 240901; Sez. 6^, n. 14396 del 19/02/2009 Cc. – dep. 01/04/2009 – Rv. 243263). Trattasi di giurisprudenza ormai consolidata anche perchè avallata dall’autorevole intervento delle Sezioni Unite le quali hanno avuto modo di precisare che "il disposto di cui all’art. 420 ter c.p.p., secondo cui il legittimo impedimento del difensore può costituire causa di rinvio dell’udienza preliminare, non trova applicazione con riguardo agli altri procedimenti camerali, ivi compresi quelli per i quali la presenza del difensore è prevista come necessaria, soccorrendo, in tali ipotesi, la regola dettata dall’art. 97 c.p.p., comma 4," (Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006 Cc. – dep. 22/09/2006 – Rv. 234146).

Trattasi di interpretazione che non pone in dubbio la tenuta costituzionale dell’art. 599 c.p.p., in riferimento ai parametri evocati dai ricorrenti: è invero costante nella giurisprudenza del giudice delle leggi l’affermazione che le concrete modalità di esercizio del diritto di difesa, in vista della salvaguardia della personalità della responsabilità penale, presidiata anche dalla L. n. 848 del 1955, art. 6, possono essere diversamente modulate dal legislatore ordinario, in relazione alla diversità dei riti (confr.

Corte cost. n. 127 del 2003). E ciò soprattutto quando possibili contrazioni all’esercizio di quel diritto conseguano all’opzione, liberamente privilegiata dallo stesso imputato, di consentire all’accelerazione del procedimento con l’adozione di moduli processuali improntati a criteri di speditezza ed economia, in cambio di un trattamento sanzionatorio privilegiato. Quanto, poi, alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, essa ha puntualizzato che l’art. 6, paragrafo 3 e, della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – pur riconoscendo a ogni imputato "il diritto di difendersi personalmente o di fruire dell’assistenza di un difensore di sua scelta" – tuttavia non ne precisa le condizioni di esercizio, lasciando agli Stati contraenti la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, in modo che si concili con i requisiti di un equo processo (v. C.E.D.U. Sez. 3^, sent. 27 aprile 2006 sul ricorso n. 30961/03, Sannino/ltalia). In via riepilogativa, quindi, sull’argomento in esame deve ribadirsi che: il legislatore ha predisposto un sistema di esercizio del diritto di difesa differenziato per le varie fasi o tipologie dei processi; tale differenziazione, anche se può essere sottoposta ad osservazioni critiche; segue tuttavia una linea logico – sistematica che regge al vaglio della compatibilità con il dettato costituzionale e con i principi affermati dalla C.E.D.U.; di conseguenza, l’interprete non può compiere operazioni integrative o migliorative, rimesse esclusivamente al legislatore. Nel caso di specie non v’è stata, dunque, lesione del diritto di difesa. E’ viceversa fondato il primo motivo di ricorso, con il quale è stato denunciato vizio di omessa motivazione in ordine ai motivi di appello concernenti l’affermazione di colpevolezza pronunciata dal primo giudice. Come si rileva dal testo dalla sentenza impugnata, la Corte d’appello ha dato atto che gli imputati, con i motivi di appello, avevano contestato la ritenuta colpevolezza, ed ha anche sinteticamente riassunto il contenuto delle censure. Orbene, a fronte di tali doglianze, la Corte territoriale ha omesso qualsiasi valutazione al riguardo, accogliendo l’impugnazione del Procuratore Generale, negando il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, invocata dagli imputati, revocando gli indulti concessi all’ I., limitandosi a confermare nel resto la sentenza appellata.

Risulta dunque evidente la sussistenza del denunciato vizio motivazionale non essendo stata in alcun modo valutata, nemmeno con formulazioni sintetiche di ritenuta infondatezza, la doglianza degli appellanti in punto di responsabilità. Nè può trovare applicazione, nella concreta fattispecie, il consolidato principio enunciato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui deve ritenersi legittimo il richiamo "per relationem", da parte del giudice di appello, alla motivazione della sentenza di primo grado nell’ipotesi, come nel caso in esame, di cd. "doppia conforme". Mette conto sottolineare, infatti, che nell’impugnata sentenza non è dato cogliere il benchè minimo richiamo al percorso argomentativo seguito dal primo giudice da porre a fondamento della conferma della precedente pronuncia di condanna; di tal che, nel caso in esame non può parlarsi neanche di motivazione "per relationem". Di conseguenza è stata del tutto elusa la garanzia del doppio grado di giurisdizione, ed è venuto meno lo stesso oggetto del giudizio di appello, costituito dalla revisione critica della precedente decisione alla stregua degli argomenti svolti dall’appellante (cfr.

Sez. 4^, n. 4557 del 25/02/1999 Ud. – dep. 09/04/1999 – Rv. 213135).

Conclusivamente, ed in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova per l’esame dei motivi di appello concernenti l’affermazione di colpevolezza.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Genova per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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