CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 4 novembre 2009, n.23412 Tutela del consumatore Cassette di sicurezza

Sentenza scelta dal dott. Domenico CIRASOLE

Cassetta di sicurezza – furto di beni custoditi in una cassetta di sicurezza situata all’interno di una banca – responsabilità nei confronti del cliente e obbligo al risarcimento dei danni – sussiste

Note: in caso di furto di beni custoditi in una cassetta di sicurezza situata all’interno di una banca, quest’ultima è responsabile nei confronti del cliente.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, regolamento delle norme disciplinanti il servizio delle cassette di sicurezza richiamante il contenuto dell’art. 1839 c.c., dello stesso articolo 1839 c.c., artt. 1362 e 1363 c.c., 113, 115 c.p.c., nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione ed erroneo esame di un punto decisivo della controversia.
Sostiene la ricorrente che nessuna responsabilità può a lei attribuirsi, anche perché il locale in cui erano custodite le cassette di sicurezza era adeguatamente protetto.
Il motivo è infondato.
Non si ravvisa violazione alcuna o falsa applicazione di legge. Questa Corte si è più volte pronunciata in materia (Cass. n. 7081/05), precisando che la sottrazione di beni custoditi in cassetta di sicurezza, a seguito di furto, non può considerarsi caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della prestazione dedotta in contratto (con tale contratto la Banca assume la responsabilità riferita a prestazioni di custodia). È applicabile, nella specie, l’art. 1218 c.c., per cui è il debitore che, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di provare che l’impossibilità della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile. Ancora, l’art. 1839 c.c., che indica la responsabilità della banca, relativamente alla “idoneità e custodia dei locali” e alla “integrità esterna delle cassette di sicurezza”, va interpretato nel senso che non solo al locale dov’è materialmente collocata la cassetta ci si deve riferire, ma pure a tutto il complesso bancario, attraverso il quale è possibile accedere alla cassetta stessa.
La valutazione della prova liberatoria della Banca spetta al giudice del merito e non è suscettibile di controllo in questa sede, se sorretta da una motivazione adeguata e non illogica, nella specie sussistente.
Chiarisce il giudice a quo che non solo la Banca non ha fornito prova liberatoria, ma addirittura sussiste in atti prova positiva delle gravi carenze del sistema antifurto dei locali della Banca: dall’esame degli atti (dichiarazione del funzionario (omissis) e atti acquisiti del procedimento penale nei confronti dei rapinatori) emerge – come precisa ulteriormente la pronuncia impugnata – che non esisteva un sistema di vigilanza da parte di guardie giurate, telecamere o metaldetector per l’accesso ai locali (i rapinatori si introdussero da una porta secondaria, utilizzando una chiave riprodotta a calco) e neppure un congegno di apertura a tempo del “caveau”; le singole cassette furono aperte dai rapinatori senza particolari difficoltà, non era innescato il sistema di allarme collegato alla questura.
Con il secondo motivo lamenta la Banca (omissis) violazione e falsa applicazione dell’art. 2736 c.c. (con conseguente illegittimità dell’ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio), degli artt. 113 e 115 c.p.c., nonché motivazione insufficiente, illegittima e contraddittoria, omesso esame di punti decisivi della controversia.
Anche questo motivo va rigettato, siccome infondato.
Non si ravvisa violazione alcuna o falsa applicazione di legge. Va precisato che la valutazione sulla opportunità di deferire il giuramento suppletorio, ricorrendo i presupposti di legge, è discrezionale. È ammesso soltanto il successivo controllo sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2736 n. 2 c.c. per l’esperibilità del mezzo (tra le altre, Cass. n. 2749/1996; n. 2803/1999), ma la valutazione concreta della semiplena probatio spetta al giudice del merito ed è insuscettibile di riesame in questa sede, se sorretta da una motivazione adeguata e non illogica, nella specie sussistente.
Il giudice a quo, valutando il profilo della semiplena probatio, richiama la dettagliata denuncia contenente caratteristiche e numero dei beni sottratti, presentata nell’immediatezza dei fatti; le condizioni morali e patrimoniali dei titolari della cassetta, indicati come primari clienti della banca; la deposizione del teste (omissis), che accompagnò il padre (omissis) in banca, pur senza accedere al “caveau” all’atto dell’immissione dei valori in cassetta, dopo una perizia; la deposizione del teste (omissis) che periziò i preziosi ai fini di divisione ereditaria, nei primi mesi del 1988.
Evidenzia il giudice a quo, in prospettiva contrastante, la certificazione notarile del registro per il servizio cassette di sicurezza, da cui sembrava emergere un’apertura della cassetta stessa soltanto in data anteriore alla perizia (pur precisando che si trattava di certificazione notarile fondata sulla sola produzione delle fotocopie di pagine anteriori al 1998, ciò che non avrebbe potuto escludere l’eventuale sussistenza di altre “aperture” successive).
Conclusivamente, va rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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